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Vittorio Alfieri
Oreste

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  • ATTO QUINTO.
    • Scena Duodecima. Elettra, Oreste.
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Scena Duodecima. Elettra, Oreste.

 

ELETTRA O fratel mio, deh! vieni;
vendicator del re dei re, del padre,
d'Argo, di me; vieni al mio sen...
ORESTE Sorella,...
me degno figlio al fin d'Atride vedi.
Mira, è sangue d'Egisto. Io 'l vidi appena,
corsi a ucciderlo ; né rimembrai
di strascinarlo alla tomba del padre.
Ben sette e sette volte entro all'imbelle
tremante cor fitto e rifitto ho il brando: -
pur non ho sazia la mia lunga sete.
ELETTRA In tempo dunque a rattenerti il braccio
non giungea Clitennestra.
ORESTE E chi da tanto
fora? a me il braccio rattener? Sovr'esso
io mi scagliai; non è più ratto il lampo.
Piangea il codardo, e più m'empiea di rabbia
quel pianto infame. Ah padre! uom che non osa
morir, ti uccise?
ELETTRA Or vendicato è il padre;
tuoi spirti acqueta; e dimmi: agli occhi tuoi
Pilade non occorse?
ORESTE Egisto io vidi,
null'altro. - OvPilade amato? e come
a tanta impresa non l'ebb'io secondo?
ELETTRA A lui la disperata madre insana
dianzi affidai.
ORESTE Nulla di loro io seppi.
ELETTRA Ecco, Pilade torna;... oh ciel! che veggio?
Solo ei ritorna?
ORESTE è mesto!




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