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Carlo Goldoni
Il bugiardo

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Scena Seconda. Lelio e Arlecchino, Rosaura e Beatrice sul terrazzino

 

LEL. Che ne dici, Arlecchino, eh? Bel paese ch'è questa Venezia! In ogni stagione qui si godono divertimenti. Ora che il caldo chiama di nottetempo al respiro, si godono di queste bellissime serenate.

ARL. Mi sta serenada no la stimo un soldo.2

LEL. No? Perché?

ARL. Perché me piase le serenade, dove se canta e se magna.

LEL. Osserva, osserva, Arlecchino, quelle due signore che sono su quel terrazzino. Le ho vedute anche dalla finestra della mia camera, e benché fosse nell'imbrunir della sera, mi parvero belle.

ARL. Per vusioria tutte le donne le son belle a un modo. Anca la siora Cleonice in Roma la ve pareva una stella, e adesso l'avì lassada.

LEL. Non me ne ricordo nemmeno più. Stando tanto quelle signore sul terrazzino, mi do a credere che non sieno delle più ritirate. Voglio tentar la mia sorte.

ARL. Con patto che ghe disè ogni quattro parole diese busìe.

LEL. Sei un impertinente.

ARL. Faressi mejo andar a casa del sior Pantalon vostro padre.

LEL. Egli è in campagna. Quando verrà a Venezia, andrò a stare con lui.

ARL. E in tanto volì star alla locanda?

LEL. Sì, per godere la mia libertà. È tempo di fiera, tempo d'allegria: sono vent'anni che manco dalla mia cara patria. Osserva, come al chiaro della luna, pajono brillanti quelle due signore. Prima d'inoltrarmi a parlar con esse, bramerei sapere chi sono. Fa una cosa, Arlecchino, va alla locanda, e chiedi ad alcuno de' camerieri chi sono e se son belle, e come si chiamano.

ARL. Per tutta sta roba ghe vuol un mese.

LEL. Va, sbrigati, e qui ti attendo.

ARL. Ma sto voler cercar i fatti d'altri...

LEL. Non far che la collera mi spinga a bastonarti.

ARL. Per levarghe l'incomodo, vado a servirla. (torna in locanda)

LEL. Vo' provarmi, se mi riesce in questa sera profittar di una nuova avventura. (va passeggiando)

ROS. È vero, sorella, è vero; la serenata non poteva essere più magnifica.

BEAT. Qui d'intorno non mi pare vi sieno persone che meritino tanto, onde mi lusingo che sia stata fatta per noi.

ROS. Almeno si sapesse per quale di noi, e da chi sia stata ordinata.

BEAT. Qualche incognito amante delle vostre bellezze.

ROS. O piuttosto qualche segreto ammiratore del vostro merito.

BEAT. Io non saprei a chi attribuirla. Il signor Ottavio par di me innamorato, ma s'egli avesse fatta fare la serenata, non si sarebbe celato.

ROS. Nemmen io saprei sognarmi l'autore. Florindo non può essere. Più volte ho procurato dirgli qualche dolce parola, ed egli si è sempre mostrato nemico d'amore.

BEAT. Vedete colà un uomo che passeggia?

ROS. Sì, e al lume di luna pare ben vestito.

LEL. (da passeggiando) (Arlecchino non torna; non so chi sieno, né come regolarmi. Basta, starò sui termini generali).

ROS. Ritiriamoci.

BEAT. Che pazzia! Di che avete paura?

LEL. Gran bella serenità di cielo! Che notte splendida e quieta! (verso il terrazzino) Mah! Non è maraviglia, se il cielo splende più dell'usato, poiché viene illuminato da due vaghissime stelle.

ROS. (a Beatrice) (Parla di noi.)

BEAT. (a Rosaura) (Bellissima! Ascoltiamo.)

LEL. Non vi è pericolo che l'umido raggio della luna ci offenda, poiché due soli ardenti riscaldano l'aria.

BEAT. (a Rosaura) (O è qualche pazzo; o qualche nostro innamorato.)

ROS. (a Beatrice) (Pare un giovane molto ben fatto, e parla assai bene.)

LEL. Se non temessi la taccia di temerario, ardirei augurare a lor signore la buona notte.

ROS. Anzi ci fa onore.

LEL. Stanno godendo il fresco? Veramente la stagion lo richiede.

BEAT. Godiamo questo poco di libertà, per l'assenza di nostro padre.

LEL. Ah, non è in città il loro genitore?

BEAT. No, signore.

ROS. Lo conosce ella nostro padre?

LEL. Oh, è molto mio amico. Dove è andato, se è lecito saperlo?

ROS. A Padova, per visitare un infermo.

LEL. (Sono figlie d'un medico.) Certo è un grand'uomo il signor dottore: è l'onore del nostro secolo.

ROS. Tutta bontà di chi lo sa compatire. Ma in grazia, chi è lei che ci conosce, e non è da noi conosciuto?

LEL. Sono un adoratore del vostro merito.

ROS. Del mio?

LEL. Di quello di una di voi, mie signore.

BEAT. Fateci l'onore di dirci di qual di noi v'intendiate.

LEL. Permettetemi che tuttavia tenga nascosto un tale arcano. A suo tempo mi spiegherò.

ROS. (a Beatrice) (Questo vorrà una di noi per consorte.)

BEAT. (a Rosaura) (Sa il cielo a chi toccherà tal fortuna.)

 

 




2 Gli Arlecchini oggi comunemente usano il linguaggio veneziano.






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