Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Anime oneste
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ANIME ONESTE.

COMINCIA IL DRAMMA.

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COMINCIA IL DRAMMA.

 

Quella sera Anna era di pessimo umore: Gonario Rosa, tornato dalle famose caccie, aveva regalato a Caterina una magnifica rosa d'autunno. Era agli ultimi di ottobre.

Caterina non stava nella pelle dal piacere, e appena partito Gonario cominciò a dire che tutti le facevano la corte.

Anna si sentiva spezzare il cuore.

Nel dopo pranzo, seduta al sole sotto il pergolato che conservava ancora tutti i grappoli, mentre i pampini gialli cadevano melanconicamente, cercò di esaltarsi leggendo il salterio, come faceva non ostante le risate di Caterina.

Ma la lettura spirituale finì col rattristarla di più. Molti versetti la colpivano amaramente rappresentando in qualche modo lo stato dell'anima sua e la sua umiliazione.

«Povero son io ed in affanni sin dalla mia prima età; cresciuto poi, fui umiliato e depresso».

Caterina venne a sedersele accanto e la disturbò coi suoi scherzi. Anna non rispose; con amara fissazione lesse e rilesse il famoso versetto. Sì, veramente era adatto per lei!

La prese una intensa amarezza, le sembrò che anche Caterina sapesse il suo segreto e la deridesse.

Chiuse il sacro libro, rientrò e preparò il caffè, che usavasi pigliare due ore dopo la colazione. Quando lo portò a Paolo Velèna, egli le chiese se aveva piacere di scrivere.

E le diede da copiare due lettere.

— Io esco, a cavallo, — disse.

Poco dopo Anna rientrò e sedette davanti allo scrittojo, ma non aveva punto voglia di scrivere. Una grande stanchezza morbosa la invadeva tutta, e nella tristezza scoraggiante che ripiegava per un momento la sua fibra, ella desiderava di appoggiare la sua fronte su qualche cosa di morbido che le desse il riposo, il sonno, l'oblìo....

In quei momenti d'amarezza, causati dalla gelosia che Anna combatteva con tutto il suo carattere buono, ella ricordava nitidamente il suo villaggio, la nonna, la vecchia casa gialla, e desiderava ritornarvi, come era partita, piccola, bruttina, vestita di nero, ma serena anche tra le lagrime. Le pareva di esser ormai estranea nella casa dei Velèna, di non aver più parte nell'affetto, nella vita intima e materiale di quella famiglia, non sua. Poi si accusava di ingratitudine.

Chinò la fronte sul tavolino e chiuse gli occhi. Tuttavia le sembrò di tenerli spalancati, fissi in un vuoto immenso e tenebroso, che era la sua coscienza. Ancora una volta pensò angosciosamente: — ma io sono cattiva, e la mia malvagità è aumentata da ciò che io mi credo buona. Dio mio, Dio santissimo, datemi la fede, datemi la carità.... fate che io sia utile a chi mi ha beneficata.... —

L'uscio si aprì lentamente ed entrò Sebastiano. Anna ebbe appena il tempo di rialzar la testa e di pigliar la penna, ma arrossì per la paura di essere stata sorpresa.

Sebastiano non parve accorgersi di nulla. Era a testa nuda, con la giacca ed il gilè sbottonati sulla camicia di percalle bianco. Sedette davanti ad una piccola scrivania, sotto il casellario, e si mise a scrivere rapidamente.

Anna pure copiava. Come sempre, per parecchi minuti non si udì che il leggero fruscìo delle pennine sull'aspra carta commerciale.

Dai vetri nitidi il sole d'autunno illuminava dolcemente l'ufficio; una striscia d'oro arrivava sino al tavolo di Anna, fino alla sua mano sinistra, posata sul margine del foglio. Così, nel sole, la mano era bianchissima, e le unghie delicate parevano luminose.

Nel tiepido pomeriggio nessun rumore giungeva, dalla via, dalla casa; tanto che Sebastiano poteva crearsi l'illusione di credersi solo con Anna nella pace sconfinata di una casa di campagna.

Anna, rassicuratasi, finì la lettera e la rilesse.

Perchè piangevi quando sono entrato? — domandò Sebastiano, continuando a scrivere.

Sogni?... — fece Anna, ripiegandosi su stessa. Ricominciò a tremare, riafferrata da una strana paura, e il risolino che accompagnò la sua parola parve un singulto.

