Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La fuga in Egitto
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63

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Ora una di quelle sere, mentre Gesuino si piegava a buttare sul fuoco le scorze nere delle castagne, e Proto beveva a lenti sorsi beati il secondo bicchiere di vino, si sentì picchiare alla porta.

Ornella tremò tutta, come svegliandosi spaventata di soprassalto, ma non si alzò per aprire. Si alzò Gesuino; andò verso la porta con un cipiglio come se dietro ci fosse il lupo, e aprì senza domandare chi c'era.

Come sospinta dal soffio del vento entrò una figura alta incappucciata, con un cappotto impermeabile nero luccicante d'acqua. Sulle prime il maestro credette fosse il dottore, poi subito s'accorse che era Antonio.

– La mia visita non l'aspettavate, – questi disse, fra l'allegro e il tragico, ma sempre con accento studiato. – E voi scusate, signori contadini, se sono passato per il vostro cancello che era semplicemente aperto.

– È vero, è proprio vero, – ammise Proto; ma il nostro cancello è sempre aperto.

Gesuino aprì la bocca per parlare; ma non ne fece niente: e rimesso dalla prima sorpresa guatò alle spalle Antonio, che si levava con disinvoltura il cappotto; poi guardò Ornella che si era fatta rossa fin sulle unghie, infine riprese il suo posto.

Seguì un momento di silenzio.

Fuori il vento attraversava e rompeva la rete della pioggia, sbattendola con un rumore metallico sui muri della casa; e il maestro aveva l'impressione che l'acqua penetrasse fino alla stanza.

Antonio cercò con gli occhi dove mettere il cappotto: non trovando altro lo buttò sulla scaletta del soppalco: e nella penombra l'indumento parve un fantasma caduto.

Proto intanto aveva finito di bere il suo vino: si alzò per deporre il bicchiere sulla tavola e diede anche lui un rapido sguardo ad Ornella. La vide così raccolta e lontana nel suo smarrimento che disse a stesso:

Ohè, compare, qui tu e tuo fratello Gesuino siete di troppo. Filate via.

Si riavvicinò al camino e premette un dito sulla spalla del fratello.

Andiamo, Gesuino; è tardi.

E poichè nessuno li tratteneva, dopo aver salutato tutti con un certo imbarazzo, i due fratelli se ne andarono.

Come durante la visita del parricida, il maestro aveva l'impressione di sognare: eppure sentiva che Antonio portava un soffio di realtà crudele: i sogni oramai dovevano cadere come quel fantasma di tela nera sulla scaletta del soppalco.

Marga e Ola vi salutano, – disse Antonio, prendendo il posto di Gesuino: e allungò le gambe strette da lunghi gambali di cuoio.

Quei nomi e quel saluto raddolcirono il cuore del maestro: il suo sguardo si schiarì; il suo spirito si sollevò, dominò ancora gli eventi.

Allora si accorse che Antonio era fisicamente mutato, come uno che ha sofferto una malattia od è stato a lungo in paese straniero: il suo viso s'era indurito, aveva preso, pur conservando i suoi lineamenti classici, un'altra espressione, come quello di una statua che lo scultore scontento ha ritoccato; i capelli, prima divisi da una scriminatura femminea, adesso erano dritti, compatti, rasi sulla nuca vigorosa; e anche gli occhi sebbene fissi sul fuoco, non luccicavano più, fermi sotto le sopracciglia che si aggrottavano e si spianavano come seguendo il movimento ora alto ora basso delle fiamme.

La sua voce, andati via i contadini, nell'annunziare i saluti di Marga e di Ola, s'era pure essa smascherata del solito accento teatrale, e quando egli, dopo essersi adagiato bene davanti al camino, con le braccia conserte, disse ruvidamente:

– Sono venuto per definire questa faccenda di Ornella, – ogni parola parve cadere a piombo e spaccarsi a terra come certi frutti duri quando la scorza è matura.

Nessuno dei due rispose: anzi Ornella piegò meglio la testa, e si sentì non più una persona ma una cosa nelle mani di lui.

