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Vittorio Alfieri Della tirannide IntraText CT - Lettura del testo |
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Capitolo Quinto – Dell’ambizione.
1. Quel possente stimolo, per cui tutti gli uomini, qual più, qual meno, ricercando vanno di farsi maggiori degli altri, e di sé; quella bollente passione, che produce del pari e le più gloriose e le più abbominevoli imprese; l'ambizione in somma, nella tirannide non perde punto della sua attività, come tante altre nobili passioni dell'uomo, che in un tal governo intorpidite rimangono e nulle. Ma, l'ambizione nella tirannide, trovandosi intercette tutte le vie e tutti i fini virtuosi e sublimi, quanto ella è maggiore, altrettanto più vile riesce e viziosa. 2. Il più alto scopo dell'ambizione in chi è nato non libero, si è di ottenere una qualunque parte della sovrana autorità: ma in ciò quasi del tutto si assomigliano e le tirannidi e le più libere e virtuose repubbliche. Tuttavia, quanto diversa sia quell'autorità parimente desiata, quanto diversi i mezzi per ottenerla, quanto diversi i fini allor quando ottenuta siasi, ciascuno per se stesso lo vede. Si perviene ad un'assoluta autorità nella tirannide, piacendo, secondando, e assomigliandosi al tiranno: un popolo libero non concede la limitata e passeggera autorità, se non se a una certa virtù, ai servigj importanti resi alla patria, all'amore del ben pubblico in somma, attestato coi fatti. Né i tutti possono volere altro utile mai, che quello dei tutti; né altri premiare, se non quelli che arrecano loro quest'utile. È vero nondimeno, che possono i tutti alle volte ingannarsi, ma per breve tempo; e l'ammenda del loro errore sta in essi pur sempre. Ma il tiranno, che è uno solo, ed un contra tutti, ha sempre un interesse non solamente diverso, ma per lo più direttamente opposto a quello di tutti: egli dee dunque rimunerare chi è utile a lui; e quindi, non che premiare, perseguitare e punire debb'egli chiunque veramente tentasse di farsi utile a tutti. 3. Ma, se il caso pure volesse che il bene di quell'uno fosse ad un tempo in qualche parte il bene di tutti, il tiranno nel rimunerarne l'autore pretesterebbe forse il ben pubblico; ma, in essenza, egli ricompenserebbe il servigio prestato al suo privato interesse. E così colui, che avrà per caso servito lo stato (se pure una tirannide può dirsi mai stato, e se giovar si può ai servi, non liberandoli prima d'ogni cosa dalla lor servitù) colui pur sempre dirà, ch'egli ha servito il tiranno; svelando con queste parole o il vile suo animo, o il suo cieco intelletto. Ed il tiranno stesso, ove la paura sua, e la dissimulazione che n'è figlia, non gli vadano rammentando che si dee pur nominare, almeno per la forma, lo stato; il tiranno anch'egli dirà, per innavvertenza, di aver premiato i servigj prestati a lui stesso. 4. Così Giulio Cesare scrittore, parlando di Giulio Cesare capitano, e futuro tiranno, si lasciava sfuggir dalla penna le seguenti parole: Scutoque ad eum (ad Caesarem) relato Scaevae Centurionis, inventa sunt in eo foramina CCXXX: quem Caesar, ut erat DE SE meritus et de republica, donatum millibus ducentis, etc. Si vede in questo passo dalle parole, DE SE meritus, quanto il buon Cesare, essendosi pure prefisso nei suoi commentarj di non parlar di se stesso se non alla terza persona, ne parlasse qui inavvertentemente alla prima; e talmente alla prima, che la parola de republica non veniva che dopo la parola DE SE, quasi per formoletta di correzione. In tal modo scriveva e pensava il più magnanimo di tutti i tiranni, allor quando non si era ancor fatto tale; quando egli stava ancora in dubbio se potrebbe riuscir nella impresa: ed era costui nato e vissuto cittadino fino a ben oltre gli anni quaranta. Ora, che penserà e dirà egli su tal punto un volgare tiranno? colui, che nato, educato tale, certo di morire sul trono, se ne vive fino alla sazietà nauseato di non trovar mai ostacoli a qualunque sua voglia? 