— Io non sogno, sei tu che sogni, o Anna, Anna!... — disse Sebastiano, scrivendo sempre. La sua voce era monotona, seria, e pareva che egli parlasse inconsciamente, col pensiero altrove.

— No, io non capisco.... — mormorò la fanciulla, piegando nervosamente il foglio; e siccome il cugino non parlava, ella disse quasi fra :

Piangevo?... ma guardate che idea! Mi hai veduto tu? Non so perchè dovrei piangere....

Sebastiano, a un tratto, cessò di scrivere e si rivolse tutto verso di lei.

Devo dirti poche parole. È da molto che dovevo parlarti, ma solo oggi mi sono assicurato....

— Di che cosa? — domandò Anna, preparando il secondo foglio.

— Dei grilli che hai per la testa....

Dio mio, cosa hai oggi, Sebastiano?

Cercò di ridere, ma avrebbe voluto fuggire, sprofondarsi, nascondersi. Chissà quale scena Sebastiano le preparava! Volle alzarsi ed uscire, ma non potè guardare in viso il cugino, anzi chinò la testa in maniera che i suoi capelli sfiorarono il foglio.

— Io non ho nulla, Anna, — disse Sebastiano, — ma voglio il tuo bene, solo il tuo bene voglio, Anna, perchè lo sai che io.... ti amo.... come, anzi più di una sorella.

— Non ti capisco, no.... — ripetè lei, fredda e dignitosa.

— Oh, tu mi comprendi più di quel che io desidero! — Egli si alzò e arrossì a sua volta perchè non trovava le parole adatte. Infine, cosa voleva egli dire alla cugina? Aveva nulla da rimproverarle?

La guardò e la vide impallidire sempre più. Perchè l'amareggiava così, invece di confortarla? Sentì tutto il dolore di Anna e si chiamò fra miserabile!

Poi pensò di essersi ingannato e ne provò una infinita tenerezza. Si pentì di aver parlato, ravvolse Anna in uno sguardo d'intenso amore, e il desiderio acuto di prenderle la testina fra le mani e dirle: perdonami! — lo fece avanzare di un passo. Tutto ciò in un baleno.

Ma gli sembrò sacrilegio toccarla; vide le mani di lei, entrambe nel sole, ora, e si confessò di non avergliele mai osservate. Oh, che belle mani da signora erano quelle! Ed egli, egli era un contadino! Sì, Gonario Rosa doveva riamarla! Gonario era un signore e doveva sposarsi con Anna.

Seguì il suo ragionamento interno e disse con amaro sorriso:

Dopo tutto, Annì, io sono uno sciocco, tu hai ragione. Se egli ti ama è un eccellente partito; ma ha egli, poi, buone intenzioni?

— Di chi parli, cosa ti hanno mai raccontato? — ella rispose. Scriveva, sempre col viso rasente al tavolino, sforzandosi alla calma, mentre sentiva la morte nel cuore.

Sebastiano si stizzì, passò all'altro lato dello scrittoio e la guardò in viso,

— Ti prego, non farmi l'indiana. Oramai è una cosa che tutti sanno....

— Cosa? Come? Chi te lo dice? Chi lo sa, chi, chi?... — gridò Anna.

Era il grido dell'anima sua umiliata; la sua voce morì in un singhiozzo, e la penna cadde, schizzando di nero il foglio. Sebastiano intese in quel grido tutta l'alterezza della passione di Anna, capì che non era corrisposta, e ne sentì una gioia cattiva, di cui subito si pentì.

— Lo vedi? Non neghi neppur tu....

— Ma chi, chi lo dice?

Ora Anna alzava fieramente la testa e col suo sguardo severo costringeva il cugino a chinar gli occhi.

— Non lo dice nessuno; l'ho indovinato, io. Credevo, Anna, e scusami se non è così, credevo che faceste all'amore in segreto. Senti, non adirarti, è per il tuo bene che parlo. E stavo per dirti: non nasconder nulla alla nostra famiglia, che è pure la tua....

— Ma senti, Sebastiano....

Lasciami dire, aspetta un momento. Volevo dunque dirti: — noi non abbiamo alcun diritto sopra di te e tu puoi fare quello che vuoi. Ma noi ti amiamo tutti, tutti, capisci, ed io forse, più degli altri.... ti amiamo e vogliamo il tuo bene. Se egli veramente ha buone intenzioni deve spiegarsi, deve dire....

— Ma non è vero nulla, non è vero nulla!...

