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Vittorio Alfieri
Della tirannide

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  • LIBRO PRIMO.
    • Capitolo Sesto – Del primo ministro.
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Capitolo Sesto – Del primo ministro.

 

Ad consulatum non nisi per Sejanum aditus:
neque Sejani voluntas nisi scelere quaerebatur
.

 

1. E fra le più atroci calamità pubbliche, cagionate dall'ambizione nella tirannide, si dee, come atrocissima e massima, reputar la persona del primo ministro, da me nel precedente capitolo soltanto accennata, e di cui credo importante ora, e necessarissimo, il discorrere a lungo.

2. Questa fatal dignità altrettanto maggior lustro acquista a chi la possiede, quanto è maggiore la incapacità del tiranno, che la comparte. Ma siccome il solo favore di esso la crea; siccome, ad un tiranno incapace non è da presumersi che possa piacere pur mai un ministro illuminato e capace; ne risulta per lo più, che costui non meno inetto al governare che lo stesso tiranno, gli rassomiglia interamente nella impossibilità del ben fare, e di gran lunga lo supera nella capacità desiderio e necessità del far male. I tiranni d'Europa cedono a codesti loro primi ministri l'usufrutto di tutti i loro diritti; ma niuno ne vien loro accordato dai sudditi con maggiore estensione e in più supremo grado, che il giusto abborrimento di tutti. E questo abborrimento sta nella natura dell'uomo, che male può comportare, che altri, nato suo eguale, rapisca ed eserciti quella autorità caduta in sorte a chi egli crede nato suo maggiore: autorità, che per altre illegittime mani passando, viene a duplicare per lo meno la sua propria gravezza.

3. Ma questo primo ministro, dal sapersi sommamente abborrito, ne viene egli pure ad abborrire altrui sommamente; ond'egli gastiga, e perseguita, e opprime, ed annichila chiunque l'ha offeso; chiunque può offenderlo; chiunque ne ha, o glie ne viene imputato, il pensiero; e chiunque finalmente, non ha la sorte di andargli a genio. Il primo ministro perciò facilmente persuade poi a quel tiranno di legno, di cui ha saputo farsi l'anima egli, che tutte le violenze e crudeltà ch'egli adopera per assicurare se stesso, necessarie siano per assicurare il tiranno. Accade alle volte, che, o per capriccio, o per debolezza, o per timore, il tiranno ritoglie ad un tratto il favore e l'autorità al ministro; lo esiglia dalla sua presenza; e gli lascia, per singolare benignità, le predate ricchezze e la vita. Ma questa mutazione non è altro, che un aggravio novello al misero soggiogato popolo. Il che facilmente dimostrasi. Il ministro anteriore, benché convinto di mille rapine, di mille inganni, di mille ingiustizie, non discade tuttavia quasi mai dalla sua dignità, se non in quel punto, ove un altro più accorto di lui gli ha saputo far perdere il favor del tiranno. Ma, comunque egli giunga, ei giunge pure in somma quel giorno, in cui al ministro è ritolta l'autorità e il favore. Allora bisogna, che lo stato si prepari a sopportare il ministro successore, il quale dee pur sempre essere di alcun poco più reo del predecessore; ma, volendosi egli far credere migliore, innova e sovverte ogni cosa stabilita dall'altro, ed in tutto se gli vuole mostrare dissimile. Eppure costui vuole, e dee volere (come il predecessore) ed arricchirsi, e mantenersi in carica, e vendicarsi, e ingannare, ed opprimere, ed atterrire. Ogni mutazione dunque nella tirannide, così di tiranno, che di ministro, altro non è ad un popolo infelicemente servo, che come il mutare fasciatura e chirurgo ad una immensa piaga insanabile, che ne rinnuova il fetore e gli spasimi.

4. Ma, che il ministro successore debba esser poi di alcun poco più reo dell'antecessore, colla stessa facilità si dimostra. Per soverchiare un uomo cattivo accorto e potente, egli è pur d'uopo vincerlo in cattività e accortezza. Un ministro di tiranno per lo più non precipita, senza che alcuno di quelli che direttamente o indirettamente erano autori della sua rovina, a lui non sottentri. Ora, come seppe egli costui atterrare quei tanti ripari, che avea fatti quel primo per assicurarsi nel seggio suo? certamente, non per fortuna lo vinse, ma per arte maggiore. Domando: «Se nelle corti una maggior arte possa supporre minori vizj in chi la possiede e felicemente la esercita».

