Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La fuga in Egitto
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Passavano i giorni e Ornella era sempre in casa, più che mai taciturna e paziente ai rimproveri ingiusti ed esasperanti di Marga. Anche l'umore di Antonio si offuscava, e neppure il vino ambrato delle bottiglie vecchie riusciva a rischiararlo: del resto egli stava sempre fuori di casa e rientrava accigliato come se gli affari gli andassero male: appena mangiato e bevuto usciva di nuovo.

Un giorno tornò con un celebre medico, che aveva il viso barbuto e misterioso di un mago: era il giorno della febbre, e Marga si rassegnò alla visita, ma non rispondeva a tono, alle domande dello scienziato, e quando questi dichiarò che bisognava farle cambiare aria e ambiente e condurla in collina o possibilmente in montagna, volse il viso sul guanciale e chiuse gli occhi, stanca e ostile.

Quando furono di , nella saletta da pranzo, il grande dottore disse che il caso apparentemente strano era invece semplicissimo: si trattava di antiche febbri di malaria aggravate da una morbosa suggestione d'isterismo.

– Nei giorni buoni, lavora? – domandò.

– Anche troppo: non si ferma un minuto.

Male. Ha dispiaceri?

– No, che si sappia, – rispose Antonio, ma i suoi occhi sfuggivano quelli del maestro.

Il medico non lasciò alcuna ricetta, in cambio della bella busta coi denari che Antonio gli consegnò con disinvoltura; insistè solo nel consiglio di condurre Marga fuori di casa, in alto, il più lontano possibile.

Il maestro pensò al suo paese, alla sua casa che forse si poteva riavere ancora, ma quando Antonio disse che sapeva già dove condurre Marga e con lei la bambina, presso certi lontani parenti di lei, piegò la testa e uscì.

Ancora una volta fece la strada verso la casa degli ontani. Quella visita del dottore straniero gli sembrava alquanto misteriosa, come un raggiro combinato da Antonio per mandar via di casa Marga e la bambina. Perchè? I pensieri più torbidi e inconfessabili gli appestavano la mente: ma tant'è, quando si è travolti dal male tutto pare possibile. Ed egli non si sentiva più neppure il coraggio di affrontare di nuovo l'uomo del quale aveva un tempo sperato farsene un figlio: sentiva che una forza ignota gli metteva davanti quel dramma, che era staccato da lui ma come irradiato da lui, e che solo un'altra forza, quella sua interiore, poteva annullarlo. Insomma, pensava che tutto era per castigo della sua colpa non ancora espiata, e che solo il suo dolore, la sua umiliazione, il sacrifizio della gioia di vivere, potevano sciogliere in bene le cose.

E ancora una volta, come la farfalla notturna attirata dal lume, andò a sbattere contro il cancello della casa maledetta. Il luogo esercitava su lui la stessa suggestione che sui bambini fantasiosi: ma era anche una specie di sfondo alla sua pena segreta ch'egli cercava; uno sfondo scuro e opaco dove le linee del suo sacrifizio potevano staccarsi meglio; così il penitente cerca la caverna dove espiare.

A dire il vero adesso anche dentro nel giardino solitario la primavera gettava il suo velo di gioia. Gli alberi gonfi di verde risonavano di canti d'uccelli, e le panchine e le tavole, lavate dall'ultima pioggia, parevano nuove.

Ed ecco come a sua volta attirata da un segreto richiamo, la vecchia apparve in fondo al viale: al solito guardava curva per terra, ma quando s'avvide del maestro tentò raddrizzarsi; con un piede sì e un piede no corse giù al cancello e senz'altro aprì.

Egli ricordò allora che aveva promesso di tornare ed entrò: e dopo aver richiuso il cancello, ella lo condusse a vedere la casa del custode.

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