5. Risulta, mi pare, da quanto ho detto fin qui; che l'ottenere il favore di un solo attesta pur sempre più vizj che virtù in colui che l'ottiene; ancorché quel solo che lo accorda, potesse esser virtuoso; poiché, per piacere a quel solo, bisogna pur essere o mostrarsi utile a lui, mentre la virtù vuole che l'uomo pubblico evidentemente sia utile al pubblico. E parimente risulta dal fin qui detto; che l'ottenere il favore di un popolo libero, ancorché corrotto sia egli, attesta nondimeno necessariamente in chi l'ottiene, alcuna capacità e virtù; poiché, per piacere a molti ed ai più, bisogna manifestamente essere, o farsi credere, utile a tutti; cosa, che, o da vera o da finta intenzione ella nasca, sempre a ogni modo richiede una tal quale capacità e virtù. In vece che il mostrarsi piacevole ed utile a un solo potente col fine di usurparsi una parte della di lui potenza, richiede sempre e viltà di mezzi, e picciolezza di animo, e raggiri, e doppiezze, e iniquità moltissime, per competere e soverchiare i tanti altri concorrenti per lo stesso mezzo ad una cosa stessa. 6. E quanto asserisco, mi sarà facile il provar con esempj. Erano già molto corrotti i Romani, e già già vacillava la lor libertà, allorché Mario, guadagnati a sé i suffragj del popolo, si facea console a dispetto di Silla e dei nobili. Ma si consideri bene quale si fosse codesto Mario; quali e quante virtù egli avesse già manifestate e nel foro e nel campo; e tosto si vedrà che il popolo giustamente lo favoriva, poiché (secondo le circostanze ed i tempi) le virtù sue soverchiavano di molto i suoi vizj. Erano i Francesi, non liberi, (che stati fino ai dì nostri non lo sono pur mai) ma in una crisi favorevole a far nascere libertà, ed a fissare per sempre i giusti limiti di un ragionevole principato, allorché saliva sul trono Arrigo quarto, quell'idolo dei Francesi un secolo dopo morte. Sully, integerrimo ministro di quell'ottimo principe, ne godeva in quel tempo, e ne meritava, il favore. Ma, se si vuole per l'appunto appurare qual fosse la politica virtù di codesti due uomini, ella si giudichi da quello che fecero. Sully, ebbe egli mai la virtù e l'ardire di prevalersi di un tal favore, e di sforzare con evidenza di ragioni inespugnabili quell'ottimo re, a innalzare per sempre le stabili e libere leggi sopra di sé e dei suoi successori? e se egli ne avesse avuto l'ardire, si può egli presumere, che avrebbe conservato il favore di Arrigo? Dunque codesto favore di un tiranno anche ottimo, non si può assolutamente acquistar dal suo suddito per via di vera politica virtù; né si può (molto meno) per via di vera politica virtù conservare. 7. Esaminiamo ora da prima i fonti dell'autorità. I mezzi per ottenerla nelle repubbliche, sono il difenderle e l'illustrarle; lo accrescerne l'impero e la gloria; l'assicurarne la libertà, ove sane elle siano; il rimediare agli abusi, o tentarlo, se corrotte elle sono; e in fine, il dimostrar loro sempre la verità, per quanto spiacevole ed oltraggiosa ella paja. 8. I mezzi per ottenere autorità dal tiranno, sono il difenderlo, ma più ancora dai sudditi che non dai nemici; il laudarlo; il colorirne i difetti; lo accrescerne l'impero e la forza; l'assicurarne l'illimitato potere apertamente, s'egli è un tiranno volgare; lo assicurarglielo sotto apparenza di ben pubblico, s'egli è un accorto tiranno: e a ogni modo, il tacere a lui sempre, e sovra tutte le altre, questa importantissima verità: Che sotto l'assoluto governo di un solo ogni cosa debb'essere indispensabilmente sconvolta e viziosa. Ed una tal verità è impossibile a dirsi da chi vuol mantenersi il favor del tiranno; ed è forse impossibile a pensarsi e sentirsi da chi lo abbia ricercato mai, e ottenuto. Ma, questa manifesta e divina verità, riesce non meno impossibile a tacersi da chi vuol veramente il bene di tutti: e impossibile finalmente riesce a soffrirsi dal tiranno, che vuole, e dee volere, prima d'ogni altra cosa, il privato utile di se stesso. 