1. Ma, già
già mille altre obbiezioni non meno importanti m'insorgono d'ogni intorno: e
queste saranno le ultime alle quali io mi creda in dovere di alquanto
rispondere. «Più facil cosa è il biasimare e il distruggere, che non il
rettificare e creare. Che la tirannide sia un governo esecrabile e vizioso in
se stesso, già ben lo sapevano tutti coloro che stupidi affatto non sono; e per
quelli che il sono, inutilissimo era il dimostrarlo. Le storie tutte fanno fede
della massima instabilità dei liberi governi: onde riesce cosa intieramente
vana il dimostrare che non si dee soffrir la tirannide, se infallibili mezzi
non s'insegnano per eternare la libertà».
2. Queste, o
simili obbiezioni (che ne potrei riempire inutilmente le pagine) è assai facile
il farle, e non così facile l'impugnarle. Quanto alla prima, rispondo di volo;
che io non credo niente inutile il dimostrare ai non affatto stupidi, non già
che la tirannide sia un governo esecrabile e vizioso in se stesso, poich'essi
dicono di saperlo, ma che quella specie di governo sotto cui essi vivono, e che
sotto il blandissimo nome di monarchia si vanno godendo, altro in fatti non è
se non una intera e schietta tirannide, accomodata ai tempi; tirannide niente
meno insultante e gravosa per gli uomini che qualsivoglia altra antica od
asiatica, ma assai più saldamente fondata, e assai più durevole quindi, e
fatale.
3. Alla seconda
obbiezione mi conviene rispondere alquanto più lungamente. Il dimostrare qual
sia il male, quali ne siano le cagioni, i mezzi, ed in parte gli effetti, vien
certamente ad essere un tacito insegnamento di ciò che potrebbe essere il bene;
che in tutto è il contrario del male. «Se dunque venisse fatto pur mai di
estirpar la tirannide in alcuna ragguardevol parte di Europa, come per esempio
in tutta la Italia, qual tempra di governo vi si potrebb'egli introdurre, che
non venisse dopo alcun tempo a ricadere in tirannide di uno o di più?»
4. Se io, colla
dovuta modestia e coscienza delle poche mie proprie forze, mi fo a rispondere a
questo importante quesito, dico; che quando si ritrovasse l'Italia nelle
circostanze a ciò necessarie, quegl'Italiani che a quei tempi si troveranno
aver meglio letto e considerato tutto ciò che da Platone in poi è stato
scoperto e insegnato da tanti uomini sommi circa alla meno viziosa forma dei
governi; quegl'Italiani d'allora, che avran meglio studiato e conosciuto nelle
diverse storie, e nei diversi paesi dello stesso lor secolo, la natura,
l'indole, i costumi, e le passioni degli uomini; quelli soli potranno allora
con adequato senno provvedere a ciò che operare allor si dovrebbe pel meglio;
cioè, pel meno male.
