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Carlo Goldoni
La famiglia dell’antiquario

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Scena Diciottesima. La Contessa Isabella col Dottore, che le dà mano, e detti

 

ANSELMO Ben venuti, ben venuti.

DOTTORE Fo riverenza al signor Conte.

PANTALONE Siora Contessa, ghe son umilissimo servitor.

ISABELLA La riverisco.

PANTALONE (La ghe diga qualcossa. Fémo pulito) (piano al Conte).

ANSELMO (Orsú, giacché ci siamo, bisogna fare uno sforzo). Contessa mia, vi ho fatto qui venire per un affar d'importanza; in poche parole mì sbrigo. In casa mia voglio la pace. Se qualche cosa è passata fra voi e vostra nuora, s'ha da obliare il tutto. Voglio che ora vi pacifichiate, e che alla mia presenza torniate come il primo giorno che Doralice è venuta in casa. Avete inteso? Voglio che si faccia così (alterato).

ISABELLA Voglio?

ANSELMO Signora sì, voglio. Questa parola la dico una volta l'anno; ma quando la dico, la sostengo (come sopra).

ISABELLA E volete dunque...

ANSELMO Quello ch'io voglio, l'avete inteso. Non vi è bisogno di repliche.

ISABELLA Io dubito sia diventato pazzo: non ha mai più parlato così.

ANSELMO (Che dite? Mi sono portato bene?) (a Pantalone).

PANTALONE Benissimo.

ANSELMO (Ho fatto una fatica terribile).

 

 




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