9. Le corti tutte son dunque per necessità ripienissime di pessima gente; e, se pure il caso vi ha intruso alcun buono, e che tale mantenervisi ardisca, e mostrarsi, dee tosto o tardi costui cader vittima dei tanti altri rei che lo insidiano, lo temono, e lo abborriscono, perché sono vivamente offesi dalla di lui insopportabil virtù. Quindi è, che dove un solo è signore di tutto e di tutti, non può allignare altra compagnia, se non se scellerata. Di questa verità tutti i secoli, e tutte le tirannidi, han fatto e faranno indubitabile fede; e con tutto ciò, in ogni secolo, in ogni tirannide, da tutti i popoli servi ella è stata e sarà pochissimo creduta, e meno sentita. Il tiranno, ancorché d'indole buona sia egli, rende immediatamente cattivi tutti coloro che a lui si avvicinano; perché la sua sterminata potenza, di cui (benché non ne abusi) mai non si spoglia, vie maggiormente riempie di timore coloro che più da presso la osservano: dal più temere nasce il più simulare; e dal simulare e tacere, l'esser pessimo e vile. 10. Ma, dall'ambizione nella tirannide ne ridonda spesso all'ambizioso un potere illimitato non meno che quello del tiranno; e tale, che nessuna repubblica mai, a nessuno suo cittadino, né può né vuole compatirne un sì grande. Perciò pare ai molti scusabile colui, che essendo nato in servaggio, ardisce pure proporsi un così alto fine; di farsi più grande che lo stesso tiranno, all'ombra della di lui imbecillità, o della di lui non curanza. Risponda ciascuno a questa obiezione, col domandare a se stesso: «Un'autorità ingiusta, illimitata, rapita, e precariamente esercitata sotto il nome d'un altro, ottener si può ella giammai, senza inganno? Può ella esercitarsi mai, senza nuocere a molti, e per lo meno ai concorrenti ad essa? Può ella finalmente mai conservarsi, senza frode crudeltà e prepotenza nessuna?» 11. Si ambisce dunque l'autorità nelle repubbliche, perché ella in chi l'acquista fa fede di molte virtù, e perch'ella presta largo campo ad accrescersi quell'individuo la propria gloria coll'util di tutti. Si ambisce nelle tirannidi, perché ella vi somministra i mezzi di soddisfare alle private passioni; di sterminatamente arricchire; di vendicare le ingiurie e di farne, senza timor di vendetta; di beneficare i più infami servigj; e di fare in somma tremare quei tanti che nacquero eguali, o superiori, a colui che la esercita. Né si può in verun modo dubitare, che nella repubblica, e nella tirannide, gli ambiziosi non abbiano questi fra loro diversi disegni. Già prima di acquistare l'autorità il repubblicano benissimo sa che non potrà egli sempre serbarla; che non potrà abusarne, perché dovrà dar conto di sé rigidissimo ai suoi eguali; e che l'averla acquistata è una prova che egli era migliore, o più atto da ciò, che non i competitori suoi. Così, nella tirannide, non ignora lo schiavo, che quella autorità ch'egli ambisce, non avrà nessun limite; ch'ella è perciò odiosissima a tutti; che lo abusarne è necessario per conservarla; che il ricercarla attesta la pessima indole del candidato; che l'ottenerla chiaramente dimostra ch'egli era tra i concorrenti tutti il più reo. Eppure codesti due ambiziosi, queste cose tutte sapendo già prima, senza punto arrestarsi corrono entrambi del pari la intrapresa carriera. Ora, chi potrà pure asserire che l'ambizioso in repubblica non abbia per meta la gloria più assai che la potenza? e che l'ambizioso nella tirannide si proponga altra meta, che la potenza, la ricchezza, e la infamia? 