5. Se io,
all'incontro, presuntuosamente rispondere volessi al quesito, mi troverei
costretto di farlo col pormi ad un'altra opera, e intitolarla DELLA REPUBBLICA;
nella quale individuatamente ed a lungo mi proverei a ragionare su tale
materia. Ma, quando pur anche mi credessi io di avere e senno, e lumi, e
dottrina, ed ingegno da ciò; bisognerebbe nondimeno sempre, che io (per non
acquistarmi gratuitamente alla prima il nome di stolto) in fronte di un tal libro
mi protestassi, ch'ella è impossibil cosa fra gli uomini di nulla stabilir di
perfetto e d'inalterabile; e principalmente in un tal genere di cose, che
richiedendo continuamente sforzo e virtù, (atteso il contrario e continuo
impulso della umana natura, che assai più è propensa al bene dei privati
individui, e quindi tosto al male di tutti o dei più) vanno insensibilmente
ogni giorno menomandosi e corrompendosi per se stesse. E sarei anche sforzato
in quella mia prefazione di aggiungervi, che quegli ordini che convengono ad
uno stato, disconvengono spessissimo all'altro; che quelli che bene si adattano
al principiare di uno stato novello, non operano poi abbastanza nel progredire,
e alle volte anzi nuocono nel continuare; che il cangiargli a seconda col cangiarsi
degli uomini dei costumi e dei tempi, ella è cosa altrettanto necessaria,
quanto impossibile a prevedersi, e difficilissima ad eseguirsi in tempo. E
mille e mille altre simili cose io mi troverei costretto a premettere a quella
REPUBBLICA mia; le quali cose per essere già state dette meglio ch'io non le
direi mai, massimamente da quel nostro divino ingegno del Machiavelli, non
solamente inutili per se stesse riuscirebbero, ma pur troppo, contra
l'intenzione dell'autore, una preventiva dimostrazione sarebbero della
inutilità di un tal libro. E per quanto poi quella mia teorica repubblica
potesse parer saggia, ragionata, e adattabile a' tempi, luoghi, religioni,
opinioni, e costumi diversi; ella non verrebbe tuttavia mai ad essere
eseguibile in nessunissimo cantuccio della terra, senza quivi prima ricevere da
un saggio legislatore effettivo quelle tante e tali modificazioni e mutazioni,
che necessarie sarebbero per quella data effettiva società; la quale certamente
in alcuna cosa differirà da alcuna delle supposizioni dell'ideale legislatore.
Ma quando anche poi una tale scritta repubblica venisse effettivamente nel suo
intero adattata ad un qualche popolo, tutta la umana saviezza (non che la
pochissima mia) non perverrebbe pur mai a stabilirvi in tal modo un governo,
che il caso, cioè un avvenimento non preveduto, non avesse la forza di poterlo
inaspettatamente assai peggiorare, come anche di poter migliorarlo, o mutarlo,
o affatto distruggerlo.
6. Stoltissima
superbia sarebbe or dunque la mia, se un tale assunto imprendessi, sapendo già
prima, che quando anche pure mi lusingassi di poter dire delle cose non dette,
per lo meno inutile riuscirebbe il mio libro. Tuttavia non meno scusabile che
folle una mia tale superbia sarebbe (come di chiunque altro a simile impresa
oramai si accingesse), ogniqualvolta un tal libro non avesse stoltamente per
fine la gloria letteraria e legislatrice, ma fosse semplicemente un virtuoso e
ben intenzionato sfogo di un ottimo cittadino: e come tale, inutile allora non
riuscirebbe del tutto.
7. Dalle cose
finora da me, per quanto ho saputo, rapidamente presentare al lettore, ne
potrebbe frattanto, s'io non erro, ridondar questo bene: che, ove una
repubblica insorgente in questi, o nei futuri tempi, sopra le rovine d'alcuna
distrutta tirannide, badasse a spegnere, o a menomare quanto più le fosse
possibile la pestifera influenza di quelle tante cagioni della passata servitù
da me ampiamente nel primo libro dimostrate, si può credere che una tale insorgente
repubblica verrebbe ad ottenere alcun peso, e stabilità. Che se io minutamente
ho dimostrato come sia costituita la tirannide, indirettamente avrò dimostrato
forse, come potrebbe essere costituita una repubblica. E il primo di tutti i
rimedj contro alla tirannide, ancorché tacito e lento, egli è pur sempre il
sentirla; e sentirla vivamente i molti non possono, (abbenché oppressi ne
siano) là dove i pochi non osino appien disvelarla.