Egli riprese:

– Siamo divenuti la favola del paese; tutti, a cominciare da mia moglie, sanno la verità e fingono d'ignorarla, non per rispetto ma per paura di me, dei miei pugni eh, s'intende; ma tutti ne ridono; ridono perchè sono invidiosi, s'intende anche questo, e s'io fossi un poveraccio o se mia moglie mi tormentasse non si occuperebbero di me e dei fatti miei. Le cose fortunatamente non vanno così, cioè io sono quello che sono e mia moglie è una donna prudente: ma so che soffre anche lei, che anche lei ha diritto al rispetto, non alla compassione finta e alla derisione nascosta del prossimo, e voglio che lo scandalo cessi.

– Te ne sei accorto solo adesso, di tutte queste cose? – domandò il maestro.

Sissignore! Se me ne fossi accorto prima avrei riparato prima.

Era meglio evitare, non riparare.

– Non si nasce coi denti. Anzi, dicono, la saggezza si acquista col cadere dei denti, quello definitivo s'intende.

Sentiamo allora cosa avresti intenzione di fare.

– Una cosa semplicissima: portare Ornella in una casa per gestanti, lontana di qui, e dove ho già impegnato un posto, e aspettare che nasca la creatura.

– E poi?

– E poi provvedere a loro: chi ha rotto paga.

– E così avrai due famiglie.

– E se occorre avrò due famiglie e lavorerò per tutte e due: non sarò il primo l'ultimo.

– Tua moglie sa di questa tua decisione?

– La saprà, forse, perchè indovina maledettamente anche le mie più nascoste intenzioni, ma come al solito tace e lascia fare a me, sicura in fondo che io non sono quel grande mascalzone che mi si crede. Solo mi ha parlato di lei, pregandomi di far di tutto perchè ritorni in famiglia; ed io ho promesso e spero di mantenere la promessa.

Il maestro non rispose subito: parve cercare ancora una volta la risoluzione migliore dell'avventura e ancora una volta non ne trovò che una.

– Io ritornerò al mio paese, dove sono già in trattative per il ricupero della casa. Ornella verrà con me e, se occorrerà, darò il mio nome a lei e alla creatura.

Antonio cominciò a ridere, ma subito si strinse e torse un po' le mani come per stroncare la sua cattiva allegria, e si rifece triste.

– Questi sono romanzi bell'e buoni, che da queste parti non usano.

Usano ancora dalle nostre, – insistè il maestro riprendendo forza.

– Non usano più neppure : oramai la gente è pratica e ride di quei poveri cristiani che perdono il tempo a scavare buche nell'acqua.

Lascia stare, che ridano, e spiegami quali sarebbero queste buche nell'acqua.

– Sarebbero che non passeranno due mesi che Ornella o le scapperebbe di casa o le farebbe le corna col compare.

Questa volta fu lei a frenare un sogghigno: il dibattito fra i due uomini la rianimava. Sollevò la testa, e ricominciò a cucire, pensando al modo di aiutare il maestro a farle sfuggire la tirannia di Antonio. A suo tempo, poi, avrebbe provveduto lei ai suoi casi: ma i suoi progetti erano così tenebrosi e nascosti che di nuovo si sentì fatta prigioniera come una colpevole quando li vide scovati dal suo amante.

Il maestro diceva:

Lasciamo da parte l'avvenire, e discutiamo del presente. Discutiamo anzitutto il tuo cambiamento. Come va che dopo aver cacciato Ornella a pedate, adesso ne vuoi fare quasi una seconda moglie?

Antonio si piegò alquanto, parlò con voce bassa e grave, quasi desiderando che Ornella non sentisse.

– E lei non ha mai cambiato di pensiero? Non s'è mai pentito del male fatto? Ho sofferto anch'io, in questi mesi. E lei rinnegherebbe i principî che mi ha insegnato da ragazzo, se credesse davvero ch'io sono un insensibile malfattore. Ieri ho compiuto trent'anni, – disse, sollevandosi di scatto. – È tempo di metter giudizio. E di sentire anche la propria dignità. A volte l'amor proprio e l'orgoglio fanno uomini di coscienza anche i briganti. E poichè parliamo di briganti devo dirle che c'è di mezzo, in tutta questa storia, anche un brutto ceffo. Lei una notte ha ricevuto qui Adelmo Bianchi il parricida.

Istintivamente allora il maestro si volse a guardare Ornella; la vide di scorcio, con la testa di nuovo piegata fin quasi a toccare la tela, con l'attitudine ch'ella usava quando voleva nascondere i suoi pensieri; e intese tutto.

Senza più rivolgersi verso il fuoco rispose con voce mutata, forte e recisa.

