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Tutto si svolge secondo il piano.
Giove, turbato dal terribile sospetto che gli veniva affacciato di perdere il
potere, divenne in segreto ancor più ostile verso Momo di quanto non lo fosse
di già per causa altrui. Ora, scorgendo che razza di avversario dei suoi
interessi gli prospettava quell'insinuazione, si dimostrò capace di vendicarsi
aspramente delle offese. Tutte le cose si misero a tremare per l'ira di Giove:
rimasero stupefatti i celesti. Si convoca in seduta straordinaria l'assemblea
degli dèi: la dea Proflua, nutrice delle ninfe, e Verina, figlia di Tempo,
ricevono l'ordine di testimoniare sulle parole che avevano inteso dire poc'anzi
a Momo vicino all'ara. Il padre degli dèi e re degli uomini, Giove, intendeva
fissare con la massima solennità un giorno per il processo, e proponeva di
nominare una giuria che istruisse il dibattimento secondo le procedure legali.
Ma a quel punto da tutti gli scranni si levò all'improvviso una sola
acclamazione, a proclamare il pericolo pubblico Momo colpevole di lesa maestà.
«In galera l'autore del delitto!». «In catene, al posto di Prometeo!». Momo,
trepidante e prostrato da una simile cospirazione di avversari e da tanta
animosità che si abbatteva tempestosamente contro di lui, decise di darsi alla
fuga. Scappando a rapidi passi cercava di guadagnare il fiume celeste,
l'Eridano, e lì procurarsi un'imbarcazione per raggiungere col favore della
corrente le nostre regioni. Ma, mentre correva per sottrarsi agli inseguitori
strepitanti, andò a finire prima che se ne accorgesse in una voragine
dall'ampia apertura, che è chiamata il pozzo del cielo: di là, perduta la sacra
benda, distintivo divino, andò a sbucare in territorio etrusco, come un secondo
Tagete. Trovò una popolazione profondamente imbevuta di sentimento religioso:
ricominciò allora a farla da protagonista e stabilì che il suo unico interesse
sarebbe stato quello di far dimenticare, per vendicarsi, all'Etruria il
rispetto per gli dèi, spingendola ad osservare e imitare quel che faceva lui.
Così, non ce n'era uno dei grossi guai che fino ad allora avevano combinato gli
dèi in questo o quell'angolo dell'universo, che sfuggisse alla memoria di Momo,
il quale, da vero inquisitore, se li annotava tutti con la massima precisione.
Aveva preso perciò l'aspetto di poeta, e andava raccontando alla folla, tra il
serio e il faceto, tutte le storielle oscene che riguardavano gli dèi. A
scuola, a teatro, per strada si sentivano raccontare gli adulteri, gli stupri,
le tresche amorose di Giove; e venivano messe in piazza anche le incredibili
mascalzonate di Febo, di Marte, di questo e quell'altro dio. Tra verità e
invenzioni, insomma, andavano ogni giorno crescendo il numero e la risonanza
delle porcherie che venivano rese di pubblico dominio, cosicché non c'era più
dio, né maschio né femmina, che non fosse giudicato uno sporcaccione e un
depravato. Successivamente, preso l'aspetto di un filosofo, con la sua barba
incolta, l'aria minacciosa, le sopracciglia foltissime, un atteggiamento
arrogante e presuntuoso, andava a tenere affollatissime conferenze nelle
università, sostenendo la tesi che la potenza degli dèi non è nient'altro che
un'invenzione senza senso, il parto sciocco di cervelli in preda alla
superstizione; non esistono dèi, particolarmente di quelli che abbiano voglia
di preoccuparsi dei problemi degli uomini; in conclusione, tutti gli esseri
animati hanno un'unica divinità comune, la Natura, che ha il compito preciso di
governare non solo gli uomini, ma anche bestie da soma, uccelli, pesci, tutti
gli altri animali che, in quanto hanno tutti per comune istinto una maniera
molto simile di muoversi, di provare sensazioni, di provvedere alla propria
difesa e sopravvivenza, è bene siano diretti e governati tutti con criteri
analoghi. Non si trova un'opera della Natura fatta così male che non abbia, fra
tanta abbondanza di cose create, un aspetto che torni molto utile alle altre:
pertanto tutte le cose create dalla Natura hanno una loro funzione ben precisa,
buone o cattive che siano dal punto di vista umano, dal momento che di per se
stesse non hanno alcuna potenza se la Natura si oppone e non le asseconda.
Molte cose il pregiudizio comune prende per difetti, mentre non lo sono
affatto; uno scherzo di Natura è la vita umana. Con questi ragionamenti Momo
s'era conquistato parecchi seguaci, e già si cominciava a trascurare i
sacrifici, le feste solenni stavano passando di moda e il rispetto per gli dèi diventava
sempre meno diffuso tra gli uomini. Appena la notizia giunse ai celesti,
accorsero tutti al palazzo di Giove. Si lamentano per la loro situazione, si
chiedono aiuto a vicenda (come si fa nei casi d'emergenza), si aspettano ormai
che non ci sarebbe stato più motivo di ritenersi dèi, una volta scomparsi tra
gli uomini la fede e il timor di dio. Nel frattempo Momo non desisteva certo
dal suo accanimento vendicativo, ed entrava in polemica serrata con tutte le
correnti di pensiero. Da un pezzo i filosofi accorrevano in massa ai dibattiti
tenuti dal dio, un po' per gelosia di mestiere, un po' per la smania di
blaterare: gli si mettevano intorno, nelle prime e nelle ultime file,
interrompevano, contestavano. Ma Momo, tenace, risoluto, sosteneva da solo l'attacco
di tutti più con la prontezza nel replicare che con la forza dei suoi
argomenti. Alcuni obiettavano che esiste un capo che governa l'universo; altri
avanzavano la tesi della corrispondenza delle quantità, per cui al numero dei
mortali doveva corrispondere un egual numero d'immortali; altri dimostravano
l'esistenza di un'intelligenza pura, incontaminata dalla materialità
corruttibile delle creature terrene e mortali, dalla quale le cose divine e
umane traggono alimento e guida; altri asserivano che dev'essere considerata
dio quella forza infusa a tutte le creature, che le fa muovere e di cui le
anime umane sono una sorta di emanazione; e la contraddittorietà delle tesi
creava tra i filosofi stessi un disaccordo non meno veemente dell'unità
d'intenti con cui tutti quanti si contrapponevano polemicamente a Momo.
Quest'ultimo, ostinato com'era in tutte le sue questioni, difendeva sempre più
accanitamente la sua opinione, negava l'esistenza degli dèi, diceva che gli
uomini si sbagliano se pensano che divinità diverse dalla Natura presiedano a
tutto quel roteare d'orbite che vedono in cielo e che li impressiona tanto. La
Natura, poi, adempie meccanicamente al suo compito innato nei confronti del
genere umano, non ha mai bisogno del nostro intervento né può essere
influenzata dalle nostre preghiere; in conclusione, è inutile aver timore di
dèi che non esistono o che, se pure esistono, sono certo benigni per loro
propria natura.
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