8. Ma, quanto è
necessario l'impeto, l'audacia, e (per così dire) una sacra rabbia, per
disvelare, combattere, e distruggere la tirannide, altrettanto è necessaria una
sagace e spassionata prudenza, per riedificare su quelle rovine; onde
difficilmente l'uomo stesso potrebbe esser atto egualmente a due imprese pur
tanto diverse nei loro mezzi, benché similissime nella lor meta. Ed io, per
amor del vero, son pure costretto a notar qui di passo, che le opinioni
politiche (come le religiose) non si potendo mai totalmente cangiare senza che
molte violenze si adoprino, ogni nuovo governo è da principio pur troppo
sforzato ad essere spesso crudelmente severo, e alcune volte anche ingiusto,
per convincere o contenere con la forza chi non desidera, o non capisce, o non
ama, o non vuole innovazioni ancorché giovevoli. Aggiungerò, che, per maggiore
sventura delle umane cose, è altresì più spesso necessaria la violenza, e
qualche apparente ingiustizia nel posar le basi di un libero governo su le
rovine d'uno ingiusto e tirannico, che non per innalzar la tirannide su le
rovine della libertà. La ragione, a parer mio, è patente. La tirannide non
sottentra alla libertà, se non se con una forza effettiva, e talmente
preponderante, che col solo continuo minacciare facilmente contiene
l'universale. E mentre con l'una mano brandisce un ferro spietato, ella spande
coll'altra a piena mano quell'oro che ha colla spada estorquito. Onde,
distrutti alcuni pochi capi-popolo, corrottine molti altri più, che già guasti
erano e preparati al servaggio, il rimanente obbedisce e si tace. Ma, la
nascente libertà, combattuta ferocissimamente da quei tanti che s'impinguavano
della tirannide, freddamente spalleggiata dal popolo, che, oltre alla sua
propria lieve natura, per non averla egli ancora gustata, poco l'apprezza e mal
la conosce; la nascente libertà, divina impareggiabile fiamma, che in pochi
petti arde pura nella sua immensità, e che da quei soli pochi viene alquanto
inspirata e a stento mantenuta nel petto agghiacciato dei più; ov'essa per
qualche beata circostanza perviene a pigliare alcun corpo, non dovendo
trascurar l'occasione di mettere, se può, profonde e salde radici, si trova pur
troppo costretta ad abbattere quei tanti rei che cittadini ridivenir più non
possono, e che pur possono tanti altri impedirne, o guastarne. Deplorabile
necessità, a cui Roma, felice maestra in ogni sublime esempio, ebbe pur anche
la ventura di non andar quasi punto soggetta; poiché dal lagrimevole
straordinario spettacolo dei figli di Bruto fatti uccider dal padre, ella
ricevea fortemente quel lungo e generoso impulso di libertà, che per ben tre
secoli poi la fece sì grande e beata.
9. Ritornando
ora al proposito mio, conchiudo con questo capitolo il libro, col dire; che non
vi essendo alla tirannide altro definitivo rimedio che la universal volontà e
opinione; e non potendosi questa cangiare se non lentissimamente e incertamente
pel solo mezzo dei pochi che pensano, sentono, ragionano, e scrivono; il più
virtuoso individuo, il più costumato, il più umano, si trova pur troppo
sforzato a desiderar nel suo cuore, che i tiranni stessi, coll'eccedere ogni
ragionevole modo, più rapidamente e con maggior certezza cangino questa
universal volontà e opinione. E se al primo aspetto un tal desiderio pare
inumano, iniquo, e perfino scellerato, si consideri che le importantissime
mutazioni non possono mai succedere fra gli uomini (come dianzi ho notato)
senza importanti pericoli e danni; e che a costo di molto pianto e di
moltissimo sangue (e non altramente giammai) passano i popoli dal servire all'essere
liberi, più ancora, che dall'esser liberi al servire. Un ottimo cittadino può
dunque, senza cessar di esser tale, ardentemente desiderare questo mal
passeggero; perché, oltre al troncare ad un tratto moltissimi altri danni
niente minori ed assai più durevoli, ne dee nascere un bene molto maggiore e
permanente. Questo desiderio non è reo in se stesso, poiché altro fine non si
propone che il vero e durevol vantaggio di tutti. E giunge avventuratamente
pure quel giorno, in cui un popolo, già oppresso e avvilito, fattosi libero
felice e potente, benedice poi quelle stragi, quelle violenze, e quel sangue,
per cui da molte obbrobriose generazioni di servi e corrotti individui se n'è
venuta a procrear finalmente una illustre ed egregia, di liberi e virtuosi uomini.
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