Scena
Seconda. Elettra, Oreste, Pilade.
ELETTRA Lungi una volta è per brev'ora
Egisto;
libera andar posso ad offrir... Che veggio?
Due, che all'abito, al volto io non ravviso...
Osservan me; paion stranieri.
ORESTE Udisti?
Nomato ha Egisto.
PILADE Ah! taci.
ELETTRA O voi, stranieri
(tali v'estimo) dite; a queste mura
che vi guida?
PILADE Parlar me lascia; statti. –
Stranieri, è ver, siam noi; d'alta novella
qui ne veniamo apportatori.
ELETTRA A Egisto
voi la recate?
PILADE Sì.
ELETTRA Qual mai novella?...
Dunque i passi inoltrate. Egisto è lungi:
infin ch'ei torni, entro la reggia starvi
potrete ad aspettarlo.
PILADE E il tornar suo?...
ELETTRA Sarà dentr'oggi, infra poch'ore. A
voi
grazie, onori, mercé, qual vi si debbe,
darà, se grata è la novella.
PILADE Grata
Egisto avralla, benché assai pur sia
per se stessa funesta.
ELETTRA Il cor mi balza. –
Funesta?... È tale, ch'io saper la possa?
PILADE Deh! perdona. Tu in ver donna mi
sembri
d'alto affare: ma pur, debito parmi,
che il re n'oda primiero... Al parlar mio
turbar ti veggio?... e che? potria spettarti
nuova recata di lontana terra?
ELETTRA Spettarmi?... no... Ma, di qual
terra sete?
PILADE Greci pur noi: di Creta ora
sciogliemmo. –
Ma in te, più che alle vesti, agli atti, al volto,
ai detti io l'orme d'alto duol ravviso.
Chieder poss'io?...
ELETTRA Che parli?... in me? - Tu sai,
che lievemente la pietà si desta
in cor di donna. Ogni non fausta nuova,
benché non mia, mi affligge: ora saperla
vorrei; ma udita, mi dorrebbe poscia.
Umano core!
PILADE Ardito troppo io forse
sarei, se a te il tuo nome?...
ELETTRA A voi l'udirlo
giovar non puote; e al mio dolor sollievo
(poiché dolor tu vedi in me) per certo
non fora il dirlo. - È ver, che d'Argo fuori...
spettarmi forse... alcuna cura,... alcuno
pensiero ancor potria. - Ma no: ben veggio
che a me non spetta il venir vostro in nulla.
Involontario un moto è in me, qualora
straniero approda a questi liti, il core
sentirmi incerto infra timore e brama
agitato ondeggiare. - Anch'io conosco
che a me svelar l'alta ragion non dessi
del venir vostro. Entrate: i passi miei
proseguirò ver quella tomba.
ORESTE Tomba!
quale? dove? di chi?
ELETTRA Non vedi? a destra?
d'Agamennòn la tomba.
ORESTE Oh vista!
ELETTRA E fremi
a cotal vista tu? Fama pur anco
dunque a voi giunse della orribil morte,
che in Argo egli ebbe?
PILADE Ove non giunse?
ORESTE O sacra
tomba del re dei re, vittima aspetti?
L'avrai.
ELETTRA Che dice?
PILADE Io non l'intesi.
ELETTRA Ei parla
di vittima? perché? Sacra d'Atride
gli è la memoria?
PILADE ... Orbato egli è del padre,
da non gran tempo: ogni lugùbre aspetto
quindi nel cor gli rinnovella il duolo;
spesso ei vaneggia. - In te rientra. - Ahi folle!
in te fidar doveva io mai?
ELETTRA Gli sguardi
fissi ei tien sulla tomba, immoti, ardenti;
e terribile in atto... - O tu, chi sei,
che generoso ardisci?...
ORESTE A me la cura
lasciane, a me.
PILADE Già più non t'ode. O donna,
scusa i trasporti insani: ai detti suoi
non badar punto: è fuor di sé. - Scoprirti
vuoi dunque a forza?
ORESTE Immergerò il mio brando
nel traditor tante fiate e tante,
quante versasti dalla orribil piaga
stille di sangue.
