Scena
Terza. Bruto, Cicerone, Cassio, Cimbro.
CICERONE
Sì tardo giunge a cotant'alto affare
Bruto?...
BRUTO Ah! primiero io vi giungea, se tolto
finor non m'era...
CIMBRO E da chi mai?
BRUTO Pensarlo,
nullo il potria di voi. Parlarmi a lungo
volle Antonio finora.
CICERONE Antonio?
CASSIO E il vile
satellite di Cesare otteneva
udienza da Bruto?
BRUTO Ebbela, e in nome
del suo Cesare stesso. Egli abboccarsi
vuol meco, ad ogni patto: a lui venirne
m'offre, s'io il voglio; o ch'egli a me...
CIMBRO Certo, ebbe
da te ripulsa...
BRUTO No. Cesare amico,
al cor mio schietto or più terror non reca,
che Cesare nemico. Udirlo io quindi
voglio, e fra breve, e in questo tempio stesso.
BRUTO Ma, che mai vuol da te?
CASSIO Comprarmi; forse.
Ma in Bruto ancor, voi vi affidate, io spero.
CASSIO Più che in noi stessi.
CIMBRO Affidan tutti in Bruto;
anco i più vili.
BRUTO E a risvegliarmi, in fatti,
(quasi io dormissi) infra' miei passi io trovo
disseminati incitatori avvisi:
brevi, forti, romani; a me di laude
e biasmo in un, come se lento io fossi
a ciò che vuol Roma da me. Nol sono;
ed ogni spron mi è vano.
CASSIO Ma, che speri
dal favellar con Cesare?...
CICERONE Cangiarlo
tu speri forse...
BRUTO E piacemi, che il senno
del magnanimo Tullio, al mio disegno
si apponga in parte.
CASSIO Oh! che di' tu? Noi tutti,
lungamente aspettandoti, qui esposto
abbiamo a lungo il parer nostro: un solo
fummo in Cesare odiar, nell'amar Roma,
e nel voler morir per lei: ma fummo
tre diversi nel modo. Infra il tornarne
alla civile guerra; o il popol trarre
d'inganno, e all'armi; o col privato ferro
svenar Cesare in Roma; or di', qual fora
il partito di Bruto?
BRUTO Il mio? - Nessuno,
per or, di questi. Ove fia vano poscia
il mio, scerrò pur sempre il terzo.
CASSIO Il tuo?
E qual altro ne resta?
BRUTO A voi son noto:
parlar non soglio invan: piacciavi udirmi. -
Per sanarsi in un giorno, inferma troppo
è Roma ormai. Puossi infiammar la plebe,
ma per breve, a virtù; che mai coll'oro
non si tragge al ben far, come coll'oro
altri a viltà la tragge. Esser può compra
la virtù vera, mai? Fallace base
a libertà novella il popol guasto
sarebbe adunque. Ma, il senato è forse
più sano? annoverar si pon gli schietti;
odian Cesare in core i rei pur anco,
non perch'ei toglie libertade a tutti
ma perché a lor, tiranno unico, ei toglie
d'esser tiranni. A lui succeder vonno;
lo abborriscon perciò.
CICERONE Così non fosse
come vero è, pur troppo!
BRUTO Ir cauto il buono
cittadin debbe, infra bruttura tanta,
per non far peggio. Cesare è tiranno;
ma non sempre lo è stato. Il vil desio
d'esser pieno signore, in cor gli sorge
da non gran tempo: e il vile Antonio, ad arte,
inspirando gliel va, per trarlo forse
a sua rovina, e innalzar sé sovr'esso.
Tali amici ha il tiranno.
CASSIO Innata in petto
la iniqua brama di regnar sempr'ebbe
Cesare...
BRUTO No; non di regnar: mai tanto
non osava ei bramare. Or tu l'estimi
più grande, e ardito, che nol fosse ei mai.
Necessità di gloria, animo ardente,
anco il desir non alto di vendetta
dei privati nemici, e in fin più ch'altro,
l'occasion felice, ivi l'han spinto,
dove giunge ora attonito egli stesso
del suo salire. Entro il suo cuor può ancora
desio d'onor, più che desio di regno.
