Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Stella d'Oriente
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Parte prima

I

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Parte prima

I

Passarono otto anni durante i quali non avvenne nulla di straordinario. Donna Anna sorrideva sempre, ancora bella della sua bellezza dolcissima, di bionda non ostante la prima apparizione dell’inesorabile zampa di gallina agli angoli degli occhi, - mentre i capelli di don Francesco s’inargentavano maestosamente e sulla sua fronte si disegnava qualche ruga. Oh, il tempo! - Ma che importava loro d’invecchiare, se vedevano i figli crescere fiorenti di gioventù e bellezza?

Maurizio, presa la laurea aveva costretto don Francesco a cedergli tutte le divergenze le cui cause erano in mano di altri avvocati.

Il marchese sulle prime salì su tutte le furie. Suo figlio, un marchese, l’ultimo rampollo di Wilfrido d’Oriente che, come amico del famoso Giovanni sire di Joinville l’aveva seguito nella settima Crociata ove San Luigi di Francia l’aveva creato marchese di Santo Stefano dopo la presa di Damietta e la sconfitta dei Beni-Kenone, contro cui aveva combattuto da leone (15 maggio 1249), suo figlio, milionario, lavorare? Oh, come si pentiva d’avergli lasciato pigliare quella maledetta laurea!

E Maurizio rideva. Nelle sue vene egli non sentiva scorrere quel sangue bleu che si rivolta al minimo pensiero contrario alla dissipazione, al lusso, allo splendore; - sembravagli malissimo spesa la vita senza meta, senza occupazione, e voleva lavorare.

Persino la marchesa, dopo tanto tempo scordatasi essere figlia di un negoziante, tremava che Maurizio, con la sua strana vita silenziosa, studiosa, sfigurasse sconvenientemente nell’alta società ove era atteso, forse un po’ ansiosamente da più di una fanciulla aristocratica… - Finalmente cedettero: l’amavano tanto!

Un anno dopo Don Francesco si accorse che le sue rendite erano quasi duplicate! - Ma non solo avvocato, Maurizio era anche pittore, un vero artista nell’anima, come suol dirsi, che appunto perché non bisognando dell’arte per vivere, eseguiva quadri bellissimi e molti. Invero, frequentava più il simpatico ed elegante gabinetto d’artista, che l’ampio studio d’avvocato, sempre gelido e sconsolato nonostante il ricco addobbamento dei mobili e le preziose vetrine piene di volumi giuridici.

E Stella? - Appena di ritorno a Napoli l’avevano messa in collegio, ma due giorni dopo fu riportata ai d’Oriente la strana notizia della sua sparizione: scalato il muro del giardino, Stella non si era più lasciata vedere! Dove trovavasi? Nessuno lo sapeva: ma, Maurizio ritornò in Basilicata e ritrovò la bambina nella sua capanna, coi capelli nuovamente arruffati, i piedi nudi e l’abito lacerato. Pescava!

Maurizio, figuratevi, la sgridò ben bene, ma intanto una bizzarra idea, gli passava nella mente: rimanere anch’ei , fra l’acqua d’argento, il cielo di zeffiro e i cespugli di smeraldo, menando la vita di Stella, che gli disse, dandogli come sempre del tu:

– Ma senti, mi hai rinchiuso in prigione ed io mi sentivo morire. Allora fuggii e ritornai qui perché temevo che voi altri, sgridandomi, mi rimettereste in prigione...

Maurizio rise e la baciò, ma ci volle del bello per persuaderla a ritornare da loro. - Cenarono nella capanna: una magnifica cena luculliana composta tutta, di pesce pescato e cucinato da Stella aiutata dal marchesino, al quale, dopo cena saltò il desiderio di fare una passeggiata notturna sull’Agri. Diventava bambino, il fantastico e giovine signore, bambino come Stella, la misteriosa creaturina che egli amava pazzamente, più che sorella. Montarono in barca, nella vecchia barca da pesca ove Stella aveva salvato donna Anna e il marchese, la sola eredità lasciatale da sua madre, e presero il largo. La notte era bella: una splendida notte di autunno dal cielo azzurrissimo inargentato dal plenilunio. Maurizio pregò Stella di raccontargli la sua storia e siccome la piccina, non compresolo bene, cominciò a narrare una fiaba.

C’era una volta un re il quale… – ne rise tanto e si spiegò.

Stella, spalancò gli occhi. Ma che storia?… Ella non si ricordava di suo padre perché morto quando era piccina piccina: sua madre si chiamava MariaMaria... non rammentavasi bene il cognome! giovine, buona, pallida pallida, cara cara… .. Al ricordo di sua madre Stella diventò triste e commossa: la sua vocina tremava e dopo qualche istante fu coperta dai singhiozzi.

Maurizio sussultò, si accostò vieppiù a lei che remava e cercò di consolarla. Stella allora si prese a parlare.

Si ricordava d’aver abitato con la madre in Anglona presso il vecchio avolo cieco. Un giorno l’avolo morì: Stella aveva cinque o sei anni; allora andarono a stabilirsi nella capanna in riva al fiume e cominciarono a pescare… Due o tre anni dopo anche la mamma le era morta.

– Ecco tutto! – conchiuse Stella; ma al giovine sembra che gli celasse qualche cosa sicché domandò:

– E poi? E poi?

– E poi!… Poi seguitai a viver sola pescando, sino al giorno in cui fui raccolta da voi!

Maurizio chinò la testa sul petto. Stella credette averlo rattristato e si mise a cantare una poesia in dialetto, bellissima cantata così con la sua voce di bambina, sottile, argentina flebilmente vibrata nell’olezzante e azzurro silenzio della campagna dormente fra i veli del plenilunio.

Maurizio rialzò vivamente la testa. Guardò i paesaggi rischiarati dalla luna, i profili delle lontane montagne az zurre sullo sfondo d’argento del cielo, le linee dei massi, degli alberi, dei cespugli, delle rive, linee che assumeva no fantastiche figure di

Taciti avanzi di perdute istorie...

guardò la graziosa testolina di Stella dai capelli in colore di ambra fulgida, guardò lo scintillio di oro dei meandri del fiume sfumanti intorno ai remi, e i suoi occhi, i suoi occhi d’artista che coglie un lampo di luce, una sfumatura da riprodurre nelle sue tele, scintillarono d’oro quasi riflettendo lo splendore dell’acque, o lampeggiando ad un istantaneo impulso di gioia, come spesso ne sentiamo tutti, anche i meno artisti, davanti ad un’immagine bella, o fantastica o reale che ci fa obliare per un momento il triste presente per darci una speranza nell’avvenire. Maurizio si pose una mano sul cuore e mormorò lentamente: – Oh, se un giorno amerò, con l’amore immenso di artista e di uomo che non ha mai amato, il mio amore, lo sento, sarà per te… – E la mano bianca, aristocratica, morbida come quella di sua madre, sfiorò tremando i capelli di Stella.


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