5. La non-ferocia dei moderni tiranni, che in essi non è altro che il prodotto della non-ferocia dei moderni popoli, non comporta che agli ex-ministri venga tolta la vita, e neppure le ricchezze, ancorch'elle siano per lo più il frutto delle loro iniquità e rapine: né soffrono costoro alcun altro gastigo, che quello di vedersi lo scherno e l'obbrobrio di tutti, e massime di quei vili che maggiormente sotto essi tremavano. Alcuni di questi vicetiranni smessi, hanno la sfacciataggine di far pompa di animo tranquillo nella loro avversa fortuna; e ardiscono stoltamente arrogarsi il nome di filosofi disingannati. E costoro fanno ridere davvero gli uomini savj, che ben sapendo cosa sia un filosofo, chiaramente veggono ch'egli non è, né può essere mai stato, un vicetiranno.

6. Ma perderei le parole, il tempo, e la maestà da un così alto tema richiesta, se dimostrar io volessi che un ente cotanto vile ed iniquo non può né essere stato mai, né divenire, un filosofo. Proverò bensì, (come cosa assai più importante) che un primo ministro del tiranno non è mai, né può essere, un uomo buono ed onesto: intendendo io da prima per politica onestà e vera essenza dell'uomo, quella per cui la persona pubblica antepone il bene di tutti al bene d'un solo, e la verità ad ogni cosa. E, nell'avere io definita la politica onestà, parmi di aver largamente provato il mio assunto. Se il tiranno stesso non vuole, e non può volere, il vero ed intero ben pubblico, il quale sarebbe immediatamente la distruzione della sua propria potenza, è egli credibile che lo potrà mai volere, ed operare, colui che precariamente lo rappresenta? colui, che un capriccio ed un cenno aveano quasi collocato sul trono, e che un capriccio ed un cenno ne lo precipitano?

7. Che il ministro poi non può essere privatamente uomo onesto, intendendo per privata onestà la costumatezza e la fede, si potrebbe pur anche ampiamente provare, e con ragioni invincibili: ma i ministri stessi, colle loro opere, tutto ce lo provano assai meglio che nessuno scrittore provarlo potrebbe con le parole. Si osservi soltanto, che non esiste ministro nessuno che voglia perder la carica; che niuna carica è più invidiata della sua; che niun uomo ha più nemici di lui, né più calunnie, o vere accuse, da combattere: ora, se la virtù per se stessa possa in un governo niente virtuoso resistere con una forza non sua al vizio, al raggiro, e all'invidia, ne lascio giudice ognuno.

8. Dalla potenza illimitata del tiranno trasferita nel di lui ministro, si viene a produrre la prepotenza; cioè l'abuso di un potere abusivo già per se stesso. Crescono la potenza e l'abuso ogniqualvolta vengono innestati nella persona di un suddito, perché questo tiranno elettivo e casuale si trova costretto a difendere con quella potenza il tiranno ereditario e se stesso. Una persona di più da difendersi, richiede necessariamente più mezzi di difesa; e un'autorità più illegittima, richiede mezzi più illegittimi. Perciò la creazione, o l'intrusione di questo personaggio nella tirannide, si dee senza dubbio riputare come la più sublime perfezione di ogni arbitraria potestà.

9. Ed eccone in uno scorcio la prova. Il tiranno, che non si è mai credutovisto nessun eguale, odia per innato timore l'universale dei sudditi suoi; ma non ne avendo egli mai ricevuto ingiurie private, gl'individui non odia. La spada sta dunque, fin ch'egli stesso la tiene, in mano di un uomo, che per non essere stato offeso, non sa cui ferire. Ma, tosto ch'egli cede questo prezioso e terribile simbolo dell'autorità ad un suddito, che si è veduto degli eguali, e dei superiori; ad uno, che, per essere sommamente iniquo ed odioso, dee sommamente essere odiato dai molti e dai più; chi ardirà mai credere allora, o asserire, o sperare che costui non ferisca?

 




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