ELETTRA Ei non vaneggia. Un padre...
ORESTE Sì, mi fu tolto un padre. Oh
rabbia! E inulto
rimane ancora?
ELETTRA E chi sarai tu dunque,
se Oreste non sei tu?
PILADE Che ascolto?
ORESTE Oreste!
Chi, chi mi appella?
PILADE Or sei perduto.
ELETTRA Elettra
ti appella; Elettra io son, che al sen ti stringo
fra le mie braccia...
ORESTE Ove son io? Che dissi?...
Pilade oimè!...
ELETTRA Pilade, Oreste, entrambi
sgombrate ogni timor; non mento il nome.
Al tuo furor, te riconobbi, Oreste;
al duolo, al pianto, all'amor mio, conosci
Elettra tu.
ORESTE Sorella; oh ciel!... tu vivi?
tu vivi? ed io t'abbraccio?
ELETTRA Oh giorno!...
ORESTE Al petto
te dunque io stringo? Oh inesplicabil gioja! –
Oh fera vista! la paterna tomba?...
ELETTRA Deh! ti acqueta per ora.
PILADE Elettra, oh quanto
sospirai di conoscerti! tu salvo
Oreste m'hai, che di me stesso è parte;
pensa s'io t'amo.
ELETTRA E tu cresciuto l'hai;
fratel secondo a me tu sei.
PILADE Deh! meco
dunque i tuoi preghi unisci; ah! meco imprendi
a rattener di questo ardente spirto
i ciechi moti. Oreste, a duro passo
vuoi tu ridurci a forza? ad ogni istante
vuoi, ch'io tremi per te? Finora in salvo
qui ci han scorti pietate, amor, vendetta;
ma, se così prosiegui...
ORESTE È ver; perdona,
Pilade amato;... io fuor di me... Che vuoi?...
Qual senno mai regger potea?... Quai moti,
a una tal vista inaspettata!... - Io 'l vidi,
sì, con questi occhi io 'l vidi. Ergea la testa
dal negro avello: il rabbuffato crine
dal viso si togliea con mani scarne;
e sulle guance livide di morte
il pianto, e il sangue ancor rappreso stava.
Né il vidi sol; che per gli orecchi al core
flebil mi giunse, e spaventevol voce,
che in mente ancor mi suona. «O figlio imbelle,
che più indugi a ferire? adulto sei,
il ferro hai cinto, e l'uccisor mio vive?»
Oh rampogna!... Ei cadrà per me svenato
sulla tua tomba; dell'iniquo sangue
non serberà dentro a sue vene stilla:
tu il berai tutto, ombra assetata; e tosto.
ELETTRA Deh! l'ire affrena. Anch'io spesso
rimiro
l'ombra del padre squallida affacciarsi
a quei gelidi marmi; eppur mi taccio.
Vedrai le impronte del sangue paterno
ad ogni passo in questa reggia; e forza
ti fia mirarle con asciutto ciglio,
finché con nuovo sangue non l'hai tolte.
ORESTE Elettra, oh quanto, più che il dir,
mi fora
grato l'oprar! Ma, fin che il dì ne giunga,
starommi io dunque. Intanto, a pianger nati,
insieme almen piangerem noi. Fia vero
ciò ch'io più non sperava? entro al tuo seno,
d'amor, d'ira, e di duol, lagrime io verso?
Non seppi io mai di te più nulla: spenta
ti credea dal tiranno: a vendicarti,
più che a stringerti al sen, presto veniva.
ELETTRA Vivo, e ti abbraccio; e il primo
giorno è questo,
che il viver non mi duole. Il rio furore
del crudo Egisto, che fremea più sempre
di non poter farti svenar, mi fea
certa del viver tuo: ma, quando udissi,
che tu di Strofio l'ospitale albergo
lasciato avevi, oh qual tremore!...
PILADE Ad arte
sparse il padre tal grido, affin che in salvo
dalle insidie d'Egisto, ei rimanesse
così vieppiù sicuro. Io mai pertanto,
mai nol lasciai, né il lascierò.
ORESTE Sol morte
partir ci può.
