Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La fuga in Egitto
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15

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– Questo è l'affare, questo. La Bulvin. Lo sanno tutti, oramai, che quella sgualdrina sta per mettersi con te.

Smettila, Ornella, – disse la voce di Antonio; ed era pacata, anche allegra, ancora tinta dal calore leggero del vino spumante; ma come sempre ci si sentiva un fondo di finzione.

Questo doveva irritare maggiormente Ornella perchè la sua voce risonò più forte, rauca e provocante, quale un giorno il maestro gliela aveva sentita a pronunziare impudiche parole con le sue compagne.

– In bestia non puoi andare, perchè bestia tu sei già, porco e traditore. Però questa volta non andrà liscia. Lo sai che sono incinta di nuovo; e questa volta non voglio fare quello che neppure gli animali fanno, e correre il rischio di finire in galera.

Smettila, Ornella, è meglio per te. Tu farai quello che io ti dirò di fare, per il resto non mi tormentare. Tu sai che sono un galantuomo.

Ornella sghignazzò; ma egli era docile, pronto a tutto, e dovette chiuderle la bocca con un bacio perchè lei tacque d'improvviso e un sinistro silenzio di colpa e di abiezione coprì la loro querela.

Allora il maestro si lasciò scivolar giù per la scala come un ladro ferito a morte; tutto il sangue migliore della sua vita lo lasciava .

Andò verso il cancello, poi tornò indietro; ma il solo colore della casa dove Ola dormiva e quei due sopra peccavano, gli fece male agli occhi; si rivolse ancora e camminò, giù giù, fino alle trincee di sabbia dove cadde abbattuto come forse nei giorni della guerra qualche vecchio soldato preso di mira dal nemico.

Egli non era mai stato un uomo impulsivo, e non voleva cominciare ad esserlo da vecchio; ragionava, quindi; il dramma del quale si sentiva come il personaggio centrale gli appariva nella sua cruda naturalezza, e non gli restava più dubbio che anche Marga sapesse dell'inganno e sopportasse per amor di quiete. Non esiste forse uomo che non commetta adulterio, e in migliaia di famiglie il fatto avviene nella stessa casa e a volte prende anche, come avveniva adesso, il sapore dell'incesto; perchè lui dunque dava un colore così tragico all'avventura che, d'altronde, aveva presentito fin dal primo giorno del suo arrivo?

Egli lo sapeva, il perchè, e tutte le ombre che avevano attraversato quel suo senso di una vita nuova ritrovato nell'amore di Ola, si riaddensavano adesso come un velo che piegato e ripiegato più volte non lascia più penetrare la luce. La nicchia di sabbia nella quale giaceva era la stessa dove un giorno, seduto accanto ad Ola che giocava con le conchiglie e le farfalle, quel senso di una vita tutta da ricominciare gli era apparso quasi insopportabile; e ricordò la sua preghiera.

Signore, passa pure su di me con tutte le legioni del dolore purchè la creatura nuova che mi accompagna non conosca il male.

Allora sì sollevò; riconosceva la volontà di Dio. E le legioni del dolore passavano sopra di lui ma non lo distruggevano.

Come dalle spighe battute, il grano doveva separarsi dalla pula e uscirne mondo e benefico.

– Sono qui, – disse a stesso, – pronto a tutto, anche a sradicarmi dal cuore questa ultima gioia terrena che è l'amore per la bambina, purchè lei sia salva.

Egli era uno di quegli uomini che presa una volta una decisione di coscienza non se la lasciano togliere neppure dalla morte; ma, come arrivato allo svolto di una strada usava guardarsi indietro per misurare la via percorsa e le forze che gli rimanevano per proseguire, così prima di sollevarsi dalla sabbia ripensò al suo passato e al perchè era giunto fino .

E da prima si rivide bambino nella casetta degli olivi, all'ombra austera della montagna. Il padre era maestro di scuola, e a tempo perso cacciatore impavido e appassionato; non mangiava mai la selvaggina, ma uccideva le bestie e gli uccelli per istinto primordiale di ferocia. La madre faceva il pane in casa e lavorava la terra come un contadino, potava anche la vite e gli olivi e sapeva l'arte di fare il vino e l'olio; e anche lei nelle ore di ozio coltivava una passione: ricamava piccoli arazzi a punto in croce, meravigliosi per la tinta, le sfumature, le ombre, la precisione dei contorni.

