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Leon Battista Alberti
Momo o Del Principe

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  • LIBRO PRIMO.
      • -5-
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-5-

 

Tutto si svolge secondo il piano. Giove, turbato dal terribile sospetto che gli veniva affacciato di perdere il potere, divenne in segreto ancor più ostile verso Momo di quanto non lo fosse di già per causa altrui. Ora, scorgendo che razza di avversario dei suoi interessi gli prospettava quell'insinuazione, si dimostrò capace di vendicarsi aspramente delle offese. Tutte le cose si misero a tremare per l'ira di Giove: rimasero stupefatti i celesti. Si convoca in seduta straordinaria l'assemblea degli dèi: la dea Proflua, nutrice delle ninfe, e Verina, figlia di Tempo, ricevono l'ordine di testimoniare sulle parole che avevano inteso dire poc'anzi a Momo vicino all'ara. Il padre degli dèi e re degli uomini, Giove, intendeva fissare con la massima solennità un giorno per il processo, e proponeva di nominare una giuria che istruisse il dibattimento secondo le procedure legali. Ma a quel punto da tutti gli scranni si levò all'improvviso una sola acclamazione, a proclamare il pericolo pubblico Momo colpevole di lesa maestà. «In galera l'autore del delitto!». «In catene, al posto di Prometeo!». Momo, trepidante e prostrato da una simile cospirazione di avversari e da tanta animosità che si abbatteva tempestosamente contro di lui, decise di darsi alla fuga. Scappando a rapidi passi cercava di guadagnare il fiume celeste, l'Eridano, e lì procurarsi un'imbarcazione per raggiungere col favore della corrente le nostre regioni. Ma, mentre correva per sottrarsi agli inseguitori strepitanti, andò a finire prima che se ne accorgesse in una voragine dall'ampia apertura, che è chiamata il pozzo del cielo: di là, perduta la sacra benda, distintivo divino, andò a sbucare in territorio etrusco, come un secondo Tagete. Trovò una popolazione profondamente imbevuta di sentimento religioso: ricominciò allora a farla da protagonista e stabilì che il suo unico interesse sarebbe stato quello di far dimenticare, per vendicarsi, all'Etruria il rispetto per gli dèi, spingendola ad osservare e imitare quel che faceva lui. Così, non ce n'era uno dei grossi guai che fino ad allora avevano combinato gli dèi in questo o quell'angolo dell'universo, che sfuggisse alla memoria di Momo, il quale, da vero inquisitore, se li annotava tutti con la massima precisione. Aveva preso perciò l'aspetto di poeta, e andava raccontando alla folla, tra il serio e il faceto, tutte le storielle oscene che riguardavano gli dèi. A scuola, a teatro, per strada si sentivano raccontare gli adulteri, gli stupri, le tresche amorose di Giove; e venivano messe in piazza anche le incredibili mascalzonate di Febo, di Marte, di questo e quell'altro dio. Tra verità e invenzioni, insomma, andavano ogni giorno crescendo il numero e la risonanza delle porcherie che venivano rese di pubblico dominio, cosicché non c'era più dio, né maschio né femmina, che non fosse giudicato uno sporcaccione e un depravato. Successivamente, preso l'aspetto di un filosofo, con la sua barba incolta, l'aria minacciosa, le sopracciglia foltissime, un atteggiamento arrogante e presuntuoso, andava a tenere affollatissime conferenze nelle università, sostenendo la tesi che la potenza degli dèi non è nient'altro che un'invenzione senza senso, il parto sciocco di cervelli in preda alla superstizione; non esistono dèi, particolarmente di quelli che abbiano voglia di preoccuparsi dei problemi degli uomini; in conclusione, tutti gli esseri animati hanno un'unica divinità comune, la Natura, che ha il compito preciso di governare non solo gli uomini, ma anche bestie da soma, uccelli, pesci, tutti gli altri animali che, in quanto hanno tutti per comune istinto una maniera molto simile di muoversi, di provare sensazioni, di provvedere alla propria difesa e sopravvivenza, è bene siano diretti e governati tutti con criteri analoghi. Non si trova un'opera della Natura fatta così male che non abbia, fra tanta abbondanza di cose create, un aspetto che torni molto utile alle altre: pertanto tutte le cose create dalla Natura hanno una loro funzione ben precisa, buone o cattive che siano dal punto di vista umano, dal momento che di per se stesse non hanno alcuna potenza se la Natura si oppone e non le asseconda. Molte cose il pregiudizio comune prende per difetti, mentre non lo sono affatto; uno scherzo di Natura è la vita umana. Con questi ragionamenti Momo s'era conquistato parecchi seguaci, e già si cominciava a trascurare i sacrifici, le feste solenni stavano passando di moda e il rispetto per gli dèi diventava sempre meno diffuso tra gli uomini. Appena la notizia giunse ai celesti, accorsero tutti al palazzo di Giove. Si lamentano per la loro situazione, si chiedono aiuto a vicenda (come si fa nei casi d'emergenza), si aspettano ormai che non ci sarebbe stato più motivo di ritenersi dèi, una volta scomparsi tra gli uomini la fede e il timor di dio. Nel frattempo Momo non desisteva certo dal suo accanimento vendicativo, ed entrava in polemica serrata con tutte le correnti di pensiero. Da un pezzo i filosofi accorrevano in massa ai dibattiti tenuti dal dio, un po' per gelosia di mestiere, un po' per la smania di blaterare: gli si mettevano intorno, nelle prime e nelle ultime file, interrompevano, contestavano. Ma Momo, tenace, risoluto, sosteneva da solo l'attacco di tutti più con la prontezza nel replicare che con la forza dei suoi argomenti. Alcuni obiettavano che esiste un capo che governa l'universo; altri avanzavano la tesi della corrispondenza delle quantità, per cui al numero dei mortali doveva corrispondere un egual numero d'immortali; altri dimostravano l'esistenza di un'intelligenza pura, incontaminata dalla materialità corruttibile delle creature terrene e mortali, dalla quale le cose divine e umane traggono alimento e guida; altri asserivano che dev'essere considerata dio quella forza infusa a tutte le creature, che le fa muovere e di cui le anime umane sono una sorta di emanazione; e la contraddittorietà delle tesi creava tra i filosofi stessi un disaccordo non meno veemente dell'unità d'intenti con cui tutti quanti si contrapponevano polemicamente a Momo. Quest'ultimo, ostinato com'era in tutte le sue questioni, difendeva sempre più accanitamente la sua opinione, negava l'esistenza degli dèi, diceva che gli uomini si sbagliano se pensano che divinità diverse dalla Natura presiedano a tutto quel roteare d'orbite che vedono in cielo e che li impressiona tanto. La Natura, poi, adempie meccanicamente al suo compito innato nei confronti del genere umano, non ha mai bisogno del nostro intervento né può essere influenzata dalle nostre preghiere; in conclusione, è inutile aver timore di dèi che non esistono o che, se pure esistono, sono certo benigni per loro propria natura.




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