Provar vel deggio? Or, non disegna ei forse
d'ir contra i Parti, e abbandonar pur Roma,
ove tanti ha nemici?
CIMBRO Ei mercar spera
con l'alloro dei Parti il regio serto.
BRUTO Dunque a virtù, più assai che a forza, ei vuole
del regio serto esser tenuto: ei dunque
ambizioso è più che reo...
CASSIO Sue laudi
a noi tu intessi?...
BRUTO Udite il fine. - Ondeggia
Cesare ancora infra se stesso; ei brama
la gloria ancor; non è dunqu'egli in core
perfetto ancor tiranno: ma, ei comincia
a tremar pure, e finor non tremava;
vero tiranno ei sta per esser dunque.
Timor lo invase, ha pochi dì, nel punto
che il venduto suo popolo ei vedea
la corona negargli. Ma, qual sia,
non è sprezzabil Cesare, né indegno
ch'altri a lui schiuda al ravvedersi strada.
Io per me deggio, o dispregiar me stesso,
o lui stimar; poiché pur volli a lui
esser tenuto io della vita, il giorno
ch'io ne' campi farsalici in sue mani
vinto cadeva. Io vivo; e assai gran macchia
è il mio vivere a Bruto; ma saprolla
io scancellar, senza esser vil, né ingrato.
CICERONE Dell'armi è tal spesso la sorte: avresti
tu, se il vincevi, la vittoria seco
pure usata così. Non ebbe in dono
Cesare stesso anch'ei sua vita, a Roma
or sì fatale? in don la vita anch'egli,
per grazia espressa, e vieppiù espresso errore,
non ricevea da Silla?
BRUTO È vero; eppure
mai non mi scordo i beneficj altrui:
ma il mio dover, e la mia patria a un tempo,
in cor ben fitti io porto. A Bruto, in somma,
Cesare è tal, che dittator tiranno,
(qual è, qual fassi ogni dì più) nol vuole
Bruto lasciare a patto nullo in vita;
e vuol svenarlo, o esser svenato ei stesso...
Ma, tale in un Cesare a Bruto appare,
che libertade, e impero, e nerbo, e vita
render, per ora, ei solo il puote a Roma,
s'ei cittadin ritorna. È della plebe
l'idolo già; norma divenga ai buoni;
faccia de' rei terrore esser le leggi:
e, finché torni al prisco stato il tutto,
dal disfar leggi al custodirle sia
il suo poter converso. Ei d'alti sensi
nacque; ei fu cittadino: ancor di fama
egli arde: è cieco, sì; ma tal lo han fatto
sol la prospera sorte, e gli empj amici,
che fatto gli hanno della gloria vera
l'orme smarrire. O che il mio dire è un nulla;
o ch'io parole sì incalzanti e calde
trar dal mio petto, e sì veraci e forti
ragion tremende addur saprogli, e tante,
ch'io sì, sforzar Cesare spero; e farlo
grande davvero, e di virtù sì pura,
ch'ei sia d'ogni uom, d'ogni Romano, il primo;
senza esser più che un cittadin di Roma.
Sol che sua gloria a Roma giovi, innanzi
io la pongo alla mia: ben salda prova
questo disegno mio, parmi, saranne. -
Ma, se a Cesare or parla indarno Bruto,
tu il vedi, o Cassio con me sempre io 'l reco;
ecco il pugnal, ch'a uccider lui fia ratto,
più che il tuo brando...
CICERONE Oh cittadin verace!
Grande sei troppo tu; mal da te stesso
tu puoi conoscer Cesare tiranno.
CASSIO Sublime Bruto, una impossibil cosa,
ma di te degna, in mente volgi; e solo
tentarla puoi. Non io mi oppongo: ah! trarti
d'inganno appien, Cesare solo il puote.
CIMBRO Far d'un tiranno un cittadino? O Bruto,
questa tua speme generosa, è prova
ch'esser tu mai tiranno non potresti.
BRUTO Chiaro in breve fia ciò: d'ogni oprar mio
qui poi darovvi pieno conto io stesso. -
Ov'io vano orator perdente n'esca,
tanto più acerbo feritor gagliardo
a' cenni tuoi, Cassio, mi avrai; tel giuro.
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