Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La fuga in Egitto
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Ornella si fermò davanti a un cancello di ferro verniciato di rosso vivo, depose per terra le valigie e aprì.

Il maestro e Ola venivano piano, chiacchierando, lei col viso in aria, lui a testa bassa per sentire meglio; e non si accorgevano di altro; tanto che egli sollevò gli occhi e guardò un poco trasognato la donna e il cancello che gli sembrò dovesse scottare. E forse per contrasto con questo rosso di fuoco, e col rosso dorato di melagrana della villa che si vedeva in fondo al viale d'ingresso, il giardino ove entrarono gli parve piantato sul letto asciutto di un fiume: in realtà il terreno era bianco e sabbioso, e gli alberi pallidi, argentei, avevano come un riflesso d'acqua.

In questo sfondo chiaro, il violetto dei giaggioli e il rosso delle rose spiccavano esasperati con tinte di porcellana.

Due grandi terrazze a colonnine si sporgevano sulla facciata della villa, e sotto quella del primo piano un piccolo portico, col pavimento stuccato e le colonne rivestite di rose rampicanti, circondava il portoncino d'ingresso: tutto era grazioso e pulito, e il maestro provava un senso misto di soddisfazione e di soggezione pensando che quel dominio signorile apparteneva alla nuora, e quindi anche al figlio: osservava però le finestre tutte chiuse in faccia allo splendore del mare, con l'impressione che l'interno della villa fosse oscuro e disabitato.

Infatti Ornella non si diresse al portico, ma svoltò lungo la facciata laterale, e quando fu dietro la villa spinse una piccola porta nel cui vano apparve lo sfondo di una cucina. Un fitto pergolato di fichi e viti che si appoggiava ai muri della casa ne oscurava tutto il piano terreno: ombra nella cucina dove la serva senza tante scuse introdusse l'ospite; ombra nella stanza che vi si vedeva attigua: onde egli provò una nuova delusione per questa accoglienza umile e fredda della villa appariscente solo di fuori come una bella donna ritinta e sorridente ma senza cuore

La bambina però lo confortò subito, toccando e battendo con l'unghia la pentola turchina che bolliva e odorava di buono sui fornelli umidi di vapore.

– Qui c'è un pollo. Vuoi guardare?

Finiscila con le sciocchezze, – disse la donna urtandola col ginocchio; e la fece andare avanti, tra le due valigie, spingendola un po' brutalmente.

Questo non piacque al maestro; questo la penombra della saletta da pranzo, che attraversarono per arrivare ad un'altra stanza, anch'essa piccola, triste e quasi tutta occupata da un grande letto di legno la cui coperta verde accresceva il pallore della donna che vi giaceva. Ella sollevò la testa, fra un'onda di capelli neri crespi, e fissò con occhi lucidi spaventati l'uomo che si piegava per salutarla: pareva non ricordasse ch'egli doveva arrivare, o che fosse lei ad arrivare di lontano presso gente che non conosceva.

La bambina, il cui viso s'era affilato e fatto serio, gridò buttandosi sull'altra sponda del letto:

Mamma, è il nonno. È il nonno che è arrivato.

– Ma sì, lo so, – disse la donna infastidita; e chiuse e riaprì gli occhi quasi per raccogliere quel suo sguardo stordito e sostituirlo con uno più cosciente: ma era come chi ha un gran sonno e non riesce a restare sveglio.

Chiuse di nuovo gli occhi e tirò fuori dalle lenzuola le braccia nude, bianche, senza vene, tendendo le mani al maestro.

Egli prese quelle mani, stranamente grandi e scure in cima alle braccia esili, e le sentì palpitare forte: ma una era chiusa, con qualche cosa dentro, ed egli subito l'abbandonò. Il braccio ricadde e dalla mano che si aprì alquanto spuntarono i grani di un piccolo rosario di madreperla.

Questo gli fece piacere.

– Come va? – domandò sottovoce, con accento subito famigliare. – È possibile che queste febbri non si possano rompere?

– Son dieci anni che le ho. È malaria, e non c'è rimedio. Adelmo ha fatto di tutto, per guarirmi. Anche dalle Indie ha fatto venire una polverina. Anche dalla chiromante è andato, Adelmo.

Adelmo era il suo primo marito, e il maestro osservò che la voce di lei aveva un timbro sognante nel pronunziare spiccatamente quel nome come fanno i bambini con le parole nuove che a loro piacciono perchè per loro sono tutto un mondo di misteriose sensazioni. Capì ch'ella durante il suo stato febbrile riviveva nel passato; ed ebbe scrupolo a turbare oltre quella intimità che apparteneva a lei sola.

Ma anche lei indovinò il pensiero di lui, dal modo come egli le rimise la mano sul lenzuolo, e cercò di destarsi meglio; adesso gli occhi si aprirono bene, quasi con malizia, la voce si schiarì.

– Mi scuserà se non sono venuta alla stazione. Domani vedrà che sono un'altra donna. Anche Antonio ha lasciato detto di scusarlo. È tanto buono anche lui. E adesso vada a lavarsi e a mangiare. Vada.

Egli obbedì. Quando furono nella stanzetta da pranzo, dove Ornella aveva deposto le valigie, la bambina aprì il cassetto della credenza cercando di trarre la tovaglia: voleva apparecchiare lei, per il suo nonno, ma anche questa volta la donna la spinse in col ginocchio.

Allora egli disse un po' aspro:

Lasciala fare: bisogna pure che impari.

L'altra non rispose; solo lo guardò d'alto in basso coi suoi placidi occhi verdastri; sguardo tranquillo che tuttavia lo avvertiva che la padrona in quella casa era lei.

