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Carlo Goldoni
Gli innamorati

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Scena Seconda. Fabrizio, Succianespole colla sporta, e detti

 

FAB. Flamminia, preparatemi una camiscia, che son tutto sudato. (Ridofo lo saluta)

FLA. Ditelo a Lisetta, signore. Ella è appunto nella vostra camera.

FAB. Riverisco il signor Ridolfo.

RID. Ho fatto già il mio dovere.

FAB. Compatitemi. Ho tanto camminato,. ho tanto faticato, che mi gira la testa. Ma ho fatto poi una spesa, che ne anche il governatore... Succianespole, è vero?

SUC. Gnor sì.

FLA. Andate a mutarvi. (a Fabrizio)

SUC. Ch'io vada? (a Fabrizio)

FAB. Aspetta.

SUC. Con questo peso... (a Fabrizio)

FAB. Aspetta. Lasciami veder quel cappone. Osservate. Si è mai veduto da che mondo è mondo un cappone compagno? Lasciami vedere quella vitella. Ah? Che dite? È da dipingere? È cosa rara? Eh, la vitella che ho io in questo paese non l'ha nessuno. Signor Ridolfo, questa vitella è un butirro, è un balsamo. Resti a mangiarne un pezzetto con noi.

RID. Vi ringrazio, signore...

FAB. No, no, assolutamente. Guardate queste animelle: che roba! che piatto! che esquisitezza! Ne avete da mangiar una anche voi.

RID. Vi supplico dispensarmi...

FAB. Non mi fate andar in collera. Io poi... io poi... Ah? che piccioni! Avete mai veduti piccioni simili? Signor no, e signor no. Questi sono piccioni, che li salvano solamente per me. E sentirete che salsa ch'io ci farò. Io, io, colle mie mani. E il Signor Ridolfo resterà a favorire con noi.

RID. Siete tanto obbligante, che non si può dire di no.

SUC. Una parola. (a Fabrizio)

FAB. Cosa vuoi? (accostandosi)

SUC. (E le posate?) (piano a Fabrizio)

FAB. (È vero. Non importa; darai a me una posata di stagno; mettila bene sotto la salvietta, che non si veda).

SUC. Gnor sì .

FAB. Presto, va' in cucina a lavorare.

SUC. Gnor sì (s'incammina adagio)

FAB. Fa' presto.

SUC. Gnor sì (come sopra)

FAB. Ma spicciati.

SUC. Gnor sì. (come sopra, e parte)

FLA. Signor zio, a quel ch'io vedo, vogliamo andar a tavola molto tardi.

FAB. Eh, non dubitate di niente. Se vado io in cucina in tre quarti d'ora fò da mangiare per cinquecento persone.

FLA. Ih che sparata!

FAB. Per modo di dire, per modo di dire.

FLA. E non andate a mutarvi?

FAB. Sì, c'è tempo. Dov'è Eugenia?

FLA. Nella sua camera.

FAB. E il signor Conte dov'è?

FLA. A guardare i quadri.

FAB. Lo compatisco: non si può saziare. Andatelo a chiamare il signor Conte, che favorisca di venir qui.

FLA. E perché ha da venir qui? Non istà bene dov'egli sta?

FAB. Ditegli che venga qui. Gli voglio far conoscere questo degno galantuomo del signor Ridolfo. Vedrete un gran cavaliere, signor Ridolfo: un pezzo grosso; uno di quelli, che fanno tremare. Ma via, chiamatelo. (a Flamminia)

FLA. Senza che m'incomodi, eccolo ch'egli viene da sé.

FAB. È un'arca di scienze, è un mostro di virtù. Resterete maravigliato. (a Ridolfo)

 




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