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Vittorio Alfieri
Della tirannide

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  • LIBRO PRIMO.
    • Capitolo Decimosettimo – Se il tiranno possa amare i suoi sudditi, e come.
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Capitolo Decimosettimo – Se il tiranno possa amare i suoi sudditi, e come.

 

1. Nello stesso modo con cui si è di sopra dimostrato, che i sudditi non possono amare il tiranno, perché essendo egli troppo smisuratamente maggiore di loro non corre proporzione nessuna fra il bene ed il male che ne possono essi ricevere; nel modo stesso mi sarà facile il dimostrare, che il tiranno non può amare i suoi sudditi; perché, essendo essi tanto smisuratamente minori di lui, non ne può egli ricevere alcuna specie di bene spontaneo, riputandosi egli in dritto di prendere qualunque cosa essi volessero dargli. E si noti così alla sfuggita, che lo amare, o sia egli di amicizia, o d'amore, o di benignità, o di gratitudine, o d'altro; lo amare si è uno degli umani affetti, che più di tutti richiede, se non perfettissima uguaglianza, rapprossimazione almeno e comunanza, e reciprocità fra gli individui. Ammessa questa definizione dell'amare umano, ciascuno rimane giudice, se niuna di tutte queste cose sussistere possa infra il tiranno e i suoi schiavi; cioè, fra la parte sforzante e la parte sforzata.

2. Corre nondimeno una gran differenza, in questa reciproca maniera del non-amarsi, infra il tiranno ed i sudditi. Questi, come tutti, (qual più qual meno, quale direttamente quale indirettamente, quale in un tempo e quale nell'altro) come offesi tutti e costretti dal tiranno, tutti lo abborriscono per lo più, e così dev'essere: ma il tiranno, come un ente non offendibile dall'universale, fuorché per manifesta ribellione contra di lui; il tiranno non abborrisce se non se quei pochissimi che egli vede o suppone essere nel loro cuore insofferenti del giogo; che se costoro mai si attentassero di mostrarlo, la vendetta del tiranno immediatamente verrebbe ad estinguerne l'odio. Non odia dunque il tiranno i suoi sudditi, perché in veruna maniera essi non l'offendono: e qualora si ritrova in trono per caso un qualche tiranno d'indole mite ed umana, egli si può pur anche usurpare la fama di amarli; né in tal caso, da altro una tal fama proviene, se non dall'essere la natura di quel principe, per se stessa, men rea di quel che lo sia per se stessa l'autorità e la possibilità impunita del nuocere, che è posta in lui. Ma io, sbadatamente, quasi ometteva una validissima ragione per cui il tiranno dee anch'egli (e non poco) se non abborrire, disprezzare almeno quella parte de' suoi sudditi che egli vede abitualmente e conosce; ed è questa; che quella parte di essi che gli si fa innanzi, e che cerca di avere alcuna comunicazione col tiranno, ella è certamente la più rea di tutte; ed egli, dopo una certa esperienza di regno, ne viene manifestamente convinto. Quanto alla parte ch'egli non conosce né vede, e che in veruna maniera non lo offende, io mi fo a credere che il tiranno dotato di umana indole la possa benissimo amare: ma questo indefinibile amore di colui che può giovare e nuocere sommamente, per quelli che non possono a lui giovare né nuocere, non si può assomigliare ad alcun altro amore, che a quello con cui gli uomini amano i loro cani e cavalli; cioè, in proporzione della loro docilità, ubbidienza, e perfetta servitù. Ma certamente assai minor differenza soglion porre i padroni fra essi e i loro cani e cavalli, di quella che ponga il tiranno, ancorché moderato, infra se stesso e i suoi sudditi. Cotesto suo amore per essi non sarà dunque altro, che un oltraggio di più da lui fatto alla trista specie degli uomini.




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