Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La fuga in Egitto
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La sera stessa, mentre credeva di essere completamente solo sulla terra, ricevette una visita. Era il contadino anziano che aveva in affitto il campo della villa. Si presentò rispettoso, col cappello di paglia in mano, e dopo aver domandato timidamente se poteva essere utile in qualche cosa, cominciò anche lui a lamentarsi per la maledizione che pareva gravasse davvero su quella terra.

– Siamo venuti in quattro, io e mio fratello, mia moglie e un suo cugino: si andava tutti d'accordo, e le cose in principio prosperavano. Poi mia moglie è morta, il cugino andò via perchè non gli conveniva più di stare con noi. Siamo rimasti io e mio fratello Gesuino e lavoriamo come cani riuscendo appena, adesso, a ricavare il fitto del campo. Tutto va male; persino le galline non fanno più uova. Inoltre io e mio fratello litighiamo di continuo: anzi lei, che è una persona per bene, ci compatirà se ci vedrà anche a bastonarci.

Bravi! E perchè lo fate?

– Così, per il gusto di farlo. Prima non capitava mai. Gesuino è buono, fin troppo, religioso e taciturno: ha il petto foderato d'immagini sacre, prega sempre, e crede agli spiriti, ai folletti e a tante altre diavolerie. Ma quando si tratta di parlar male ha la lingua come uno spiedo. E anch'io non sono cattivo: e ci vogliamo bene: eppure litighiamo sempre. Lui dice che si tratta di stregoneria.

– Non avete donne, in casa?

L'uomo fece un gesto di scongiuro.

Dopo la morte di mia moglie si è presa in casa una parente. La parente ci ha svaligiato la casa, ed è lei che ha cominciato a metterci in discordia, finchè non l'ho cacciata via a colpi di randello: poi si è presa una specie di serva; questa non rubava e non s'impicciava nei fatti nostri, ma stava tutto il giorno fuori con uomini, era infine una sgualdrina, anche sporca di una malattia che l'educazione non mi permette di nominare. Allora disperati, Gesuino ed io, ci siamo decisi a vivere senza donne. Si vive male, ma si vive meglio che con donne straniere. E lui d'altronde, Gesuino, ha imparato a far di tutto; cucisce persino, ma questo porta via molto tempo.

Perchè non riprendete moglie?

Il contadino lo guardò di sotto in su, coi suoi occhietti verdi già affondati fra le rughe, tristi eppure maliziosi.

– La vorrei riprendere, sì, ma la vorrei giovane e con qualche cosa; ma ho paura di queste, salvo ognuno.

Fece le corna e rise: e all'altro parve che lo pigliasse un po' in giro.

– E vostro fratello?

– Ah, quello poi ha fatto voto di castità. Odia le donne e fugge quando le vede: del resto fugge anche gli uomini; questa sera non è voluto venire con me a salutarla, e vedrà, non le riuscirà di parlargli due volte in un anno.

Bene, così saremo più amici.

–Non creda che anch'io ami le chiacchiere, – assicurò subito il contadino: – ma qualche volta bisogna sfogarsi. E se non ci si sfoga con gli uomini con chi lo si fa? Lei dicono che è stato maestro, e quindi sa molte cose. Molte cose.... – ripetè pensieroso. – La vecchia ch'era qui mi disse: quando hai bisogno di consiglio va da lui perchè è un sapientone.

– Che ne sa la vecchia di me? E se fossi stato un uomo sapiente non sarei qui. Ad ogni modo, però, se mi chiedete un consiglio ve lo posso dare, come voi potete darlo a me.

– E se lei ha bisogno di qualche cosa, – riprese l'altro incoraggiato e riconfortato, – comandi pure. La vecchia forse le ha parlato male di noi, perchè con Gesuino appunto non andava d'accordo, e il figlio pretendeva che si facesse la guardia noi, quando lui era in giro, ed era sempre in giro. Negli ultimi tempi, poi, erano tutti e due divenuti strambi. Vedevano, vale a dire credevano di vedere il fantasma del padre ucciso dai figli: e noi si rideva, sebbene anche mio fratello creda un poco a queste sciocchezze. Lei, però, non ci crederà certo.

– I morti son morti, – disse il maestro; – e quelli da temersi sono i fantasmi dei vivi.

– Ben detto! Ma adesso le tolgo il disturbo e le chiedo scusa. Domani mattina presto vado in paese, se lei ha bisogno di qualche cosa comandi pure liberamente. Ero venuto anche per questo.

– Ebbene, compratemi un pane. E di un'altra cosa vi prego: non parlate di me, non dite che io sono qui.

Il contadino si strinse con due dita le labbra, e i suoi occhi ricordarono al maestro quelli del cane di Ola quando gli si faceva una carezza: si sentì quindi consolato poichè gli parve che la provvidenza gli mandasse, con l'aiuto materiale di quell'uomo semplice, anche il conforto che la vicinanza di un'anima a un'altra anima.

Fin dalla prima notte fece il suo dovere: gli parve di sentire rumore e andò a vedere intorno alla villa. Tutto era quieto, e il chiarore della luna dava anzi una luce spettrale al luogo silenzioso e morto. Solo davanti ad una delle tavole di marmo parve al maestro di vedere un'ombra: era l'ombra di un cespuglio, egli lo vedeva bene, eppure un brivido di mistero gli tremò nel sangue. Ricordò la manina di Ola stretta alla sua, e pensò che la giustizia degli uomini non basta a cancellare il male. Ritornò al suo giaciglio ma non potè riprendere sonno. Sentiva i cani abbaiare lontano e i topi passeggiare sul tetto; anche le galline raccolte sopra una pertica in fondo alla stanza, di tanto in tanto pigolavano; un flebile pigolìo di sogno: egli accese il lume e tentò di leggere, ma la luce era scarsa, gli occhi si affaticavano e la lettura non gli penetrava come altre volte nell'anima.

Allora spense di nuovo e si abbandonò ai ricordi, a quelli sopratutto che voleva sfuggire: così la madre nella notte offre il seno al bambino inquieto, sebbene sappia che ciò può fargli male.

Ma l'insonnia era lunga, insistente; e solo all'alba, quando egli contava di alzarsi, un sonno violento e torbido di cattivi sogni si buttò su di lui come un incubo.

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