– Sì, il Bianchi è stato qui una notte, prima della mia malattia: perchè?

– Mi dica prima lei che cosa era venuto a fare.

– Ma, che so io? Per salutare la sua casa, diceva lui, prima di partire per l'estero.

– Lo lasci dire! Quello è uno sfacciato che non apre bocca se non per dire bugie. Del resto è uno sciagurato: basta sapere quello che ha fatto. Ebbene, di qui è realmente partito la notte stessa; è andato a Genova senza un soldo in tasca, perchè gli riesce sempre di sgattaiolare e scamparsela come la volpe; a Genova trova da lavorare nel porto e impara a fare il cuoco perchè conta d'occuparsi come tale in un piroscafo mercantile che va nell'America del Sud. Ha il passaporto falso, ma per imbarcarsi aspetta che la signorina Ornella col suo fagotto lo raggiunga.

Come in principio del colloquio nessuno degli altri due parlò. Il maestro guardava sempre Ornella: la vide sollevare la testa con una certa fierezza, ripiegandola tosto sotto lo sguardo di lui.

Senza scomporsi Antonio riprese:

– Le ha scritto una lettera raccomandata che lei forse ha veduto: le proponeva appunto di raggiungerlo al più presto, procurandosi naturalmente prima il passaporto; e chi quante cose le ha dato ad intendere. Lei ha risposto accettando, e aspetta di aver pronte le carte per partire, lei col suo fagotto.

Lei col suo fagotto! Queste parole facevano male al maestro, come fossero pugni; un male umiliante e vile: e non seppe per quale profondo istinto di vendetta volle anche lui offendere Antonio.

Adesso capisco il movente dei tuoi passi: altro che dignità: è gelosia.

E forse lo era, perchè Antonio non si scompose: solo osservò:

– Ah, non è dignità! E se un giorno il parricida viene preso, e probabilmente la sua compagna con lui, e nel dibattimento, che ancora è stato rinviato, appunto perchè si ricerca sempre il Bianchi e si spera di acciuffarlo, e il nostro nome e tutta questa ridicola storia nostra vengono accennati, le pare una cosa bella?

Scusami, – disse il maestro; – ma come hai saputo tu la faccenda?

– Questo non importa: le cose si sanno.

– Ma sei certo poi che sia vero?

Allora Antonio si volse anche lui con la sedia come fosse su una sedia girevole, e additò Ornella con un gesto sdegnoso.

– Lo domandi a lei se è vero o no.

Così parve cominciare il dibattimento di Ornella.

Ornella, – disse il maestro, – tu, è vero, hai ricevuto una lettera raccomandata, ma dicevi che era di un tuo cugino. Che rispondi adesso alle affermazioni di Antonio?

– La lettera che ho ricevuto io era proprio di mio cugino, – rispose lei; e continuava a cucire fingendo una certa indifferenza. – Può andare a chiederlo ai miei parenti.

– Ma che cugino! Ma che cugino! – gridò allora Antonio perdendo la pazienza. – Tu puoi infinocchiare questo santone qui, non me. Tu non hai cugini, e quei tuoi parenti appunto ti tengono bordone in questo brutto affare. Ed è appunto quella ruffiana della tua zia che s'incarica di farti preparare le carte.

– Le carte, – ella disse tranquilla, – mi servivano appunto per andar via di qui col signor maestro.

Antonio bestemmiò, fra lo sdegnato e l'allegro, poi disse:

– Ch'eri sfacciata lo sapevo, ma non a questo punto. E dimmi una cosa: tu la mattina di sabato scorso sei stata alla posta ed hai ritirato una seconda lettera alla quale hai risposto lunedì con raccomandata espresso. Era corrispondenza con tuo cugino ancora questa?

Ornella non rispose. Intervenne ancora il maestro.

Ornella, noi non vogliamo farti del male. Anzi vedi che stiamo qui a contenderti come Elena Troiana. Tu dovresti dire la verità almeno per riconoscenza. Del resto se tu hai intenzione di partire nessuno....

– Questo poi no, – interruppe Antonio, già alquanto annoiato. –– La mia intenzione l'ho detta e non la cambio. Solo devo dire e ripetere un'altra cosa: se dopo la nascita della creatura vorrai impiccarti o, il che è peggio, andartene con quell'imbecille, padrona: di mio figlio però me ne incarico io.

