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Carlo Goldoni
Il bugiardo

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Scena Ottava. Ottavio, poi Lelio

 

OTT. Senz'altro è innamorato, e non volendolo a me confidare, temo che sia la sua diletta Beatrice. Se la scorsa notte foss'io stato alla locanda, e non l'avessi perduta miseramente al giuoco, avrei veduto Florindo, e mi sarei d'ogni dubbio chiarito; ma aprirò gli occhi, e saprò svelare la verità.

LEL. (uscendo dalla locanda) Chi vedo! Amico Ottavio!

OTT. Lelio mio dilettissimo.

LEL. Voi qui?

OTT. Voi ritornato alla patria?

LEL. Sì; vi giunsi nel giorno di jeri.

OTT. Come avete voi fatto a lasciar Napoli, dove eravate ferito da cento strali amorosi?

LEL. Ah, veramente sono di con troppa pena partito, avendo lasciate tante bellezze da me trafitte. Ma appena giunto in Venezia, le belle avventure che qui mi sono accadute, m'hanno fatto scordare tutte le bellezze napoletane.

OTT. Mi rallegro con voi. Sempre fortunato in amore.

LEL. La fortuna qualche volta sa far giustizia, e amore non è sempre cieco.

OTT. Già si sa, è il vostro merito, che vi arricchisce di pellegrine conquiste.

LEL. Ditemi, siete voi pratico di questa città?

OTT. Qualche poco. Sarà un anno che vi abito.

LEL. Conoscete voi quelle due sorelle, che abitano in quella casa?

OTT. (Voglio scoprir terreno.) Non le conosco.

LEL. Amico, sono due belle ragazze. Una ha nome Rosaura, e l'altra Beatrice; sono figlie di un dottore di medicina, e tutt'e due sono innamorate di me.

OTT. Tutt'e due?

LEL. Sì, tutt'e due. Vi par cosa strana?

OTT. Ma come avete fatto a innamorarle sì presto?

LEL. Appena mi videro, furono esse le prime a farmi un inchino, e m'invitarono a parlar seco loro.

OTT. (Possibile che ciò sia vero!)

LEL. Pochissime delle mie parole bastarono per incantarle; e tutt'e due mi si dichiararono amanti.

OTT. Tutt'e due?

LEL. Tutt'e due.

OTT. (Fremo di gelosia.)

LEL. Volevano ch'io entrassi in casa...

OTT. (Anco di più!)

LEL. Ma siccome si avvicinava la sera, mi venne in mente di dar loro un magnifico divertimento, e mi licenziai.

OTT. Avete forse fatto fare una serenata?

LEL. Per l'appunto. Lo sapete anche voi?

OTT. Sì, mi fu detto. (Ora ho scoperto l'autore della serenata; Florindo ha ragione.)

LEL. Ma non terminò colla serenata il divertimento della scorsa notte.

OTT. (con ironia) Bravo, signor Lelio, che faceste di bello?

LEL. Smontai dalla peota, feci portar in terra da' miei servidori una sontuosa cena, e impetrai dalle due cortesi sorelle l'accesso in casa, ove si terminò la notte fra i piatti e fra le bottiglie.

OTT. Amico, non per far torto alla vostra onestà, ma giudicando che vogliate divertirvi meco, sospendo di credere ciò che mi avete narrato.

LEL. Che? vi pajono cose straordinarie? Che difficoltà avete a crederlo?

OTT. Non è cosa tanto ordinaria che due figlie oneste e civili, mentre il loro genitore è in campagna, aprano la porta di notte ad uno che può passare per forestiere, e permettano, che in casa loro si faccia un tripudio.

 




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