Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La fuga in Egitto
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Subito Ornella si alzò e con l'andatura fiacca della belva minacciata dal domatore si diresse verso la scaletta.

Il maestro tornò anche lui a sedersi presso il camino, col viso rivolto al fuoco. Non voleva più guardare Antonio: sentiva che oramai davvero tutto era finito. Il problema della sua coscienza s'era sciolto come si scioglievano i tizzi nel camino: in fuoco e cenere. E quasi gli veniva da ridere di sé stesso, pensando a tutto il suo lungo inutile patire: ma era un desiderio di riso amaro, poichè in fondo il dolore lo premeva più di prima.

Mentre su nel soppalco si sentiva Ornella muoversi cambiandosi il vestito e raccogliendo la sua roba, Antonio si rimise anche lui il cappotto e si riavvicinò al camino. Disse con voce turbata:

– Lei mi scuserà se sono stato duro. Ma è necessario. Bisogna che le dica, – aggiunse sottovoce, piegandosi sul maestro, – che è stata anche Marga a impormi questo, per liberare lei da una situazione ridicola e penosa.

– Di me non dovete più occuparvi, tu Marga altri, – rispose il maestro, fermo a fissare il fuoco. – Io non conosco più nessuno.

– Lei si placherà, e vedrà che le cose andranno a posto. Io faccio il mio dovere, e seguo, dopo tutto, la strada che lei un giorno mi ha indicato. Lo ricorda? Lei voleva che allontanassi Ornella dalla mia casa e dal paese dove vive la mia famiglia, e sistemassi la creatura che deve nascere. Voleva o no questo? E questo faccio.

Ma poichè il maestro non pareva convinto e tanto meno soddisfatto, Antonio, sollevandosi con impazienza, riprese:

– Non capisce che io sono suo figlio più di quanto lei possa credere? So tutto, di lei, del suo passato, del vincolo che ci unisce. Marga ha parlato, e siamo in tre, adesso, a combattere il male, perchè Ola sia salva da ogni residuo di castigo.

Il maestro sollevò la testa; e come il chiarore del fuoco dava un riflesso di sangue al vestito lucente di Antonio, egli ebbe ancora una volta un'allucinazione: rivide la donna morta con dentro la sua creatura.

Ola è salva, ormai, – disse, – quello che andrà perduto, indubbiamente, sarà il figlio di Ornella.

Poi non parlò più, neppure quando Ornella fu giù col fagotto della sua roba e lo depose sulla tavola per completarlo. Dapprima ella vi cacciò dentro le sue ciabatte, poi il pannolino di tela che stava ancora per terra, dopo averlo scosso e ripiegato; infine si guardò attorno, calma e indifferente, cercando con gli occhi qualche cosa che poteva aver dimenticato. Fissò per un attimo il quadretto della Fuga in Egitto, ma tosto abbassò la testa: poichè nei suoi progetti di fuga per andare a raggiungere il parricida aveva pensato di portarsi via il quadretto, non sapeva neppure lei perchè, forse perchè era la unica cosa di valore che esistesse dentro.

Le parve che il maestro indovinasse il suo pensiero, e per nasconderlo meglio si chinò a cercare la forcina cadutale dai capelli: un attimo, e quando ella si sollevò parve un'altra, col viso giallo come le sue treccie e gli occhi grandi spauriti. Alzò le braccia per tirarsi su i capelli e rimettere a posto la forcina, e come se questa le traforasse la nuca diede un muggito che parve quello del bue al colpo di mazza che deve ucciderlo.

I due uomini credettero ad una finzione: ella però si abbattè sulla sedia e piegò la fronte sul fagotto, stringendo i denti per non gridare ancora.

Un momento, e un secondo grido parve riempire la stanza di fragore e di terrore: era un urlo strano, che usciva dalle viscere di lei come da un luogo sotterraneo dove succedevano cose spaventevoli: e implorava aiuto, e nello stesso tempo era una maledizione.

Ornella…. – disse Antonio, impaurito: ma lei sbattè le braccia, come le ali di un uccello perseguitato, con un gesto che allontanava e voleva a sua volta ferire.

Vattene, vattene, – disse con voce rauca. – Malfattore, miserabile, vattene.

Vibrava un odio profondo, in quella voce sorda, un lamento più vasto di quello dei gridi di prima: l'odio antico della donna contro l'uomo che l'ha costretta a generare, che per il suo piacere ha lacerato le carni di lei e del suo grembo ha fatto il nido del dolore.

Il maestro lo intese e si alzò.

– Sono i dolori del parto, – disse con semplicità. – Bisogna andare a cercare la levatrice. Alzati, Ornella, coricati sul mio letto.

La prese per il braccio e la costrinse ad alzarsi: ella si rianimò, sorretta da lui fece alcuni passi verso il lettuccio, poi cambiò idea, gli sfuggì di mano e risalì quasi carponi la scaletta del soppalco, come d'animale che si va a nascondere per sgravarsi.

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