Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Il nostro padrone
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Parte prima

III

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III

– Che risposta? – domandò Antoni Maria al suo ospite appena furono soli.

– Te lo dirò poi. Adesso, raccontami

– Non fidarti del forestiere!… – ammonì Antoni Maria. – Che cosa gli hai raccontato? Quella è gente che non sa tenere segreti; e tu lo sai.

– Io non ho segreti.

– Gli hai detto che te l’ho scritto io, di venire? Que-sto era un segreto.

– E questo appunto gliel’ho nascosto!

Coraggio, allora! Coraggio, Gerusalemme! Qui si tratta di far fortuna.

Ma il Dejana fece un segno di addio con la mano.

Fortuna? Chi l’ha vista l’ha vista!

Antoni Maria gli si accostò di più, tirandosi fra le gambe lo sgabello su cui stava seduto.

Ascoltami! Per tre anni siamo vissuti come fratelli, e come a fratello ti parlo. Tu dicevi che, appena libero, saresti andato a Gerusalemme; poi dicevi che volevi farti frate, che volevi morire prima di ricadere in peccato mortale. Io ti dicevo: aspetta, diavolo, c’è tempo per disperarsi. Ti dicevo sì o no, così? Ora, ecco di che si tratta: Mossiù Perrò vuole dar marito alla sua serva.

– A Marielène?

– A Marielène.

Il Dejana ascoltava attentamente, ma i suoi occhi e il suo viso esprimevano più diffidenza che curiosità; e Antoni Maria se ne accorgeva e parlava fra l’irritato e il sarcastico.

– Tu credevi che io ti chiamassi per aiutarmi in qualche mala impresa? Rassicurati, Gerusalè! Se tu andrai all’inferno, come temi, non sarà per colpa mia. Dicevo dunque: Mossiù Perrò vuol dar marito alla sua serva. Il perché preciso io non lo so; forse è stanco di lei, forse ha intenzione di tornarsene in Continente e non vuol tirarsela addietro. Tu fingi di non capire? Allora griderò e mi spiegherò meglio. Ohè, uomo, sei tu che devi sposare Marielène Azzèna. correranno soldi.

Predu Maria arrossì, e dopo un momento di silenzio disse con disprezzo:

Antoni Maria ! Perché ti è venuta in mente l'idea che io voglia vendermi?

– Tu parli come uno scemo che sei! Scusami allora, scusami! Sai cosa devi fare? Devi impiccarti.

– E perché no? – rispose Predu Maria a bassa voce; e guardò il soffitto, come cercando la trave alla quale appiccarsi davvero.

Allora l’altro ricordò che una volta, in carcere, il Dejana aveva tentato di strangolarsi, e diventò serio, quasi triste.

Ascoltami, Predu, ragioniamo. Quando eravamo tu mi raccontavi che prima della tua disgrazia avevi conosciuto Marielène ed eri stato più che suo fidanzato. È vero sì o no, questo?

– È vero.

Ricordati bene! Tu mi raccontavi che la tua intenzione, da fanciullo, era di farti prete; ma a diciotto anni dovesti interrompere gli studi per restare in casa a proteggere tua madre contro i maltrattamenti del tuo patrigno… Di fronte a casa tua c’era una locanda: la servetta era Marielène

Basta, basta! A chi racconti questa storia? Io la so più di te!

Aspetta, cristiano! Tu non ricordi tutto! Tu dicevi, quando eravamo : se torno al mondo sposo la ragazza.

– Se ella si fosse conservata una buona ragazza! Ma io non voglio l’avanzo di un francese, e neppure d’un italiano!

Stupido! Sai cosa devo dirti? Che ci sarebbero dei nobili, degli avvocati, pronti ad accettare l’affare!

Senti un po’, tu! Perché allora non te la sposi tu?

– Lo vuoi sapere il perché? Sì? perché essa non mi vuole! Ella ha rifiutato persone più degne di me. Ella certo si ricorda di te, mammalucco!

Ma questa notizia, più che rallegrare parve mortificare il Dejana.

L’altro proseguì:

Predu, non è disonorevole sposare una donna che ha vissuto con un altro uomo. Che noi uomini forse sposiamo la prima donna che tocchiamo? Disonore è lasciarsi tradire durante il matrimonio; allora sì, l’uomo passa per un imbecille, ed è questo il suo disonore. Ma credimi pure, fratello mio, l’uomo non sarà mai tradito, se non vorrà esserlo. Del resto tu dovresti sposarla per obbligo di coscienza, perché sei stato tu il primo a metterla nella mala via. Ricordati! Dicevi che ne provavi rimorso; dicevi che Dio ti aveva castigato forse per questo tuo peccato.

Il Dejana arrossì di nuovo, ma d’una fiamma cupa, e i suoi occhi si riempirono di lagrime; si batté le mani sulle ginocchia e disse:

– Non tormentarmi! non ricordarmi quei tempi! La colpa è stata tutta del mostro! Se io non andavo in reclusione per colpa sua sposavo la ragazza, sebbene essa fosse già una creatura leggera, altrimenti non avrebbe badato a me! Perché, poi, essa non ha atteso il mio ritorno? Perché s’è data a correre il mondo? Ora non posso più!

