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Nel rientrare si accorse subito che qualche cosa di nuovo ravvivava anche la sua dimora: la mano di una donna, sia pure meccanicamente, era passata sugli oggetti, sulle pareti, per terra; l'acqua aveva rinfrescato e ripulito le cose sporche, e alcune così bene che sembravano nuove: l'anima della casa, il fuoco, ardeva vivissima: e infine egli osservò che anche sul soppalco tutto era ripulito: segno che Ornella non intendeva andarsene.
E lei, china sulla tinozza accanto al pozzo, lavava la camicia di lui. Nel vederlo rientrare s'era sollevata di scatto, con gli occhi in colore delle foglie intorno; poi s'era piegata più di prima, nascondendosi: adesso, mentre deponeva sulla tavola le provviste, egli la sentiva sbattere con rabbia il panno contro l'asse del lavatoio.
– Sbatti, sbatti: ne avrai da sbattere, – pensò: poi le disse dalla finestra: – Ornella, ti ho portato le ciliegie. Le vuoi?
Ella tornò a sollevarsi, dominandosi fieramente; le labbra però le tremavano, pallide di angoscia ma anche di scherno.
– Mi ha portato almeno le scarpe? – domandò con la sua voce selvaggia.
Il maestro non aveva più paura.
– A che fare le scarpe? Tanto, per oggi non esci. E poi Antonio non l'ho trovato, nè in casa nè in paese.
Ella si mise a torcere con ferocia il povero panno che teneva fra le mani.
– Lo sapevo che si nascondeva, lo sapevo. Mascalzone, vigliacco, figlio di un porco....
Una filza di parole turpi le uscì di bocca; caddero nell'acqua livida della tinozza; e il maestro lasciò ch'ella vomitasse tutto il suo veleno: meglio fuori che dentro.
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