— Ci deve essere qualche cosa, ci deve esser stato per lo meno qualche cosa, Anna, non negarmelo, aspetta....

Andò verso l'uscio, aprì, si assicurò che nessuno poteva udir nulla e ritornò presso la cugina.

In quei pochi istanti un pensiero generoso era balenato ad Anna. Confidare a Sebastiano tutta l'anima sua, tutto il peso della sua passione che alle volte voleva schiacciarla, appunto perchè compressa da un segreto che a lei, anima aperta e trasparente, pareva quasi colpevole. Dacchè l'anima di Caterina le sfuggiva, ella si sentiva sola e più che mai bisognosa di un appoggio, di un'amicizia confortante e buona. Perchè Sebastiano non poteva essere il suo amico, il fratello suo?

Ella si figurava, non avendo avuto mai fratelli, che un fratello potesse esser l'amico a cui confidare i segreti del cuore; e quando Sebastiano si riavvicinò, ella a sua volta, ebbe il desiderio di nascondergli il viso sul petto, e mormorargli: — Io mi smarrisco.... aiutami a dimenticare.... allontanami di qui! —

Dimmi tutto, Anna, sii sincera, io non ti farò alcun male.... forse anzi potrò aiutarti. Ma sii franca. Dunque?...

— Dunque, non c'è nulla, non c'è stato mai nulla, te lo giuro....

Ssss.... non c'è bisogno di giurare. Ti credo lo stesso: però non dirmi che non c'è stato nulla. E allora?...

— Non lo so, non so nulla neppur io, non so come è stato.... Sebastiano....

Sebastiano ebbe un vago rimorso: una voce misteriosa tornò a ripetergli: — Miserabile! — e gli domandò che cosa cercava, che cosa voleva da Anna, la più pura tra le fanciulle. Aveva egli il diritto di sapere i suoi segreti, di ricevere alcuna soddisfazione? Che giudice egli poteva essere, e che scopo era il suo?

Ma la gelosia lo spronava. Voleva, voleva sapere, voleva soffrire, voleva assicurarsi che si era illuso, che aveva fatto tanti sogni vani, e che non doveva sperare. Il dolore di Anna lo lasciò freddo; il dolore per medesimo; ma il pensiero della causa di quel dolore gli diede un'acuta angoscia. In quel momento sentì di odiare Gonario Rosa. Intanto Anna parlava; ed egli, che pur avrebbe voluto accoglierla entro il suo cuore, continuò a guardarla come un giudice, coi pugni stretti, freddo, con gli occhi severi, senza alcuna espressione di pietà o di conforto.

Anna gli confidò ogni cosa, dal principio alla fine; il modo con cui Gonario l'aveva fatta innamorare, facendole una corte equivoca, — le sue arti sottili, i suoi modi, e poi la dimenticanza completa. Ma non gli disse, gli fece capire la gelosia che ella nutriva per Caterina. A che? Prima di tutto ella non era certa; e forse Gonario non si sarebbe comportato diversamente che con lei, — e poi non voleva suscitare altri rancori in Sebastiano.

Del resto Sebastiano pareva non commuoversi molto; solo una volta mormorò:

Vigliacco!

Anna scusò Gonario e disse che tutta la colpa era sua.

— Ma che colpa, poverina!...

Ora tutto è finito! — ella disse con un sospiro e sorridendo divinamente.

In realtà, ora che si era alleggerita del suo segreto, le sembrava che davvero tutto fosse finito, che le sue angosce se ne fossero andate via con le sue parole.

Ma il peso del suo passato dolore era ricaduto sopra Sebastiano; tuttavia egli rispose come un'eco:

— Sì, è finito!...

Per un momento restarono in silenzio, imbarazzati; ma la fanciulla ad un tratto alzò i limpidissimi occhi bruni verso il cugino e lo guardò supplichevolmente. Egli comprese.

— Sta tranquilla, — disse; — ti giuro sul mio onore che nessuno saprà mai nulla da me....

— E non lo sa nessuno, ancora?

— Nessuno, credo io.

— Ma allora perchè hai detto ch'era una cosa saputa da tutti?

Sebastiano si turbò un poco. Ancora una volta fu tentato di dirle che era geloso, che soltanto la gelosia l'aveva spinto a parlare, ma non potè. Davanti alla docilità quasi ingenua di Anna, si sentiva vinto, piegato, e aveva pietà di quella stessa dolcezza che permetteva alla ragazza di fargli una confessione tanto dolorosa e umiliante.