Uno di questi quadretti intorno al quale ella aveva lavorato per anni ed anni, egli lo conservava ancora nella sua valigia dalla quale non si decideva a toglierlo quasi per un senso di superstizione; aveva paura che glielo rubassero e che questo gli portasse sventura.

La madre era dunque, come del resto anche il padre, un misto di rozzezza e di bontà gentile; egli ricordava che ella non lo baciava mai; ogni sera però lo accompagnava al suo lettuccio e pregava per lui a voce alta. Ed egli sentiva cadergli sulla testa, come stelle e fiori, le parole della preghiera, ma avrebbe preferito dei baci.

Così quando giovine già maturo si trovò circondato dalle cure e dalle carezze di una donna, era caduto fra le braccia di lei come un bambino stordito. Era una parente già anziana; e sebbene non alla sua prima colpa, quando si accorse di essere madre e che fra loro non poteva esistere altro legame, s'era impiccata.

Egli trema ancora al ricordo; non lo caccia però, questo ricordo, anzi chiude gli occhi per fissarlo meglio. Rivede la donna penzoloni da una trave, come una grande marionetta; si è coperta il volto; si è vestita di rosso, con nastri d'oro; i colori che a lui piacevano; si è vestita così per andare a nozze con la morte; e sotto c'è una sedia a terra che pare caduta per il terrore.

Un bambino di tre anni, frutto delle prime colpe di lei, dorme tranquillo nel letto comune; ella gli ha rimboccato bene le coperte, gli ha disteso un fazzoletto sul viso perchè neppure nel sonno veda: e sul guanciale ancora segnato dalla testa affannata di lei, ha messo un ramoscello d'olivo.

Pace, pace, – singhiozzò ancora l'uomo, riaprendo gli occhi grandi di dolore e di rimorso.

Il figlio della donna egli lo aveva adottato: e gli anni erano passati. Nessuno sapeva della sua colpa, ed egli anzi veniva considerato uomo austero e caritatevole, un mezzo prete, come lo chiamavano i suoi scolari che lo rispettavano ma non lo amavano.

La madre intanto tirava su il ragazzo come un suo vero nipote; lei sola dubitava della verità ed era grata alla parente che con la sua morte volontaria aveva evitato lo scandalo e il disonore della famiglia; il bambino cresceva bello e prepotente: sapendo di non essere figlio del maestro lo chiamava zio e non c'era caso che gli obbedisse una sola volta.

Finite le scuole elementari dichiarò di non voler saperne oltre; e il maestro che desiderava trasmettergli almeno il suo sapere e la sua cattedra, cominciò a soffrire come un vero padre per l'avvenire oscuro del figlio.

Ma aveva accettato questa paternità come un'espiazione della sua colpa, e guardava con coraggio il suo castigo nella faccia stessa del ragazzo.

Tutta la sua vita era, per questa volontà di espiazione, lineare e casta; sentiva gl'impulsi del male e i bisogni della carne e le rivolte dello spirito, comuni a tutti gli uomini; gli sembrava però di essere a cavallo su un puledro indomito che giorno per giorno frenava e addomesticava.

A volte aveva come delle discussioni con Dio, e sempre ne usciva vittorioso; su un punto solo Dio non cedeva e lui non insisteva: su quel ragazzo che lo faceva soffrire, che non gli dava neppure il compenso di farsi amare.

Anche la vecchia madre dopo aver molto sofferto per la fuga del ragazzo era morta aspettandone il ritorno. Nel suo armadio si trovarono tanti oggetti appartenuti a lui bambino: giocattoli, vestiti, immagini, i primi dentini e i primi riccioli legati con fili di seta; e quando il maestro li vide, finalmente pianse, appoggiato allo sportello aperto dell'armadio come ad una porta che si spalancava su un mondo d'infinito dolore; poi da lontano cominciò a voler bene al giovine, rimproverandosi di averlo allevato senza amore, per solo dovere e quindi per solo egoismo.

Ricominciarono così i colloqui con Dio, finchè un giorno egli si scosse e disse a stesso che tutto era superstizione: si ama quando si può e chi si può amare; ed è un mistero già tanto grande e divino per stesso che è un sacrilegio il solo volerlo spiegare.

