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Vittorio Alfieri
Filippo

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  • ATTO TERZO.
    • Scena Prima. Carlo, Isabella.
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ATTO TERZO.

 

Scena Prima. Carlo, Isabella.

 

CARLO Scusa, deh! scusa l'ardir mio novello:
s'io richieder ti fea breve udìenza
dalla tua Elvira in ora tarda e strana,
alta cagion mi vi stringea.
ISABELLA Che vuoi?...
Perché a me non mi lasci? a che più tormi,
la pace ch'io non ho?... Perché venn'io?
CARLO Deh! non sdegnarti; or or ti lascio; ahi sorte!
Ti lascio, e torno all'usato mio pianto.
Odimi. Or dianzi al genitor tu ardisti
qui favellare a favor mio: gran fallo
tu festi; a dirtel vengo; e al ciel deh piaccia,
ch'io sol n'abbia la pena! Ei di severa
pietà fea pompa; ed il perdon mi dava,
pegno in lui sempre di più atroce sdegno.
Grave oltraggio al tiranno è un cor pietoso:
ottima tu, non tel pensavi allora;
a rimembrartel vengo: a dirti a un tempo,
che in lui foriera è d'ogni mal pietade.
Terror, che in me mai non conobbi io prima,
da quell'istante il cor m'invase: oh cielo!...
Non so: nuovo linguaggio ei mi tenea;
mostrava affetto insolito. Deh! mai,
mai più di me non gli parlare.
ISABELLA Ei primo
menzion mi fea di te; quasi a risposta
ei mi sforzava: ma, placarsi appieno
parve a' miei detti il suo furore. E or dianzi,
allor che appunto favellato ei t'ebbe,
teneramente di paterno amore
pianse, e laudotti in faccia mia. Ti è padre,
ti è padre in somma: e fia giammai ch'io creda,
ch'unico figlio, il genitor non l'ami?
L'ira ti accieca; un odio in lui supponi,
che allignar non vi può... Cagion son io,
misera me! che tu non l'ami.
CARLO Oh donna!
mal ci conosci entrambi; è ver ch'io fremo,
ma pur, non l'odio: invido son di un bene,
ch'ei mi ha tolto, e nol merta; e il pregio raro,
no, non ne sente. Ah, fossi tu felice!
Men mi dorrei.
ISABELLA Vedi: ai lamenti usati
torni, malgrado tuo. Prence, ti lascio.
Vivi securo omai, ch'ogni mio detto,
ogni mio cenno io peserò ben pria,
che di te m'oda favellar Filippo.
Temo anch'io,... ma più il figlio assai, che il padre.




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