— Chi dunque te l'aveva detto? — ripetè Anna con ostinazione.

— Nessuno me l'aveva detto. Ma io l'avevo capito da molto tempo. Persino le maniere di lui lasciavano capire qualche cosa....

— Cosa lasciavano capire?...

— Ah, Annicca, — fece Sebastiano, — tu arrossisci? Vedi, vedi, come ti sei fatta rossa! L'ami ancora, dimmi, l'ami ancora, non è vero?

— Non lo so. Mi pare di no....

— Ti pare, ma non è! Tu l'ami ancora dopo tutto! È ben triste....

— No, non è vero, non è vero! — esclamò Anna chinando la testa con angoscia.

Sebastiano le fu vicino e, timidamente, le accarezzò i capelli dicendo:

Anna, Anna, tu sei una bambina ed io vorrei aiutarti. Dimmi dunque ciò che io posso fare per te, Anna cara cara. Vuoi che gli parli, vuoi? No? Vuoi che ti vendichi? Posso bastonarlo in pubblica via, sai, perchè è un vigliacco, sì, sì, un vigliacco....

— Non alzare la voce, Sebastiano!... — ella mormorò spaurita. — Non voglio nulla. Che diritto hai tu di insultarlo, del resto?

— Ah, vedi, vedi? — egli ripetè amaramente. — L'ami sempre, ancora? Ebbene, giacchè vuoi così, non l'insulterò, anzi! Ma qualche cosa bisogna fare per te. Parla dunque. Vuoi allontanarti di qui, vuoi andare da Angela? — Gli occhi di Anna scintillarono a questa proposta, ma siccome egli proseguiva: — ne parlerò al babbo.... stasera stessa, se vuoi, — ella scosse la testa e balzò in piedi.

— Non voglio nulla, — disse quasi indispettita. — Perchè pigli le cose tanto alla tragica? Vedi, mi pento di aver parlato. Lasciami tranquilla.

— Eppure ti dico che andrai da Angela.

— Se vorrò andarci, Sebastiano!... Non mi costringerai, certo, e tanto meno parlerai di me a tuo padre....

— Non dirò nulla a nessuno, se tu non vuoi, ti ho dato la mia parola d'onore, e la manterrò.... benchè non sia un signore.... — rispose egli con sarcasmo, allontanandosi.

Anna si mise a scrivere; la mano le tremava e il volto infiammato, gli occhi inquieti, brillanti, i denti in sussulto, tradivano il suo turbamento. Eppure, mentre Sebastiano stava per uscire, gli disse tranquillamente, come se nulla fosse avvenuto:

Andrai tu alla posta? Altrimenti chiamami Giovannangela.

Andrò io, — rispose Sebastiano. Anch'egli pareva tranquillo, eppure giammai aveva provato un'agitazione così nervosa, sorda, straziante. Il sangue gli affluiva alle tempie, tutto il suo sangue giovanile e sano, ed egli sentiva un'angoscia mortale.

Quando Anna terminò l'altra lettera, uscì in cerca di lui.

— È nella sua camera, — disse Caterina che stava con Nennele sul pianerottolo della scala. — Perchè lo vuoi?

Perchè vada alla posta. Cosa state facendo qui?

— Una cosa, — disse Nennele con aria di mistero. Nennele allora contava poco più di sette anni; era un frugolino piccolino piccolino che in casa conservava tuttora il grembiale; ma astuto già e avventuroso. Era il re di Tele'e gardu, ora, e faceva metodicamente dieci o dodici capitomboli al giorno scavalcando il muro.

Era molto democratico, del resto; giocava con tutti i bimbi del vicinato e si insudiciava tre o quattro volte al giorno. Le sue scarpette erano sempre rotte e Antonino, che ora portava colletto e polsini lucidi e arrossiva davanti alle ragazze belle, forse già innamorato di qualcuna, lo picchiava spesso col pretesto di educarlo e correggerlo.

Ma Caterina era sempre pronta a proteggere il piccino. E siccome Antonino si rendeva di giorno in giorno più serio e studioso, la bella Caterina, nelle ore di fanciullaggine, si divertiva con Nennele.

 

*

 

Anna proseguiva a salire la scala, ma arrivata all'ultimo gradino si fermò dietro una specie di colonna, curiosa di vedere ciò che Caterina e Nennele facevano. Caterina era ben vestita, pettinata alla moda e con un magnifico nastro rosa al collo.

