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Vittorio Alfieri
Oreste

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  • ATTO PRIMO.
    • Scena Seconda. Clitennestra, Elettra.
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Scena Seconda. Clitennestra, Elettra.

 

CLITENNESTRA Figlia.
 ELETTRA Qual voce? Oh ciel! tu vieni?...
CLITENNESTRA O figlia,
deh! non sfuggirmi; io la sant'opra teco
divider voglio; invan lo vieta Egisto:
ei nol saprà. Deh! vieni; andiam compagne
alla tomba.
ELETTRA Di chi?
CLITENNESTRA ... Del... tuo... infelice...
padre.
ELETTRA Perché non dir, del tuo consorte?
Non l'osi; e ben ti sta. Ma il piè ver esso
come ardirai tu volgere? tu lorda
ancor del sangue suo?
CLITENNESTRA Scorsi due lustri
son da quel dì fatale; il mio delitto
due lustri interi or piango.
ELETTRA E qual può tempo
bastare a ciò? fosse anco eterno il pianto,
nulla saria. Nol vedi? ancor rappreso
sta su queste pareti orride il sangue,
che tu spargesti: ah! fuggi: al tuo cospetto,
mira, ei rosseggia, e vivido diventa.
Fuggi, o tu, cui né posso omai, né debbo
madre nomar: vanne; dell'empio Egisto
riedi al talamo infame. Al fianco suo
tu sua consorte sta: né più inoltrarti
a perturbar le quete ossa d'Atride.
Già già l'irata sua terribil ombra
sorge a noi contro, e te respinge addietro.
CLITENNESTRA Fremer mi fai... Tu già mi amasti,... o figlia...
Oh rimorsi!... oh dolore!... ahi lassa!... E pensi,
ch'io con Egisto sia felice forse?
ELETTRA Felice? E il merti? Oh! ben provvide il cielo,
ch'uom per delitti mai lieto non sia.
Eternamente nell'eterno fato
sta tua sventura scritta. Ancor non provi,
che i primi tuoi martìri: il premio intero
ti si riserba di Cocìto all'onda.
Là sostener del trucidato sposo
dovrai gl'irati minacciosi sguardi:
là, al tuo giunger, vedrai fremer degli avi
l'ombre sdegnose: udrai de' morti regni
lo inesorabil giudice dolersi,
che niun tormento al tuo fallir si adegui.
CLITENNESTRA Misera me! Che dir poss'io?... pietade...
ma, non la merto... Eppur, se in core, o figlia,
se tu in cor mi leggessi... Ah! chi lo sguardo
può rivolger senz'ira entro il mio core
contaminato d'infamia cotanta?
L'odio non posso in te dannar, né l'ira.
Già in vita tutti i rei tormenti io provo
del tenebroso Averno. Il colpo appena
dalla man mi sfuggia, che il pentimento
tosto, ma tardo, mi assalia tremendo.
Dal punto in poi, quel sanguinoso spettro
e giorno e notte orribilmente sempre
sugli occhi stammi. Ov'io pur muova, il veggo
di sanguinosa striscia atro sentiero
precedendo segnarmi: a mensa, in trono,
mi siede a lato: infra le acerbe piume,
se pure avvien che gli occhi al sonno io chiuda,
tosto, ahi terribil vista! ecco mostrarsi
nel sogno l'ombra; e il già squarciato petto
dilaniar con man rabida, e trarne
piene di negro sangue ambe le palme,
e gittarmelo in volto. - A orrende notti,
dì sottentran più orrendi: in lunga morte
così men vivo. - O figlia, (qual ch'io sia,
mi sei pur tale) al pianger mio non piangi?
ELETTRA Piango,... sì,... piango. - Ma tu, di'; non premi,
tuttor non premi l'usurpato trono?
teco tuttora Egisto vil non gode
comune il frutto del comun misfatto? –
Pianger di te, nol deggio; e meno io deggio
credere al pianger tuo. Vanne, rientra;
lascia ch'io sola a compier vada...
CLITENNESTRA O figlia,
deh! m'odi;... aspetta... Io son misera assai.
Mi abborro più, che tu non m'odj... Egisto,
tardi il conobbi... Oimè!... che dico? appena
estinto Atride, atroce appien quant'era
conobbi Egisto; eppure ancor lo amai.
Di rimorso e d'amor miste ad un tempo
provai le furie,... e provo. Oh degno stato
di me soltanto!... Qual mercé mi renda
del suo delitto Egisto, appien lo veggo:
veggo il disprezzo in falso amor ravvolto:
ma, a tal son io, che omai qual posso ammenda
far del misfatto, che non sia misfatto?
ELETTRA Alto morire ogni misfatto ammenda.
Ma, poiché al petto tuo tu non torcesti
l'acciar del sangue marital fumante;
poiché in te stessa il braccio parricida
l'usato ardir perdea; perché il tuo ferro
non rivolgesti, o non rivolgi, al seno
di quell'empio, che a te l'onor, la pace,
la fama toglie, ed al tuo Oreste il regno?
CLITENNESTRA Oreste?... oh nome! Entro mie vene il sangue
tutto in udirlo agghiacciasi.
ELETTRA Ribolle,
d'Oreste al nome, entro ogni vena il mio.
Di madre amor, qual dee tal madre, or provi.
Ma, Oreste vive.
CLITENNESTRA E lunga vita il cielo
gli dia: sol ch'ei mai non rivolga incauto
ad Argo il piè. Misera madre io sono;
tolto a me stessa anco per sempre ho il figlio;
e forza m'è, per quanto io l'ami, ai Numi
porger voti, affinché mai più davanti
non mel traggano.
ELETTRA Amor tutt'altro io provo.
Bramo, che in Argo ei torni, e il ciel ne ho stanco;
e di sì cara ardente brama io vivo.
Spero, che un giorno ei qui mostrarsi ardisca,
qual figlio il debbe del trafitto Atride.

 




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