Ornella, pensaci bene.

Dove hai le lettere del Bianchi?

– Oh, quanto la fate lunga, – esclamò lei con subito coraggio; e lasciato andare per terra il pannolino che orlava, trasse dalla sua tasca profonda due lettere ripiegate assieme, e fece atto di buttare anche queste; poi le depose sulla tavola.

Dammi quelle lettere, – comandò Antonio con la sua voce prepotente di padrone, e quando le ebbe in mano guardò le buste: la prima era indirizzata alla villa Bianchi, la seconda ferma in posta. Dunque era stato bene informato.

Leggi in alto, – comandò a sua volta il maestro.

Allora nella malinconica stanza dove si svolgeva quel dramma in apparenza volgare e senza colore, soffiò ancora, per opera del delinquente, del parricida, dell'«ultimo degli uomini», l'alito della poesia e degli spazi ariosi dove solo la fantasia può arrivare.

«Ornella, perdonami se mi permetto di chiamarti a nome e darti del tu: ma dalla sera che ti rividi nella mia triste casa maledetta, io parlo sempre con te, e tu mi segui nel mio viaggio fortunoso; e di giorno parliamo e la notte dormiamo assieme avvolti dalla stessa nuvola di sogni.

«Ornella, il mio destino è forse come quello dell'Ebreo Errante, che sempre deve ricominciare il giro del mondo e il mondo non è per lui che un piccolo giardino dove a lungo andare si sente imprigionato e altro conforto altra disperazione non gli resta che guardare gli astri o chiedere al sole di discioglierlo con la sua luce. Ma anche questo gli è negato, ed egli deve vivere in eterno, in eterno soffrire: egli ha voluto andare contro l'amore di Dio, uomo si è messo contro le leggi che regolano la vita dell'uomo, e il suo castigo è di essere a sua volta posto fuori delle leggi umane. Non gli è concessa la morte, non gli è più concessa la vita: così sono io....»

Qui Antonio, che suo malgrado si lasciava trascinare dal suono stesso della sua voce, domandò fra l'ironico e il curioso:

– Ma cosa diavolo ha fatto quest'individuo?

– Quando Cristo sulla via del Calvario cadde sotto il peso della croce, uno degli astanti disse: «Eh, su, cammina, cammina». Allora Gesù sollevandosi disse: «E tu camminerai in eterno» – spiegò serio il maestro. – Questo è Aasvero, l'Ebreo Errante.

Antonio riprese a leggere:

«Così sono io, se tu, Ornella, mi neghi la tua assistenza. Se tu verrai con me, madre sposa sorella, io invece rinascerò alla vita, sarò come la creatura innocente che deve nascere da te, ed entrambi, io e la tua creatura, che sarà pure la mia, vivremo di te e del tuo amore.

«Ti giuro, Ornella, che non deporrò neppure un bacio sulla punta delle tue dita, finchè tu dovrai compiere il tuo sacro dovere di madre: e ti circonderò delle mie cure; mi stenderò ai tuoi piedi come un cane fedele e tu potrai dormire tranquilla anche se intorno romberà la tempesta o se la nostra casa sarà circondata di leoni.

Boumh! – gridò Antonio; ma non rideva e i suoi occhi non si staccavano dalla lettera.

«È stata un'inspirazione di Dio a farmi quella sera tornare nella mia triste casa: avevo l'idea che il fuoco vi fosse ancora acceso e gli spiriti placati dei miei genitori mi aspettassero per perdonarmi e benedirmi. E volevo portare via con me qualche ricordo, l'ocarina che con la sua flebile melodia ha accompagnato i miei primi sogni d'amore, e l'anello di sposa della mamma. E il fuoco, sì, l'ho ritrovato acceso, nei tuoi occhi d'oro, Ornella, e la musica e l'anello nuziale li ho portati via dentro il mio cuore fanciullo, col mio amore per te, Ornella.

«Ornella! Quando pronunzio questo nome sento ancora lo stormire degli ontani intorno alla vigna soleggiata, nei meriggi di estate, quando i grappoli cominciano ad arrossare e l'usignuolo becca il fico maturo per far più dolce il suo canto. Andremo lontano, Ornella, ma se tu mi amerai, dappertutto, anche nei deserti o nelle città fangose, ritroveremo la vigna d'estate, e l'usignolo ci canterà nel cuore

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