PILADE Né lo potria pur morte.
ELETTRA Oh, senza esempio al mondo, unico
amico! –
Ma, dite intanto: al sospettoso, al crudo
tiranno, or come appresentarvi innanzi?
Celarvi qui, già nol potreste.
PILADE A lui
mostrar
vogliamci apportator mentiti
della morte d'Oreste.
ORESTE È vile il mezzo.
ELETTRA Men vil, ch'Egisto. Altro miglior,
più certo,
non havvi, no: ben pensi. Ove introdotti
siate a costui, pensier fia mio, del tutto,
il darvi e loco, e modo, e tempo, ed armi
per trucidarlo. Io serbo, Oreste, ancora,
quel ferro io serbo, che al marito in petto
vibrò colei, cui non osiam più madre
nomar dappoi.
ORESTE Che fa quell'empia? in quale
stato viv'ella? ed il non tuo delitto
come a te fa scontar, d'esserle figlia?
ELETTRA Ah! tu non sai, qual vita ella pur
tragge.
Fuor che d'Atride i figli, ognun pietade
ne avria... L'avremmo anche pur troppo noi. –
Di terror piena, e di sospetto sempre;
a vil tenuta dal suo Egisto istesso;
d'Egisto amante, ancor che iniquo il sappia;
pentita, eppur di rinnovare il fallo
capace forse, ove la indegna fiamma,
di cui si adira ed arrossisce, il voglia:
or madre, or moglie; e non mai moglie, o madre:
aspri rimorsi a mille a mille il core
squarcianle il dì; notturne orride larve
tolgonle i sonni. - Ecco qual vive.
ORESTE Il cielo
fa di lei lunga, terribil vendetta;
quella che a noi natura non concede.
Ma pure ella debb'oggi, o madre, o moglie
essere, il de'; quando al suo fianco, a terra
cader vedrà da me trafitto il reo
vile adultero suo.
ELETTRA Misera madre!
vista non l'hai;... chi sa?... in vederla...
ORESTE Udito
ho il padre; e basta.
ELETTRA Eppure un cotal misto
ribrezzo in cor tu proverai, che a forza
pianger faratti, e rimembrar che è madre.
Ella è mite per me; ma Egisto vile,
che a' preghi suoi sol mi serbò la vita,
quanto più può mi opprime. Il don suo crudo
io pur soffrii, per aspettare il giorno,
che il ferro lordo del paterno sangue
rendessi a te. Questa mia destra armarne
più volte io volli, abbenché donna: al fine
tu giungi, Oreste; e assai tu giungi in tempo;
ch'oggi Egisto, per torre a sé il mio aspetto,
mi vuol d'un de' suoi schiavi a forza sposa.
ORESTE Non invitato, all'empie nozze io
vengo:
vittima avran non aspettata i Numi.
ELETTRA Si oppon, ma invano, Clitennestra.
ORESTE In lei,
dimmi, fidar nulla potremmo?
ELETTRA Ah! nulla.
Benché fra 'l vizio e la virtude ondeggi,
si attiene al vizio ognora. Egisto al fianco
più non le stando,... allor,... forse.... Fa d'uopo
vederla poi. Meco ella piange, è vero;
ma, col tiranno sta. Sua vista sfuggi,
finché non torni Egisto.
PILADE E dove i passi
portò quel vile?
ELETTRA
Empio, ei festeggia il giorno
della morte d'Atride.
ORESTE Oh rabbia!
ELETTRA I Numi
ora oltraggiando ei sta. Di qui non lunge,
sulla via di Micene al re dell'ombre
vittime impure, e infami voti ei porge:
né a lungo andar può molto il rieder suo. –
Ma noi qui assai parlammo: io nella reggia
rientrerò non vista: ad aspettarlo
statevi là dell'atrio fuor del tutto.
Pilade, affido a te il fratello. Oreste,
se m'ami, oggi il vedrò: per l'amor nostro,
per la memoria dell'ucciso padre,
l'amico ascolta, e il tuo bollor raffrena:
che la vendetta sospirata tanto
cader può a vuoto, per volerla troppo.
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