Sicuri che Anna non li vedeva più, Nennele e la sorella ripresero il gioco ch'era quello del tre, una specie di partita alla dama, che si fa però con tre sole pedine, improvvisate con pezzetti di sughero.

Lo scacchiere, Nennele l'aveva disegnato col carbone, su un gradino della scala. Anna si divertì a guardarli un poco, senza esser veduta; sulle prime giocarono flemmaticamente, ma poi, come sempre accade in questo mondo, cominciarono ad alzare la voce; e Caterina, con la ragione del forte, pretendeva di vincere sempre lei. Benchè proteggesse Nennele ad ogni occasione, quando stavano soli l'angariava in tutti i modi; anch'essa voleva educarlo a modo suo e gli diceva:

Devi star sempre zitto e dir sì, sempre ai grandi, capisci?

Ma Nennele non la capiva così.

Anna scoppiò a ridere, dietro la colonna, e gridò:

— Ah, è per questo, Caterina, che ti sei vestita così elegantemente?

Ma Caterina, infervorata, non le badò. Dava degli avvertimenti a Nennele, ma egli stizzito, ripeteva, per farla stizzire a sua volta, tutte le sue parole.

— Sei uno stupido, carino mio. Ecco, questa è mia. Uno, due e tre, ho vinto!

— Sei uno stupido, — ripetè Nennele, — carino mio, ecco questa è mia. Uno, due e tre.... ho vinto!

Gioca bene, altrimenti....

Gioca bene, altrimenti....

— Ma non vuoi finirla? Nennele!...

— Ma non vuoi finirla?... Nennele! — strillava sempre più forte il piccino.

Dall'alto della scalinata Anna rideva, dimenticando ogni altra cura, interessandosi al gioco e beffandosi dei cugini.

Va per i fatti tuoi, — le disse Caterina, e Nennele ripetè:

Va per i fatti tuoi!

Credi tu che Sebastiano dorma? — chiese Anna. — È proprio lassù?...

Ma Caterina non rispose. Non disse più nulla, per non dar più sfogo alla bizza di Nennele. Il quale però, all'improvviso, afferrò le pedine, salì gli scalini e dall'alto glieli gettò sulla testa.

Ella lo rincorse, ma egli si afferrò alle vesti di Anna, che a mala pena riuscì a rappacificarli.

Aspettami, — disse a Caterina. — Quando ritorno giochiamo insieme una partita.

— Sì, ti aspetto, va.

La fanciulla allora salì il resto delle scale; e davanti alla porta di Sebastiano fu riafferrata dall'angoscia che la piccola scena tra il cuginetto e Caterina le aveva quasi fatto dimenticare.

Più che altro ella saliva da Sebastiano per dimostrargli, con una falsa calma, la sua noncuranza; per dirgli con gli occhi: — Vedi, non alcuna importanza al discorso di poco fa; l'ho quasi, l'ho anzi dimenticato.

La freddezza con cui Sebastiano l'aveva lasciata l'umiliava, e come egli era mortalmente scontento di perchè il colloquio aveva preso una piega diversa da quella desiderata, così Anna si pentiva di essersi confidata con lui. Pensava: — Non mi ha capito; ha capito tutto a rovescio. Bisogna ch'egli veda come io sono calma.

Aprì l'uscio e disse: — Sebastiano, sei qui? Caterina mi ha detto ch'eri qui. Le lettere sono preparate; andrai dunque tu ad impostarle?

Ma la sua calma sfumò, quando vide che Sebastiano era mortalmente pallido e che aveva gli occhi cerchiati di rosso.

Andrò subito, — egli rispose guardandola in modo strano, quasi per dirle: — guarda cosa hai fatto di me!

Anna scese lentamente le scale, col viso spaurito, gridando fra :

— Cosa ho fatto io.... cosa ho fatto io!

Caterina l'attendeva sul gradino della scala. Anna si sedette come stanca, con gli occhi spalancati.

Giochi dunque? — domandò Caterina porgendole le sue tre pedine, senza accorgersi che un grave dolore pungeva il cuore della cugina.

— Sta bene! — esclamò Anna quasi parlando fra . Ma appena cominciata la partita si animò.

Pensò:

— Se vince Caterina vuol dire di sì, se vinco io vuol dire di no.

Vinse Caterina, non ostante tutti gli sforzi e l'abilità di Anna, ed ella ebbe un rapido sorriso.

Il fato, consultato per mezzo della partita, confermava il suo dubbio recentissimo: Sebastiano era innamorato di lei!

 


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