CESARE
Oh! che mai fu? mezzo il senato appena,
benché sia l'assegnata ora trascorsa?...
Ma, tardo io stesso oltre il dover, vi giungo. -
Padri Coscritti, assai mi duol di avervi
indugiati... Ma pur, qual fia cagione,
che di voi sì gran parte ora mi toglie?
Silenzio
universale.
BRUTO
Null'uom risponde? - A tutti noi pur nota
è la cagion richiesta. - Or, non te l'apre,
Cesare, appieno il tacer di noi tutti? -
Ma, udirla vuoi? - Quei che adunar qui vedi,
il terror gli adunò; quei che non vedi,
gli ha dispersi il terrore.
CESARE A me novelli
non son di Bruto i temerari accenti;
come a te non è nuova la clemenza
generosa di Cesare. - Ma invano;
che ad altercar qui non venn'io...
BRUTO Né invano
ad offenderti noi. - Mal si avvisaro,
certo, quei padri, che in sì lieto giorno
dal senato spariro: e mal fan quelli,
che in senato or stan muti. - Io, conscio appieno
degli alti sensi che a spiegar si appresta
Cesare a noi, mal rattener di gioja
gl'impeti posso; e disgombrar mi giova
il falso altrui terrore. - Ah! no, non nutre
contro alla patria omai niun reo disegno
Cesare in petto; ah! no: la generosa
clemenza sua, che a Bruto oggi ei rinfaccia,
e che adoprar mai più non dee per Bruto,
tutta or già l'ha rivolta egli all'afflitta
Roma tremante. Oggi, vel giuro, un nuovo
maggior trionfo a' suoi trionfi tanti
Cesare aggiunge; ei vincitor ne viene
qui di se stesso, e della invidia altrui.
Vel giuro io, sì, nobili padri; a questo
suo trionfo sublime oggi vi aduna
Cesare: ei vuole ai cittadini suoi
rifarsi pari; e il vuol spontaneo: e quindi,
infra gli uomini tutti al mondo stati,
mai non ebbe, né avrà. Cesare il pari.
CESARE Troncar potrei. Bruto, il tuo dir...
BRUTO Né paia
temeraria arroganza a voi la mia;
pretore appena, osare io pure i detti
preoccupar del dittatore. È Bruto
col gran Cesare omai sola una cosa. -
Veggio inarcar dallo stupor le ciglia:
oscuro ai padri è il mio parlar; ma tosto,
d'un motto sol, chiaro il farò. - Son figlio
io di Cesare...
Grida universale di
stupore.
BRUTO
Sì; di lui son nato;
e assai men pregio; poiché Cesare oggi,
di dittator perpetuo ch'egli era,
perpetuo e primo cittadin si è fatto.
Grida universale di
gioja.
CESARE...
Bruto è mio figlio, è ver; l'arcano or dianzi
glie ne svelava io stesso. A me gran forza
fean l'eloquenza, l'impeto, l'ardire,
e un non so che di sovruman, che spira
il suo parlar: nobil, bollente spirto,
vero mio figlio, è Bruto. Io quindi, a farvi,
Romani, il ben che in mio poter per ora
non sta di farvi, assai di me più degno
lui, dopo me, trascelgo: a lui la intera
mia possanza lasciar, disegno; in esso
fondata io l'ho: Cesare avrete in lui...
BRUTO Securo io stommi: ah! di ciò mai capace,
non che gli amici, né i nemici stessi
più acerbi e implacabili di Bruto,
nol credon, no. - Cesare a me sua possa
cede, o Romani: e in ciò vuol dir, che ai preghi
di me suo figlio, il suo poter non giusto
Cesare annulla, e in libertà per sempre
Roma ei ripone.
Grida universale di
gioja.
CESARE
Or basti. Al mio cospetto
tu, come figlio, e come a me minore,
tacerti dei. - Cesare, o Padri, or parla. -
Ir contra i Parti, irrevocabilmente
ho fermo in mio pensiero. All'alba prima,
colle mie fide legioni, io muovo
ver l'Asia: inulta ivi di Crasso l'ombra,
da gran tempo mi appella, e a forza tragge.
Lascio Antonio alla Italia; abbialo Roma
quasi un altro me stesso: alle assegnate
provincie lor tornino e Cassio, e Cimbro,
e Casca: al fianco mio Bruto starassi.
Spenti i nemici avrò di Roma appena,
a darmi in man de' miei nemici io riedo:
e, o dittatore, o cittadino, o nulla,
qual più vorrà. Roma a sua posta avrammi.
Silenzio
universale.
BRUTO
- Non di Romano al certo, né di padre,
né di Cesare pur, queste che udimmo,
eran parole. I rei comandi questi
fur di assoluto re. - Deh! padre, ancora
m'odi una volta; i pianti ascolta, e i preghi
di un cittadin, di un figlio. Odimi; tutta
meco ti parla, or per mia bocca, Roma.
Mira quel Bruto, cui null'uom mai vide
finor né pianger, né pregar; tu il mira
a' piedi tuoi. Di Bruto esser vuoi padre,
e non l'esser di Roma?
CESARE Omai preghiere,
che son pubblico oltraggio, udir non voglio.
Sorgi, e taci. - Appellarmi osa tiranno
costui; ma, nol son io: se il fossi, a farmi
sì atroce ingiuria in faccia a Roma, io stesso
riserbato lo avrei? - Quanto in sua mente
il dittator fermava, esser de' tutto.
L'util così di Roma impera; e ogni uomo,
che di obbedirmi omai dubita, o niega,
è di Roma nemico; e lei rubello,
traditor empio egli è.
BRUTO - Come si debbe
da cittadini veri, omai noi tutti
obbediam dunque al dittatore.
CIMBRO Muori,
tiranno, muori.
CASSIO E ch'io pur anco il fera.
CESARE Traditori...
BRUTO E ch'io sol ferir nol possa?...
ALCUNI
SENATORI Muoia, muoia, il tiranno.
ALTRI SENATORI, fuggendosi
Oh vista! Oh giorno!
CESARE Figlio,... e tu pure?... Io moro...
BRUTO Oh padre!... Oh Roma!...
CIMBRO Ma, dei fuggenti al grido, accorre in folla
il popol già...
CASSIO Lascia, che il popol venga:
spento è il tiranno. A trucidar si corra
Antonio anch'ei.
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