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Vittorio Alfieri Della tirannide IntraText CT - Lettura del testo |
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Capitolo Settimo – Come si possa rimediare alla tirannide.
1. La volontà, o la opinione di tutti o dei più, mantiene sola la tirannide: la volontà e l'opinione di tutti o dei più, può sola veramente distruggerla. Ma, se nelle nostre tirannidi l'universale non ha idea d'altro governo, come si può egli arrivare ad infondere in tutti, o nei più, questo nuovo pensiero di libertà? Risponderò, piangendo, che mezzo brevemente efficace a produr tale effetto, nessuno ve ne ha; e che ne' paesi dove la tirannide da molte generazioni ha preso radice, moltissime ve ne vuole prima che la lenta opinion la disvelga. 2. E già mi avveggo, che in grazia di questa fatal verità, mi perdonano i tiranni europei tutto ciò che finora intorno ad essi mi è occorso di ragionare. Ma, per moderare alquanto questa loro non meno stolta che inumanissima gioja, osserverò; che ancorché non vi siano efficaci e pronti rimedj contro la tirannide, ve ne sono molti tuttavia ed uno principalissimo, rapidissimo, ed infallibile, contra i tiranni. 3. Stanno i rimedj contro al tiranno in mano d'ogni qualunque più oscuro privato: ma i più efficaci e brevi e certi rimedj contra la tirannide, stanno (chi 'l crederebbe?) in mano dello stesso tiranno: e mi spiego. Un animo feroce e libero, allor quando è privatamente oltraggiato, o quando gli oltraggi fatti all'universale vivissimamente il colpiscono, può da sé solo in un istante e con tutta certezza efficacemente rimediare al tiranno, col ferro: e, se molti di questi animi allignassero nelle tirannidi, ben presto anco la moltitudine stessa cangerebbe il pensiero, e si verrebbe così a rimediare ad un tempo stesso alla tirannide. Ma, siccome gli animi di una tal tempra sono cosa rarissima, e principalmente in questi scellerati governi; e siccome lo spegnere il solo tiranno null'altro opera per lo più, che accrescere la tirannide; io sono costretto, fremendo, a scrivere qui una durissima verità; ed è, che nella crudeltà stessa, nelle continue ingiustizie, nelle rapine, e nelle atroci disonestà del tiranno, sta posto il più breve, il più efficace, il più certo rimedio contra la tirannide. Quanto più reo e scellerato è il tiranno, quanto più oltre spinge manifestamente l'abuso dell'abusiva sua illimitata autorità; tanto più lascia egli luogo a sperare, che la moltitudine finalmente si risenta; e che ascolti ed intenda e s'infiammi del vero; e ponga quindi solennemente fine per sempre a un così feroce e sragionevol governo. È da considerarsi, che la moltitudine rarissimamente si persuade della possibilità di quel male che ella stessa provato non abbia, e lungamente provato: quindi gli uomini volgari la tirannide non reputano per un mostruoso governo, finché uno o più successivi mostri imperanti non ne han fatto loro funesta ed innegabile prova con mostruosi eccessi inauditi. Se in verun conto mai un buon cittadino potesse divenire ministro d'un tiranno, ed avesse fermato in se stesso il sublime pensiero di sagrificare la propria vita, e di più anche la propria fama, per sicuramente ed in breve tempo spegnere la tirannide, costui non avrebbe altro migliore né più certo mezzo, che di consigliare in tal modo il tiranno, di secondare e per fino talmente instigare la sua tirannesca natura, che abbandonandosi egli ad ogni più atroce eccesso rendesse ad un tempo del pari la sua persona e la sua autorità odiosissima e insopportabile a tutti. E dico io espressamente queste tre parole; La sua persona, la sua autorità, e a tutti; perché ogni eccesso privato del tiranno non nuocerebbe se non a lui stesso; ma ogni pubblico eccesso, aggiuntosi ai privati, egualmente a furore movendo l'universale e gl'individui, nuocerebbe ugualmente alla tirannide ed al tiranno; e li potrebbe quindi ad un tempo stesso interamente entrambi distruggere. Questo infame ed atrocissimo mezzo (che io primo il conosco per tale) indubitabilmente pure sarebbe, come sempre lo è stato, il solo efficace e brevissimo mezzo ad una impresa così importante e difficile. Inorridito ho nel dirlo; ma vie più inorridiscono in pensare quai siano questi governi, ne' quali se un uomo buono operar pur volesse colla maggior certezza e brevità il sommo bene di tutti, si troverebbe costretto a farsi prima egli stesso scellerato ed infame, ovvero a desistersi dall'altramente ineseguibile impresa. Quindi è, che un tal uomo non si può mai ritrovare; e che questo sopraccennato rapido effetto dell'abuso della tirannide non si può aspettare se non per via di un ministro scellerato davvero. Ma questi, non volendo perdere del proprio altro che la fama (che già per lo più mai non ebbe); e volendo egli assolutamente conservare la usurpata autorità, le prede, e la vita; questi lascierà bensì diventare il tiranno crudele e reo quanto è necessario per fare infelicissimi i sudditi, ma non mai a quell'eccesso che si bisognerebbe per tutti destargli a furore e a vendetta. 4. Da ciò proviene, che in questo mansuetissimo secolo cotanto si è assottigliata l'arte del tiranneggiare, ed ella (come ho dimostrato nel primo libro) si appoggia su tante e così ben velate e varie e saldissime basi, che non eccedendo i tiranni, o rarissimamente eccedendo i modi coll'universale, e non gli eccedendo quasiché mai co' privati, se non sotto un qualche velo di apparente legalità, la tirannide si è come assicurata in eterno. 5. Or ecco, ch'io già mi sento dintorno gridare: «Ma, essendo queste tirannidi moderate e soffribili, perché con tanto calore ed astio svelarle e perseguirle?» Perché non sempre le più crudeli ingiurie son quelle che offendono più crudelmente; perché si debbono misurare i mali dalla loro grandezza e dai loro effetti, più che dalla lor forza; perché, in somma, colui che ti cava ogni giorno poche oncie di sangue ti uccide a lungo andare ugualmente che colui che ad un tratto ti svena, ma ti fa stentare assai più. Tutte le facoltà dell'animo nostro intorpidite; tutti i diritti dell'uomo menomati o ritolti; tutte le magnanime volontà impedite o deviate dal vero; e mille e mille altre simili continue offese, che troppo lungo e pomposo declamatore parrei, se qui ad una ad una annoverarle volessi; ove la vita vera dell'uomo consista nell'anima e nell'intelletto, il vivere in tal modo tremando, non è egli un continuo morire? E che rileva all'uomo, che nato si sente al pensare e all'operare altamente, di conservare tremante la vita del corpo, gli averi, e l'altre sue cose (e queste né anco sicure) per poi perdere, senza speranza di riacquistarli giammai, tutti, assolutamente tutti, i più nobili e veri pregi dell'anima? |
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