Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Il dono di Natale
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I ladri.

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I ladri.

 

La terribile compagnia era composta di cinque individui, tre maschi e due femmine, e, pare impossibile, ma pur troppo è così, il capo era appunto la maggiore di queste.

È vero che era anche la più vecchia e astuta della banda; fu lei a riunirla, un giorno, nei prati dietro il Policlinico dove appunto un tempo convenivano i più terribili malviventi e accadevano efferati delitti; e indicò il posto destinato alla prossima spedizione.

- Si va giù di qui, per la strada nuova dove fabbricano i villini: in uno di questi ci sta un dottore che non è mai a casa: nel giardino ci sono tante rose, fave e carciofi. Tu, Gigetto, scavalcherai la cancellata e aprirai il cancello: noi si entra, voi due, Mario e Assunta, spiccate i fiori e le fave, e se c'è tempo i carciofi; io li raccolgo.

- E poi scappi, vero? - disse Mario, puntandole un dito sugli occhi.

- E non mi accecare di', altrimenti ti cavo gli occhi anch'io - urlò lei scostandosi. - E come posso scappare con questo cocco addosso? E scosse e parve voler scagliare contro il compagno Mario il più piccolo della compagnia, un bambino di poco più di un anno, ch'ella teneva in braccio.

 

Parlò Gigetto. Gigetto teneva sempre le mani ficcate nelle tasche sfondate delle sue brache, e aspirava ad essere lui il capo della spedizione.

- Lascia fare a me, Concetta: tu hai otto anni e mezzo e io otto anni: e otto anni nei maschi sono come dieci nelle femmine. Lo so anch'io dov'è quel posto; lo so meglio di te. Ci sono già entrato: si può entrare dal muro di dietro. Ci sono anche i piselli, ma ci vuole troppo tempo a prenderli. Allora facciamo così...

- No, facciamo come ho detto io; altrimenti non vengo - disse sdegnata la capitana.

- E se non vuoi venire meglio; così la roba sarà tutta nostra.

- È quello che si vedrà - urlò Concetta, scagliandosi contro di lui: anche gli altri due cominciarono a strillare, e per poco non ci andò di mezzo, schiacciato dalla mischia, il povero piccolo cocco.

 

Poi, calmatisi gli animi, la spedizione fu eseguita lo stesso, e con una certa tattica. Avanti andavano Assunta e Concetta, naturalmente col piccolino che si affacciava sulla spalla della sorella come ad una finestra dalla quale tutto gli appariva bello e interessante.

D'un tratto però, arrivati alla strada nuova dove alcuni villini erano in costruzione ed altri già finiti, egli si mise a strillare.

- Mo' ci mancava questa - disse Concetta preoccupata: e dapprima tentò di calmarlo con le buone, poi lo tempestò di pugni; infine trasse di saccoccia due ciliege acerbe e gliele fece danzare davanti al viso. Egli tacque subito e aprì la bocca come il becco di un uccellino di nido.

Così arrivarono al cancello del giardino predestinato alle loro gesta.

Il luogo sembrava proprio disabitato: chiuse le finestre della casa, deserto il giardino. Le rose e le piante delle fave si dondolavano al venticello di ponente, quasi salutassero le bambine invitandole a farsi avanti. I carciofi erano più tronfi ed austeri, rifugiati in cima agli alti gambi dove pareva non avessero paura di nulla. C'erano anche gli asparagi verdi con la testa violacea; ma di questi le bambine non si curavano perché non ne avevano mai sentito il sapore.

 

Sopraggiunti i due maschi si schierarono tutti lungo la cancellata studiando il modo migliore per entrare. Anche Gigetto fu del parere di dare la scalata al cancello, di aprirlo e fare entrare la banda in giardino. Ciascuno avrebbe lavorato per conto suo e, messo poi assieme il bottino, lo si sarebbe diviso. Lui intanto si era provveduto di un paio di forbici, che teneva infilate come un pugnale alla corda che gli serviva di cintura, e guardava i carciofi come un popolo nemico da sterminare.

Mario, più mite e sognatore, pensava ai piselli, così dolci e difficili da cogliersi: la bionda Assuntina guardava con desiderio le rose, mentre Concetta spregiudicata e selvaggia, avrebbe volentieri fatto man bassa di tutto.

 

Quando furono certi che nessuno poteva vederli, Gigetto s'attaccò alle sbarre del cancello, vi salì su come un verme, e con ammirazione i compagni lo videro rimbalzare giù dall'altra parte e cadere dritto davanti a loro. La fortuna li assisteva: il cancello non era chiuso a chiave e parve aprirsi da sé, complice silenzioso.

La prima ad entrare fu Concetta: così sicura di sé che depose il bambino per terra, sulla ghiaia del viale, sulla quale egli subito si piegò giocando coi sassolini e le sue due ciliege acerbe.

In un attimo il giardino fu devastato: Gigetto tagliava abilmente i carciofi sul basso del gambo, per prenderli a mazzo; Mario strappava addirittura le piante dei piselli e Assunta, con le mani insanguinate per la puntura delle spine stroncava i rami delle rose. L'avida Concetta correva qua e come una volpe afferrando tutto quello che poteva: il sottanino rialzato le serviva di borsa e si gonfiava sempre più.

Persino i gatti che meriggiavano beati sotto le foglie tropicali delle piante dei carciofi balzavano spaventati e fuggivano. Solo le gentili rose e le stupide fave continuavano a dondolarsi al venticello come se il disastro non le riguardasse per niente.

 

Dio vigila però contro il male.

D'un botto una finestra si aprì, apparve un viso terribile, con una gran barba nera e due occhi di fuoco, e una voce tonò:

- Mettete giù tutto, mascalzoni. Subito giù o vi sparo.

Un'altra finestra si aprì: una voce di strega gridò:

- Aspetta, aspetta, adesso vengo io, canaglia!

I ladri se la diedero a gambe, lasciando il bottino.

E quando il dottore venne giù a precipizio trovò solo il piccolo cocco abbandonato sulla ghiaia del viale.

- Chi sei? Come ti chiami? - urlò.

Il bambino lo guardò di sotto in su, coi suoi occhi azzurrognoli di cornacchia, poi gli fece vedere le sue due ciliege mezzo rosicchiate; infine gli porse la manina perché venisse aiutato ad alzarsi.

E il dottore si mise a ridere: poi dovette mandare la serva a rincorrere i ladri per riconsegnare loro il povero piccolo cocco.

 

 

 


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