Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Il dono di Natale
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Il mio padrino.

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Il mio padrino.

 

L'uomo più buono del mondo ch'io ho conosciuto era il mio padrino: e non poteva essere che tale, se era l'amico intimo di mio padre.

Mio padre non usciva, si può dire, fuori di casa, eppure conosceva, o meglio era conosciuto, da una infinità di gente; amici di paesi lontani venivano a trovarlo e gli volevano bene. Molti, veramente, cercavano più che altro il suo aiuto, ma alcuni si contentavano della sua sola compagnia. Egli non cercava nessuno: amava però e aiutava tutti quelli che cercavano di lui.

 

Questo mio padrino veniva a trovarlo da un paese allora lontano, perché le linee automobilistiche ancora non tagliavano la dura solitudine delle terre di Sardegna.

Veniva a cavallo, pacificamente, ma pareva avesse volato, tanto il suo viso era fresco; sulla barba molle e candida gli rimaneva il riflesso delle bianche nuvole vagabonde sopra il monte Gonare, e negli occhi la placidezza della luna nuova.

Al suo arrivo mia madre diceva alla serva:

- Accendi tutti i fornelli.

E i fornelli venivano accesi come per le feste solenni. Mio padre conduceva il suo amico in cantina, donde risalivano ridendo come bambini.

Dopo la cena rimanevano loro due soli a tavola, con la bottiglia che s'inchinava ora verso l'uno ora verso l'altro salutandoli, poi si rialzava e pareva ascoltasse i loro discorsi interrompendoli di nuovo coi suoi inchini quando accennavano a diventare melanconici.

Anche le cose più tristi dovevano essere raccontate con allegria serena, quella notte: i due amici si prestavano a vicenda le loro angustie e cercavano di non restituirsele perché ognuno di loro le dimenticasse.

Il canto del gallo metteva punto e basta ai loro racconti. E anche la bottiglia non s'inchinava più perché non aveva più forzavolontà: era vuota.

 

Una di quelle notti la serva andò a chiamare la mia piccola nonna: entrambe salirono nella camera di mia madre e poco dopo la serva ritornò giù dov'erano i due amici. Disse:

- Padrone, la padrona vi manda a dire che ha comprato una bambina, adesso, pochi minuti or sono.

- Perché non hai avvertito? - rimproverò mio padre.

- Perché la padrona non ha voluto disturbare la loro compagnia.

Mio padre andò su a vedere: una bambina appena fasciata stava dentro un canestro accanto al caminetto acceso: pareva davvero comprata da poco al mercato.

L'amico domandò il permesso di vederla anche lui: e mio padre disse:

- Ecco una bella occasione per diventar compari.

- Benissimo; e come la chiameremo?

- La chiameremo Grazia.

È così l'ospite diventò mio padrino.

 

Io sentivo raccontar da lui quest'avvenimento molti anni dopo.

Durante l'infanzia non mi sono molto curata del mio padrino; le sue visite mi interessavano solo per il fatto ch'egli portava bei regali di frutta e di dolci.

Una volta mi portò un piccolo muflone: e tutta l'aria vasta della montagna e l'irrequietudine misteriosa dei boschi entrò in casa con la graziosa bestia, ch'era ancora allo stato selvatico ma timida e buona di bontà naturale.

Tutti gli altri animali addomesticati che popolavano quell'arca di Noè che era il nostro cortile, respirarono nell'odore del muflone l'aria natìa delle macchie e dei covacci fra le rupi; lo circondarono quindi come per salutarlo: esso però aveva paura anche delle lepri, e d'un balzo fu sopra la legnaia come in cima ad un monte.

E ci volle la pazienza e l'agilità del padrino per farlo ridiscendere in pianura.

 

Fu quella volta ch'egli raccontò, mentre si stava a tavola, una sua avventura di viaggio.

- La mia visita, compare e comare, questa volta non aveva il solo scopo di vedervi e salutarvi: mi sono mosso di casa perché da alcuni giorni un gran mal di denti mi torturava: tutti i rimedi ho provato, sciacqui, impacchi, roba calda e roba fredda, preghiere, scongiuri: invano; soffrivo tanto che per la prima volta ho peccato contro la volontà del Signore: ho desiderato di morire. Finalmente mia moglie dice: va a Nuoro; ci deve essere un dentista. Ed io parto; di solito mi piace viaggiare, vedere lo stato delle campagne, sentire il canto degli uccelli. Questa volta non vedo nulla, non sento nulla, tanto è il dolore: cammino come attraverso una nebbia. Ed ecco d'un tratto, sotto il Monte Gonare, vedo sbucare, come appunto dalla nebbia, tre brutti cristiani, così brutti che sembrano i Giudei che hanno ammazzato Gesù. Ed anche me vogliono ammazzare, se non consegno loro subito i denari e quanto ho con me. Vogliono anche il cavallo. Prendete, prendete pure, fratelli cari, e Dio vi assista. Allora mi fanno smontare e mi spogliano come Cristo: e rimango solo col muflone che s'era prudentemente nascosto. Rimango solo e spoglio; ma cos'è, cosa non è? Il mondo mi sembra mutato; vedo i prati in fiore, sento l'allodola, e mi pare di aver incontrato, non i tre malandrini, ma San Francesco in persona. Ebbene, è il mal di denti che è cessato: l'emozione me l'aveva strappato di bocca meglio del dentista. E siano benedetti dunque i tre valentuomini.

Egli parlava sul serio: con la sua barbetta bianca e il placido viso sembrava lui San Francesco in persona.

 

 

 


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