Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La fuga in Egitto
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Quando si svegliò vide che il contadino aveva già deposto il pane sul davanzale della finestra; e accanto un secchio d'acqua fresca. Quest'attenzione lo commosse.

– E loro che penseranno di me? Che sono venuto qui per dormire solamente?

Cominciò a lavorare. Diede da mangiare alle galline e si mise a ripulire la stanza, fatica improba, poichè la vecchia non aveva lasciato che un mozzicone di granata, e neppure uno straccio: ma egli ricordò le offerte del contadino e andò a chiedere in prestito una scopa. I due fratelli, che si rassomigliavano in modo straordinario, piccoli e tarchiati e di pelo rossiccio entrambi, lavoravano nel campo davanti alla casa; l'anziano estraeva dalla terra già un po' indurita dai primi calori le patate rotonde e liscie come uova di marmo giallo. Il maestro si fermò a guardare: e quel balzare del nutrimento umano dal segreto della terra gli apparve come un miracolo. Il contadino però si lamentava:

– Sono scarse e piccole; neppure il seme se ne ricava.

Tuttavia lo pregò di accettarne alquante, ed egli le prese, guardando verso Gesuino che gli aveva appena restituito il saluto. Gesuino non parve badare a lui, ma quando si fu allontanato con la scopa e le patate, il maestro sentì che i due fratelli questionavano.

Il lavoro gli fece parer breve e quasi allegra la mattina. Portò fuori nel concimaio dei contadini le foglie di granone, le patate marcie, tutti gli oggetti inutili o rotti che ingombravano la stanza; portò fuori anche i mobili, per lavarli e disinfettarli al sole, e la materassa e le coperte dei giaciglio. Con meraviglia vide che le lenzuola, cambiate il giorno prima dalla vecchia, erano pulite; in compenso trovò, nel soppalco, fin dove si arrampicò con un'agilità strabiliante per lui, un mucchio di lenzuola sporche.

Anche questo soppalco formava una piccola stanza, con un giaciglio e una cassa buona per tavola e per sedia: da una specie di feritoia entrava la luce e si vedeva il campo dei contadini. Quando ebbe pulito anche lassù, il maestro scese e diede una prima scopatura alla stanza: la polvere e la lanuggine del pavimento gli danzavano intorno quasi irridendolo; più scopava più ne veniva fuori; e ogni tanto egli usciva sulla porta per sputare e soffiarsi il naso. Pensava ad Ola: fosse stata a ridersi di lui ed aiutarlo! Via, via; egli ringoiava con la polvere il suo turbamento, e tornava alla fatica come un galeotto che per un momento s'è affacciato alla soglia del suo carcere e vede il cielo lontano. Quando ebbe finito di ripulire il pavimento e le pareti, dalle quali le ragnatele piovevano ancora piene di mosche morte fin dagli anni passati, pensò di mangiare qualche cosa. Andò a vedere nella gabbia a metà piena di paglia dove le galline, secondo la vecchia, facevano quattro uova al giorno; ma di uova non ne trovò che due, uno tutto picchiettato di nero, che era l'uovo di richiamo, l'altro bianco e caldo come già cotto.

Si contentò di questo, e vi inzuppò dentro il pane, come Ola inzuppava i biscotti nella crema, con gioia voluttuosa.

Poi riprese la sua faccenda: e quando i mobili furono lavati e rimessi a posto, e il lettuccio rifatto, gli parve di essere approdato, dopo una faticosa traversata, a un nuovo porto: e come tutti quelli che arrivano, riaprì la sua valigia.

La prima cosa che ne trasse fu l'orologio a sveglia, che lo aveva seguito fin dal paesetto natìo: camminava ancora, indifferente a tutto quello che non fosse il suo dovere, di battere il tempo, e messo in mezzo alla tavola ancora umida continuò imperterrito, padrone subito del luogo e dello spazio intorno.

Il maestro si sentì rianimato: come avesse ritrovato un compagno nella sua solitudine. Ma quello che più lo riconfortò fu il rotolo di canavaccio ingiallito nei margini, che durante il soggiorno nella casa di Marga egli non aveva mai tolto dalla valigia. Era il piccolo arazzo ricamato dalla madre. Lo svolse sulla tavola, tenendolo fermo con le dita, e si sollevò per guardarlo meglio a distanza.

Il quadretto rappresentava una spiaggia arida: la sabbia, ricamata con la seta grezza, segnava il primo piano; dopo veniva la striscia verdastra del mare, sullo sfondo grigio-azzurro del cielo. Su questo paesaggio, che con sole tre linee segnava una immensità ariosa e profonda, due figure camminavano. Sì, pareva proprio di vederle camminare, coi piedi sollevati, e dietro di loro le orme sulla sabbia: una rappresentava un uomo calvo, con un lungo camice stretto alla cintura e i sandali di corda: aveva in mano un fardello e precedeva una donna più alta di lui, che teneva in braccio un bambino (doveva essere un bambino dal modo come lei lo reggeva) tutto ricoperto di un drappo scuro. Lei era vestita di rosso, coi sandali di corda, la testa avviluppata di treccie mirabilmente imitate con la seta giallo-oro.

Sotto, sul margine ancora vuoto del canavaccio, ricamato con la seta nera, si leggeva il titolo:

La fuga in Egitto.

Con quattro chiodetti il piccolo arazzo fu attaccato alla parete sopra il tettuccio, e tutta la stanza parve illuminarsene.

La sopracoperta del giaciglio, quella che pareva un sacco, fu distesa come tappeto, e sopra le lenzuola lasciata solo la coperta bianca a frangie, abbastanza pulita, che la vecchia teneva ripiegata sotto il guanciale.

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