ATTO
QUINTO.
Ch'altro a temer, ch'altro a sperar mi resta,
che morte omai? Scevra d'infamia almeno
l'avessi!... Ah! deggio dal crudel Filippo
piena d'infamia attenderla. – Un sol dubbio,
e peggior d'ogni morte, il cor mi punge.
Forse ei sa l'amor mio: nei fiammeggianti
torvi suoi sguardi un non so qual novello
furor, mal grado suo, tralucer vidi...
e il suo parlar colla regina or dianzi...
e l'appellarmi; e l'osservar... Che fia...
(oh ciel!) che fia, se a lui sospetta a un tempo
la consorte diventa? Oimè! già forse
punisce in lei la incerta colpa il crudo;
che del tiranno la vendetta sempre
suol prevenir l'offesa... Ma, se a tutti
il nostro amor, ed a noi quasi, è ignoto,
donde il sapria?... me forse avrian tradito
i sospir miei? Che dico? a rio tiranno
noti i sospir d'amore?... A un cotal padre
penetrare il mio amor mestier fors'era,
per farsi atroce, e snaturato? Al colmo
l'odio era in lui, né più indugiar potea.
Ben venga il dì, ben venga, ov'io far pago
della mia testa il posso. – Ahi menzognera
turba di amici della sorte lieta!
Dove or sei tu? nulla da voi, che un brando,
vorrei; ma un brando, onde all'infamia tormi,
nessun di voi mel porgerà... Qual sento
stridor?... la ferrea porta si disserra!
Che mi s'arreca? udiam... Chi fia?
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