Si sollevò e andò lungo la strada fra l'arenile e i villini, già percorsa con Ola il giorno dopo il suo arrivo, fra le scapigliate siepi di tamerici che accoglievano e respingevano da tutte le parti, come ci giocassero spensieratamente, i soffi del vento sempre più forti. Anche gli ontani, più in , tremolavano tutti, riflettendo il movimento e lo scintillìo delle onde laggiù dopo la cornice della spiaggia.

La strada andava a perdersi chi sa dove; egli non era mai riuscito a percorrerla sino in fondo, e aveva l'impressione che costeggiasse tutto l'Adriatico; per questo senso di fantastico e perchè le trincee di sabbia la riparavano dal vento egli la preferiva alle altre; il sole vi si raccoglieva tiepido, di una dolcezza viva, e sul piano erboso, solcato appena dalle ruote dei carretti dei contadini romagnoli, e dove lo sterco stesso dei cavalli era verdastro e pulito, si camminava come su una corsìa vellutata.

Egli la preferiva; lungo quella strada le sue afflizioni si sperdevano acciuffate dai rami capricciosi delle tamerici che giocavano con esse e poi le buttavano al vento; e quei solchi dove i fiori del croco si risollevavano, ciascuno con una goccia di luce come una lagrima propria, e qualche farfalla solitaria che gli veniva pazzamente incontro e poi lo scansava quasi non riconoscesse in lui quello che cercava, tutto infine gli ridestava il senso di una seconda infanzia.

Ed ecco i villini sono finiti; il mare, dopo essere apparso a intervalli fra le dune, adesso lo si vede tutto come una grande pianura coperta dei fiori del lino: la strada sale dolcemente e una linea di nuvole leggere sopra gli ontani che sovrastano le siepi di tamerici pare ripeta il mormorìo delle onde. Sono invece gli alberi che mormorano; egli ricorda ancora una volta i canti religiosi del suo paese, e tenta anche lui di ripeterli:

Il marinaio su le onde
t'invoca, o Signore....

Subito però tacque, impressionato dal suono della sua voce che gli pareva scaturisse di terra, portata subito via dal vento; ma anche l'impressione del marinaio che fra le onde agitate invoca l'aiuto del Signore non lo abbandonò, mentre continuava a camminare un po' faticosamente per la strada in salita, andando contro il vento come una barca in pericolo. Finchè d'un tratto si fermò, con un senso di sollievo, quasi fosse giunto a casa sua.

Dietro il velo della rete di un cancello una casa infatti sorgeva davanti a lui, grigia di vecchiaia e di abbandono.

Era la villa degli Ontani, la casa maledetta.

Del resto non era la prima volta che egli si fermava a guardarla; e il pensiero che tutte quelle stanze rimanevano da anni vuote, mentre lui era costretto ad abitare in una cameretta buia e umida come una cantina, lo legava alla rete del cancello con l'incanto che piega i bambini sulla bocca dei pozzi ove appare un cielo sotterraneo mille volte più attraente del cielo vero.

Una piccola vecchia vestita di nero, curva in avanti come a cercare qualche cosa per terra, apparve in fondo allo spiazzo e si avanzò verso il cancello: egli riconobbe la vecchietta «che ruba i bambini» ed ebbe l'impressione che anche lei lo avesse veduto e venisse giù a domandargli qualche cosa: tuttavia si staccò dalla rete e tornò indietro.

Il vento adesso gli batteva alle spalle; egli se lo sentiva scorrere entro tutte le aperture della giacchetta, e sebbene vedesse gli alberi gonfi di verde e le viti azzurre di solfato di rame gli pareva fosse d'inverno.

Tanto, tanto tempo era trascorso dopo la sua uscita dalla villa di Ola! Stanco si abbandonò di nuovo sulla proda della strada, e gli parve che il sole gli coprisse con un panno caldo le ginocchia. Era ancora un po' di calore del buon Dio, un po' di calore nella morte.

Così lo raggiunse la vecchia che uscita dalla casa maledetta si avanzava camminando in modo strano: posava cioè un piede al suolo e trascinava l'altro con solo la punta del pollice entro la ciabatta che ogni tanto le sfuggiva e pareva volesse nascondersi fra l'erba.

Quel piede doveva farle male, perchè un'espressione di sofferenza le solcava il viso: quando però giunse davanti al maestro gli occhi le s'illuminarono e tutta la persona si raddrizzò: pareva fosse lui la cosa ch'ella cercava, il rimedio al suo male. Lo guardò dritto in faccia e domandò, salutandolo:

Buon giorno. Dov'è la sua bambina?