– Ad ogni modo io ti ho avvertito, e adesso tu fa quello che tu credi; un uomo come te non deve aver scrupoli.

– Io sono un galantuomo!

– Ed io sono un ladro, forse? – gridò Antoni Maria, offeso. – Forse ti consiglio di rubare? Di deporre il falso? Gerusalè, – aggiunse, abbassando la voce e riprendendo il suo accento di filosofo ironico, – sai cosa devo dirti? Che noi siamo quasi sempre disgraziati perché non sappiamo afferrar la fortuna quando ci si presenta.

– Quello che tu mi proponi non è una fortuna; anzi per me, sarebbe un castigo.

– E prendilo come castigo, allora! Non volevi andare a Gerusalemme? Non volevi ammazzarti? Ebbene, sposa Maria Elène! I soldi della sua dote li darai a me. Ah, no? Vuoi anche i soldi, perché il castigo sia più duro? Sì, vero? I soldi a te, magari, e le corna a me?…

Il Dejana si mise a ridere, ma subito cercò di cambiar discorso.

– Non mi hai dato ancora tue notiziedisse, guardandosi attorno. – Che fai, adesso? Mi hai scritto che i tuoi affari andavano bene.

Antoni Maria cominciò a raccontare ciò che gli era accaduto dopo il suo ritorno da “quel luogo”. La sua nonna era una donna del popolo, ma assai benestante, ed essendole morti i figliuoli teneva presso di sé alcuni nepoti, ed anche Antoni Maria era vissuto con lei sino al giorno della sua disgrazia, cioè del suo arresto. Al ritorno dalla casa di pena egli era andato nuovamente a star con lei, ma dopo otto giorni le sue cugine, oramai giovanette energiche come e più della nonna, lo avevano cacciato via. Egli faceva le fiche e sputava, parlando di queste sue cugine; ma si guardò bene dal raccontare a Predu Maria ciò che egli aveva fatto durante quei primi otto giorni dopo il suo ritorno.

– Allora jaja mi ha regalato questo palazzo! – disse beffandosi della sua casetta. – Per evitare questioni e perché la gente non mormori, ha permesso a quelle diavole di cacciarmi via; essa però mi vuol bene e pensa a me.

Beato te, che hai un appoggio! Io sono solo come un cane randagio. Del resto i miei parenti son poveri; che potrebbero fare per me?

– Ma che cosa credi, Gerusalemme? Che io viva alle spalle di una vecchia? Io lavoro, giorno e nottedisse fieramente Antonio Maria.

– Anche di notte?

– Tu ti burli di me? Tu credi che io non lavori? Di notte, sì, ti dico, e non andando a rubare, intendiamoci!

Egli prese in mano la bottiglia dell’acquavite e la scosse; allora il Dejana capì.

– Tu fabbrichi l’alcool di nascosto? Guadagni molto?

– Eh, non c’è male. Guadagnerei di più se non avessi tanti amici che vengono qui a bere come ad un pozzo!

– Gli amici! – disse il Dejana, pensieroso. – Tu hai degli amici?

– E tu non ne hai? Io chi sono? Un tuo nemico?

Nonostante questa protesta, Predu Maria non si rasserenò.

– Perché al capo-macchia dicesti che la tua nonna non venderà mai la sua tanca allo speculatore?

– Perché jaja è caparbia, e le sembra vergognoso vendere una sola piccola unghia di terra. Ella possiede un bosco proprio in mezzo a quelli del Perrò, sul monte Orthobene. Egli vuol comprarlo a peso d’oro; perché gli è necessario per il passaggio; ma essa piange quando le propongono quest’affare magnifico.

– Ma se lo speculatore vuole ancora comprare altri boschi e altre tanche vuol dire che non ha intenzione di andarsene!

Pensavi a questo? – disse Antonio Maria, e si rimise a ridere, e riprese a parlare del suo progetto, mentre il suo ospite corrugava le sopracciglia come faceva ogni volta che idee o ricordi tristi gli passavano in mente.

– Io so da fonte sicura che il Perrò vuole a tutti i costi sbarazzarsi di Marielène, e se tu fai presto a presentarti sarai certo il preferito. Che egli se ne voglia andare da Nuoro non son certo; in tutti i modi so che non la vuol lasciare senza appoggio

– E allora le fabbrichi un muro, al quale ella possa appoggiarsi!

In quel momento una voce lenta e velata chiamò Antonio Maria dal cortiletto, e mentre egli balzava in piedi e diceva: «provvidenza!» una ragazza scalza, di piccola statura, ma ben fatta e quasi procace, vestita in costume e col viso a metà nascosto da un fazzoletto nero, apparve sull’uscio. Vedendo un estraneo si fermò, non stupita, ma come in attesa d’un ordine per avanzarsi, e si levò dal capo e tenne fra le mani un cestino d’asfodelo coperto da una salvietta.

