Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La fuga in Egitto
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Le parole vennero dopo. Antonio andò da prima a vedere la moglie, poi sollecitò Ornella perchè apparecchiasse, infine portò su dalla cantina due lunghe bottiglie di vino così polverose che pareva provenissero da qualche scavo di antica città; e invitò il padre alla mensa battendogli la mano sulla spalla come per dire

– Finalmente! Finalmente posso restituirle qualche cosa. Andiamo.

Rientrò anche Tigrino, il gatto vagabondo, che aveva gli occhi glauchi di angelo e nel camminare pareva si allungasse e si restringesse entro le spire delle sue striscie grigie gialle e brune: e d'ammirevole accordo col cane andarono a mettersi tutti e due sotto la tavola.

La tavola era apparecchiata come per le feste. Ornella, indovinando le intenzioni di Antonio, aveva messo la tovaglia pulita e stirata, i piatti senza incrinature, i cristalli per appoggiare le posate; sollevò poi la lampada perchè la luce, piovendo dall'alto, rendesse più morbide le cose.

E collocò Ola in modo da non molestare i due uomini, avvertendola sottovoce che l'avrebbe servita lei e che stesse zitta.

Ola stava zitta, ma notava benissimo lo sfarzo insolito, e i suoi occhi non cessavano di guardare il padre, poichè anche lui le pareva diverso, apparecchiato meglio degli altri giorni, vale a dire più bello e più buono ma anche più vanitoso del solito; e sentiva aria di festa intorno, come quando si invitava qualcuno e pur costretta a non muoversi e tacere si divertiva più degli altri nell'ascoltare cose e vedere visi nuovi. Trasalì quindi, poichè il padre, dopo aver riempito il piatto del nonno di fette di prosciutto bianche e rosse come piccole bandiere, disse allegro e curioso:

– E dunque, mi racconti.

Ed ecco anche il nonno prendere un altro aspetto: era un uomo che veniva da paesi lontani e parlava al figlio in modo diverso del come parlava a lei; anche Ornella era un'altra, oh bene un'altra di quella delle sere quando la mamma stava a letto. Adesso aveva il grembiale bianco e per servire a tavola si piegava come i camerieri nella trattoria dello stabilimento balneare. Un alone fantastico circondava la tavola, e lei provava il sentimento di uno spettatore in teatro quando nella scena la realtà è capovolta e pure prende il cuore più che la realtà vera.

Il nonno parlava, interrompendo il suo lento mangiare, con la sua voce sorda e come pietrosa; non erano grandi vicende, ma insomma erano cose ancora non sapute, non sentite mai, e le esclamazioni e le interruzioni del padre, che dimostrava non meno di lei d'interessarsi al racconto, lo colorivano meglio.

Poi cominciò a raccontare anche lui, il padre; erano cose note, queste, ma raccontate da lui parevano nuove, anche perchè realmente avevano particolari e rafforzamenti finora non conosciuti. Una o due volle ella ebbe desiderio di mettere le cose a posto, ma non osò.

Il maestro a sua volta ascoltava, e guardava il figlio come lo vedesse la prima volta: e quel senso di distanza che aveva provato al suo arrivo nel trovarsi solo davanti alla stazione tornava ad attraversargli l'anima: di nuovo però la presenza della bambina colmava questo spazio desolato.

– Ti sei irrobustito, – disse guardando i polsi forti e poi la testa possente del giovane, – ti sei fatto uomo.

E parve calcare su quest'ultima parola, con una lievissima tinta di rimpianto; poichè non lui, come aveva sperato, ma la vita stessa con le sue forze fatali aveva fatto del giovane un uomo.

Questi intese, e parte con sincerità parte per effetto del buon vino che gli si mescolava al sangue, non trascurando di guardarsi di lontano come un buon attore nello specchio di fronte sulla parete, si mise a declamare.

– Tutto a lei devo! E non dimentico nulla, no: lo stesso stato di benessere in cui attualmente mi trovo, lo devo ai suoi buoni insegnamenti, al suo esempio. Se qualche volta mi sono trovato sull'orlo dell'abisso e tosto ho pensato a lei, mi sono sentito tirare indietro. E può dirlo quella santa donna distesa su quel letto di dolore, quante volte in sogno mi ha sentito pronunziare il suo nome; e questa bella creatura può dire come le ho parlato di lei ancora prima che di Dio; non è vero, Ola?

Ola scoppiò a ridere: riso di contentezza, nel vedere il padre rivolto così solennemente a lei, ma che poteva parere anche di beffa: tanto è vero che Ornella le diede un colpettino sulla testa, mentre ritirava i piatti, senza del resto dimostrare di porre la minima attenzione ai discorsi di quei due.

– Non esageriamo, – disse il maestro, con quel lievissimo accento di ironia che a volte gli risonava nella voce come a sua insaputa. – Io potevo fare di più, per te; il guaio è che, come i padri veri, sono stato debole. Ma poichè la sorte ti ha aiutato e tu sei contento, ringraziamo pure il Signore. La felicità è con noi.

Si rivolse anche lui alla bambina, facendole un cenno di saluto; ella ascoltava, con gli occhi raggianti, e questa volta non rise, perchè non aveva capito bene, ma con una mossa graziosa della testa rispose un po' ironica al saluto del nonno.

E il padre bevette ancora sollevando il bicchiere verso di lei.

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