Favorisca nella sua camera, – disse dopo un momento, trasportando le valigie; ed egli vide che la camera assegnata a lui era la più melanconica di tutte. Macchie d'umido decoravano con strani disegni gialli le pareti, e sul pavimento rotto, nella penombra verdiccia, gli parve di vedere correre uno scarafaggio; ma accanto all'uscio Ola guardava, intimidita e curiosa, e la sua vestina rossa illuminava come un fuoco d'inverno la stanza.

– Venga pure avanti, signorina, – egli disse inchinandosi; e con una mano le offrì una scatola, e con l'altra, fra l'indice e il pollice, il fiorellino d'oro della spilla che si era tolta dalla cravatta.

Ola si avvicinò lenta e cauta; prese i doni in silenzio, con indifferenza, tendendosi piuttosto a guardare dentro il caos delle valigie aperte tutto un mondo ancora per lei sconosciuto; e perchè ciò non le fosse proibito, per associazione d'idee promise sottovoce al nonno:

– Ti porterò a vedere le galline e il cavallino piccolo.

Egli avrebbe preferito veder prima la villa; infatti dopo che ebbero mangiato e Ornella andò a lavare i panni nella fontana attigua alla casa dei contadini, domandò se le chiavi appese accanto all'uscio della stanza da pranzo erano quelle dei piani superiori.

– Sì, ma papà non vuole, a toccarle, – disse lei contrariata, poichè lo vedeva staccare le chiavi. Per un attimo l'istinto di proprietà le diede uno sguardo ostile, quasi bieco; poi lei stessa accomodò le cose; – tu puoi comandare a papà, che è tuo figlio, vero? Lui non ti sgrida.

Egli mise l'indice sulla bocca: e andarono. Ella camminava in punta dl piedi, con la bambola dai capelli di lana color mattone, ch'egli le aveva portato, abbandonata sull'omero; e lo guidò, gli indicò quale era la chiave del portoncino d'ingresso e quelle degli appartamenti.

Ed ecco si trovarono come in una casa incantata. Il pavimento era lucido, di mattonelle a rose gialle e turchine; la scala di marmo, le pareti stuccate e decorate di festoni di fiori e frutta; tutto di cattivo gusto, meraviglioso però agli occhi di Ola e forse anche a quelli del nonno. Ella guardava le cose, poi guardava lui, e vedendolo approvare con cenni della testa e scuotere una mano per significare: – queste sono sciccherie, sì; – stringeva i dentini per non ridere di piacere.

Accendi, accendi, – disse piana: e lui accese. La luce elettrica rese più lustre le cose; ed ella andò su strofinandosi come un gattino alle pareti, mentre gli occhi di uccello della bambola guardavano anch'essi furtivi e meravigliati tra la frangia della capigliatura barbarica.

– Qui ci viene tutti gli anni un conte; – disse poi Ola davanti alla porta di recente verniciata del primo piano; e si strinse un po' al nonno, con soggezione, quasi che il nobile inquilino fosse dentro. Anche dentro accesero la luce; e i pavimenti, le dorature, faccie di donne dipinte sulle testiere dei letti, s'animavano e si colorivano, poi allo spegnersi della luce si annerivano di nuovo e parevano nascondersi.

Ella aveva piacere di questo giuoco, e pregava il nonno di accendere e spegnere. Sebbene fosse entrata solo poche volte nell'appartamento, ne conosceva minutamente gli oggetti, e glieli indicava sottovoce; non toccava nulla però, e tentava di non sfiorare i mobili nemmeno con la sua vestina.

L'appartamento era affittato tutto l'anno al conte, che veniva con la famiglia per la stagione balneare, e a volte anche in primavera: il secondo piano, più modesto, con mobili semplici sebbene nuovi, e le materasse rivoltate che puzzavano di naftalina, si affittava solo l'estate.

Eppure a Ola piaceva di più, e ne aveva più confidenza; perchè era sempre ammessa e ben ricevuta nelle famiglie guarnite di bambini che di solito venivano ad abitarlo.

– Qui poi, c'è un'altra cosa! – disse al nonno spingendolo verso l'uscio del salotto.

Giusto nel salotto la luce non funzionava; ella entrò lo stesso, guidata da quella del corridoio, e si tirò appresso il nonno fino all'angolo accanto alla persiana della terrazza.

Guarda qui, ma non toccaredisse sempre sottovoce.

Egli si piegò per veder meglio; seduta su di una poltroncina stava una bambola di pezza, vestita di azzurro: gli occhi, i capelli biondi, il naso e la bocca erano dipinti sulla tela, eppure risaltavano come veri; anzi al nonno parve che le labbra tirate un po' in su da un lato si movessero ironicamente, e che tutta la bambola avesse qualche cosa di vivo e di malizioso.

– Ti sei spaventato? – domandò Ola canzonandolo: poi lo rassicurò: – è una bambola come questa.

Abbassò la sua, fra le mani, con cura materna; l'accostò all'altra, costrinse le due misteriose creature a baciarsi; e tutto questo la divertì talmente che il riso da troppo tempo chiuso in bocca le sprizzò dai dentini stretti come un'acqua sorgiva che rompe anche la roccia. Allora il nonno sentì sciogliersi quella specie d'incanto servile che li spingeva a errare come ladri nella casa che infine era di Ola: e gli parve che questa e le due bambole si beffassero allegramente di lui.

– Questa casa è tua, – disse con voce ribelle; – speriamo che quando sarai grande te la godrai.

Poi aprì d'un botto la persiana sulla terrazza, e il mare riempì la stanza con tutto il suo azzurro e i fuochi delle vele rosse all'orizzonte.

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