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ATTO
PRIMO.
Scena
Prima. Bruto, Collatino.
COLLATINO Dove, deh! dove, a forza trarmi, o Bruto,
teco vuoi tu? Rendimi, or via, mel rendi
quel mio pugnal, che dell'amato sangue
gronda pur anco... Entro al mio petto...
BRUTO Ah! pria
questo ferro, omai sacro, ad altri in petto
immergerassi, io 'l giuro. - Agli occhi intanto
di Roma intera, in questo foro, è d'uopo
che intero scoppi e il tuo dolore immenso,
ed il furor mio giusto.
COLLATINO Ah! no:
sottrarmi
ad ogni vista io voglio. Al fero atroce
mio caso, è vano ogni sollievo: il ferro,
quel ferro sol fia del mio pianger fine.
BRUTO Ampia
vendetta, o Collatin, ti fora
sollievo pure: e tu l'avrai; tel giuro. -
O casto sangue d'innocente e forte
Romana donna, alto principio a Roma
oggi sarai.
COLLATINO Deh! tanto
io pur potessi
sperare ancora! universal vendetta
pria di morir...
BRUTO Sperare?
omai certezza
abbine. Il giorno, il sospirato istante
ecco al fin giunge: aver può corpo e vita
oggi al fin l'alto mio disegno antico.
Tu, d'infelice offeso sposo, or farti
puoi cittadin vendicator: tu stesso
benedirai questo innocente sangue:
e, se allor dare il tuo vorrai, fia almeno
non sparso indarno per la patria vera...
Patria, sì; cui creare oggi vuol teco,
o morir teco in tanta impresa Bruto.
COLLATINO Oh! qual
pronunzi sacrosanto nome?
Sol per la patria vera, alla svenata
moglie mia sopravvivere potrei.
BRUTO Deh! vivi
dunque; e in ciò con me ti adopra.
Un Dio m'ispira; ardir mi presta un Dio,
che in cor mi grida: «A Collatino, e a Bruto,
spetta il dar vita e libertade a Roma».
COLLATINO Degna di
Bruto, alta è tua speme: io vile
sarei, se la tradissi. O appien sottratta
la patria nostra dai Tarquinj iniqui,
abbia or da noi vita novella; o noi
(ma vendicati pria) cadiam con essa.
BRUTO Liberi, o
no, noi vendicati e grandi
cadremo omai. Tu ben udito forse
il giuramento orribil mio non hai;
quel ch'io fea nell'estrar dal palpitante
cor di Lucrezia il ferro, che ancor stringo.
Pel gran dolor tu sordo, mal l'udisti
in tua magion; qui rinnovarlo udrai
più forte ancor, per bocca mia, di tutta
Roma al cospetto, e su l'estinto corpo
della infelice moglie tua. - Già il foro,
col sol nascente, riempiendo vassi
di cittadini attoniti; già corso
è per via di Valerio ai molti il grido
della orrenda catastrofe: ben altro
sarà nei cor l'effetto, in veder morta
di propria man la giovin bella e casta.
Nel lor furor, quanto nel mio mi affido. -
Ma tu più ch'uomo oggi esser dei: la vista
ritrar potrai dallo spettacol crudo;
ciò si concede al dolor tuo: ma pure
qui rimanerti dei: la immensa e muta
doglia tua, più che il mio infiammato dire,
atta a destar compassionevol rabbia
fia nella plebe oppressa...
COLLATINO Oh Bruto! il
Dio
che parla in te, già il mio dolore in alta
feroce ira cangiò. Gli estremi detti
di Lucrezia magnanima mi vanno
ripercotendo in più terribil suono
l'orecchio e il core. Esser poss'io men forte
al vendicarla, che all'uccidersi ella?
Nel sangue solo dei Tarquinj infami
lavar poss'io la macchia anco del nome,
cui comune ho con essi.
BRUTO Ah! nasco io
pure
dell'impuro tirannico lor sangue:
ma, il vedrà Roma, ch'io di lei son figlio,
non della suora de' Tarquinj: e quanto
di non romano sangue entro mie vene
trascorre ancor, tutto cangiarlo io giuro,
per la patria versandolo. - Ma, cresce
già del popolo folla: eccone stuolo
venir ver noi: di favellare è il tempo.
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