Il solo poter parlare della bambina dissipò le tenebre e il freddo intorno a lui.

Dorme, – rispose sottovoce, come per non svegliarla. – Voi la conoscete?

– Chi non la conosce? Non si ricorda che li ho veduti assieme in piazza? Conosco anche il padre, Antonio De Nicola.

A lui venne in mente di domandare che cosa si diceva di Antonio, in paese, e se si conoscevano i suoi stravizi: ma a che pro? non era lui stesso che meglio li conosceva?

– La bambina è bella e ben piantata, – diceva intanto la vecchia, come per confortarlo: – e deve essere molto buona. A me piacciono molto i bambini e per questo, forse, dicono che io li rubo. Ne ruberei davvero qualcuno, se potessi, e potessi mantenerlo bene. Invece lo dicono in altro senso.

– Lo dicono le mamme, per impedire ai piccoli di venire fin qui, dove il posto è, certo, molto solitario

La vecchia ebbe un sorriso di derisione per la buona volontà di lui.

Crede lei? Eppure è vero che ho tentato di rubare un bambino, nei primi tempi che si era qui, perchè mio figlio non vuol prendere moglie, ed io invece amerei tanto la compagnia dei nipotini. Le creature innocenti, – proseguì, mentre il maestro la fissava fra pensieroso e inquieto, – preservano dal male e benedicono il luogo dove vivono. Ed io ho paura a stare in quella casa maledetta dal delitto: anche mio figlio comincia a credere che ci sia un sortilegio. Dacchè siamo qui la tristezza grava su di noi. Di notte si sentono rumori strani, dentro la casa, e pare che ancora i figli ammazzino il padre, poi ci si è ammalato il cane, d'un male che non s'è saputo quale: di notte anch'esso guaiva e stralunava gli occhi come vedesse e sentisse. Ha afferrato mio figlio per il lembo dei calzoni e lo ha condotto fino al cancello; senza dubbio voleva che ce ne andassimo. Ieri è morto, e mio figlio ha pianto; poi lo ha seppellito in fondo al campo: ed oggi è andato a cercare un suo amico per chiedergli se vuole sostituirlo nella custodia della casa.

Il maestro sollevò vivacemente la testa.

Perchè non lo cercate qui, il custode?

– E me lo trovi lei. Neppure il cane da sostituire si trova, in questo paese di ebrei.

Egli piegò di nuovo la testa. Conosceva poco il paese, ma sapeva che tutti lavoravano, in mare e in terra, padroni di barche da pesca e piccoli e grandi proprietari; tutti guadagnavano, forse davvero un po' troppo attaccati ai denari come i mercanti israeliti; e anche il più povero si sarebbe vergognato a fare semplicemente il custode di una casa sotto sequestro.

– E anche laggiù non è facile, – aggiunse la vecchia accennando ad un luogo lontano, – la gente non ama stare in casa altrui, in paese altrui.

– Ed ha ragione, – disse l'altro, senza sollevare la testa: e parve non darle più retta, immerso a fondo nei suoi pensieri, che erano ingarbugliati e strani come i discorsi di lei, ma a poco a poco prendevano forma, si riunivano e si schiarivano in uno solo.

– Che c'è da fare, per la custodia? – domandò finalmente.

– Poco e niente. Bisogna solo sorvegliare che nessuno, i ladri i parenti dei parricidi, possano rompere i sigilli o penetrare in altro modo nella casa.

– L'alloggio del custode dov'è?

– È attaccato alla villa; venga a vedere.

Egli fa un moto istintivo per alzarsi; poi scuote forte la testa dicendo:

– Sono troppo vecchio; altrimenti ci verrei io.

Vecchia sono io, – esclama lei tutta contenta di aver trovato quello che andava cercando. – E mio figlio è sempre malato, eppure gli è riuscito facile custodire la casa.

– Ma i campi chi li coltiva?

– Sono affittati a dei contadini: noi non abbiamo che un pezzetto di terra dietro la casa, poi c'è la paga; poco, sei lire al giorno, ma qualche cosa è. Appena mio figlio torna lo manderò da lei, dunque….

– No, no, vecchia, – dice lui smarrito: – ho scherzato.

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