– Ho un ospite, Predichedda5, lo vedi? – le disse Antonio Maria.

Ella lo aveva già veduto e le era bastato il primo sguardo per capire di che “razza” egli fosse: e il suo piccolo viso mobilissimo, olivastro e sarcastico, dal naso triangolare, e la sua bocca stretta e gli occhi verdognoli scintillanti come due pezzetti di cristallo, esprimevano nel medesimo tempo rispetto, curiosità, insolenza e pietà verso l’ospite.

– L’hai veduto, adesso? – riprese Antonio Maria, mentre ella, agile e rapida, coi lembi del fazzoletto ripiegati sulla sommità del capo, cominciava a rifare il letto ed a pulire la camera. – Bisogna che tu lo dica alla nonna. Le dirai: Antoni Maria ha un ospite, un bell’uomo, che fa onore a chi l’ospita.

– Ho capito.

– E allora sbrigati: devi subito andare dalla maestra Saju e pregarla di venire qui.

– Intanto potete mangiare quello che c’è – ella disse. – Un ospite non è poi un lupo!

– Hai una serva spiritosa! – disse il Dejana, mentre Antonio Maria estraeva dal cestino la colazione che ogni mattina la nonna gli mandava.

Serva mia? No, è mia nipote, e conosce anche il sapore del mio bastone.

– Io sono una parente povera e sono serva di tutti! Però, convenitene, zio mio, senza di me voi morreste di fame e di sete!

Parla piano, ragazza! Sai che con uno zio come me non si scherza!

– Ah, è vero! perciò tutti hanno paura di voi: persino i gatti!

Continuarono a ingiuriarsi, e pareva scherzassero, pronto però lo zio a prendere il bastone se la nipote eccedeva. Ma Predichedda parlava con calma, con lentezza, quasi per misurare le sue parole, o renderle mordenti, ma non troppo; e quando ella se ne fu andata, Antonio Maria cominciò a lodarne la prudenza, la devozione, la fermezza di carattere, la generosità.

– Se tu le dici: Predichedda, aiutami, ella si butta sul fuoco per te. Adesso, certo, corre dalla maestra Saju.

Mentre l’aspettavano, parlarono di questa maestra, chiamata così non perché fosse patentata, ma perché si dava aria di donna colta.

– Per non sposare un contadino, essa sposò un forestiere, un capo-macchia come il tuo amico. Egli era venuto assieme col Perrò, e morì al suo servizio, in seguito alla caduta da un albero. Ora questa vedova ha una figlia, una bellissima ragazzina che sta appunto al servizio dello speculatore ed è amica di mia nipote.

Predu Maria pensò: «ecco la fonte delle notizie riguardanti Marielène»; ma non espresse il suo pensiero per non ripigliare il discorso che gli dispiaceva.

La maestra non tardò ad arrivare, ed egli trovò che ella aveva davvero un aspetto di donna non comune; alta, colossale, col viso grande e pallido dal profilo aquilino e le labbra e il mento sporgenti, sembrava un imperatore romano travestito da vedova nuorese.

– Dunque, che abbiamo di nuovo? – ella domandò con voce dolce e affettata. – Ti sei storto il piede, Antonio Maria? Bada che un giorno o l’altro ti romperai anche il collo.

– Voi me lo riattaccherete – egli disse, galante e beffardo. – È questo bravo ragazzo che ha bisogno di voi.

Ella rialzò sui polsi grassi e bianchi i polsini ricamati della camicia, e da buona medichessa si lavò le mani e si spazzolò le unghie; indi pregò il Dejana di stendersi sul lettuccio, ed a lungo, silenziosa e impassibile, gli esaminò e palpò il piede slogato; poi volle un po’ d’olio tiepido e una fascia, e per qualche minuto praticò una specie di massaggio intorno all’osso spostato. All’improvviso sollevò le dita unte d’olio, respinse ancora i polsini della camicia e afferrato il collo del piede malato lo tirò come volesse allungarlo.

Predu Maria diede un grido di dolore, e gli parve che ella gli avesse staccato il piede dal malleolo.

– Stia fermo, – ella disse con calma, – perché grida così? E poi dite di esser uomini! Voi non siete forti che davanti al piacere.

Ma questa sentenza non convinse il paziente, che continuò a smaniare finché la donna non gli ebbe fasciato il piede e non se ne fu andata.

– Ne avrà per molti giorni? – domandò Antonio Maria, accompagnando la medichessa fino alla strada.

– Se non sta in riposo, sì.

– Allora tornate spesso, e fateci anche un po' di compagnia. O mandateci la vostra piccola Sebastiana.

Avanzo di forca, Sebastiana non è pane per i tuoi denti – ella gli disse guardandolo negli occhi. – Chi è quel disgraziato?

Disgraziato? Quello, se vince una lite che ha coi suoi parenti, sarà un riccone!





5 Piccola pernice.



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