12. Ma, non tutte le ambizioni, hanno per loro scopo la suprema autorità. Quindi, nell'uno e nell'altro governo, si trova poi sempre un infinito numero di semi-ambiziosi, a cui bastano i semplici onori senza potenza; ed un numero ancor più infinito di vili, a cui basta il guadagno senza potenza né onori. E milita anche per costoro, nell'uno e nell'altro governo, la stessa differenza e ragione. Gli onori nelle repubbliche non si rapiscono coll'ingannare un solo, ma si ottengono col giovare o piacere ai più: ed i più non vogliono onorare quell'uno, se egli non lo merita affatto; perché facendolo, disonorano pur troppo se stessi. Gli onori nella tirannide (se onori chiamar pur si possono) vengono distribuiti dall'arbitrio d'un solo; si accordano alla nobiltà del sangue per lo più; alla fida e total servitù degli avi; alla perfetta e cieca obbedienza, cioè all'intera ignoranza di se stesso; al raggiro; al favore; e alcune volte, al valore contra gli esterni nemici. 13. Ma, gli onori tutti (qualunque siano) sempre per loro natura diversi in codesti diversi governi, sono pur anche, come ognun vede, per un diverso fine ricercati. Nella tirannide, ciascuno vuol rappresentare al popolo una anche menoma parte del tiranno. Quindi un titolo, un nastro, o altra simile inezia, appagano spesso l'ambizioncella d'uno schiavicello; perché questi onorucci fan prova, non già ch'egli sia veramente stimabile, ma che il tiranno lo stima; e perché egli spera, non già che il popolo l'onori, ma che lo rispetti e lo tema. Nella repubblica, manifesta e non dubbia cosa è, per qual ragione gli onori si cerchino; perché veramente onorano chi li riceve. 14. L'ambizione d'arricchire, chiamata più propriamente CUPIDIGIA, non può aver luogo nelle repubbliche, fin ch'elle corrotte non sono; e quando anche il siano, i mezzi per arricchirvi essendo principalmente la guerra, il commercio, e non mai la depredazione impunita del pubblico erario, ancorché il guadagno sia uno scopo per se stesso vilissimo, nondimeno per questi due mezzi egli viene ad essere la ricompensa di due sublimi virtù; il coraggio, e la fede. L'ambizione d'arricchire è la più universale nelle tirannidi; e quanto elle sono più ricche ed estese, tanto più facile a soddisfarsi per vie non legittime da chiunque vi maneggia danaro del pubblico. Oltre questo, molti altri mezzi se ne trovano; e altrettanti esser sogliono, quanti sono i vizj del tiranno, e di chi lo governa. 15. Lo scopo, che si propongono gli uomini nello straricchire, è vizioso nell'uno e nell'altro governo; e più ancora nelle repubbliche che nelle tirannidi; perché in quelle si cercano le ricchezze eccessive, o per corrompere i cittadini, o per soverchiar l'uguaglianza; in queste, per godersele nei vizj e nel lusso. Con tutto ciò, mi pare pur sempre assai più escusabile l'avidità di acquistare, in quei governi dove i mezzi ne son men vili, dove l'acquistato è sicuro, e dove in somma lo scopo (ancorché più reo) può essere almeno più grande. In vece che nei governi assoluti, quelle ricchezze che sono il frutto di mille brighe, di mille iniquità e viltà, e dell'assoluto capriccio di un solo, possono essere in un momento ritolte da altre simili brighe, iniquità e viltà, o dal capriccio stesso che già le dava, o che rapire lasciavale. 16. Parmi d'aver parlato di ogni sorta d'ambizione, che allignare possa nella tirannide. Conchiudo; che questa stessa passione, che è stata e può essere la vita dei liberi stati, la più esecrabil peste si fa dei non liberi. |
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