1. Benché la
più verace gloria, cioè quella di farsi utile con alte imprese alla patria ed
ai concittadini, non possa aver luogo in chi, nato nella tirannide, inoperoso
per forza ci vive; nessuno tuttavia può contendere a chi ne avesse il nobile ed
ardente desiderio, la gloria di morire da libero, abbenché pur nato servo.
Questa gloria, quantunque ella paja inutile ad altrui, riesce nondimeno
utilissima sempre, per mezzo del sublime esempio; e, come rarissima, Tacito,
quell'alto conoscitore degli uomini, la giudica pure esser somma. Alla eroica
morte di Trasea, di Seneca, di Cremuzio Cordo, e di molti altri Romani
proscritti dai loro primi tiranni, altro in fatti non mancava, che una più
spontanea cagione, per agguagliar la virtù di costoro a quella dei Curzj, dei
Decj, e dei Regoli. E siccome, là dove ci è patria e libertà, la virtù in sommo
grado sta nel difenderla e morire per essa, così nella immobilmente radicata
tirannide non vi può essere maggior gloria, che di generosamente morire per non
viver servo.
2. Parmi
adunque, che nei nostri scellerati governi, i pochissimi uomini virtuosi e
pensanti vi debbano vivere da prudenti, finché la prudenza non degenera in
viltà; e morire da forti, ogniqualvolta la fortuna, o la ragione, a ciò li
costringa. Un cotal poco verrà ammendata così, con una libera e chiara morte,
la trapassata obbrobriosa vita servile.
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