Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Stella d'Oriente
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Parte prima

IV

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IV

Ecco come era avvenuto. - Maurizio, come la prima volta, aveva finito col disperarsi, e siccome Ninnia non veniva più a lui per consolarlo, lui andò da Ninnia, le raccontò tutto, e conchiuse:

– Vorrei parlarle a ogni costo! Non so null’altro fuor che ho la febbre perché, sicuro di non averla offesa, un terribile dubbio mi tormenta. Che Stella ami altri… Oh, ne morirò… ne morirò!…

Ninnia sorrise, pensò alquanto, poi rispose:

Giovani! Giovani!… Stanotte parlerai con Stella.

Maurizio la baciò in fronte mormorando: Grazie, mamma!… e gli sembrò che il sorriso sparisse dal viso della vecchia nutrice che chinò tristamente il capo. Se ne andò ed attese ansiosamente la notte.

Verso le undici di sera, Stella, dicendo di sentirsi male, si ritirò nel suo appartamentino di tre stanze, la camera da letto, piccola, civettuola di raso bianco e bleu, lo spogliatojo a grandi specchi dalle cornici di metallo cesellato e le vasche di marino giallo, - e il salotto da lavoro e studio.

Era una stanzina ovale, tappezzata di una ricchissima stoffa di paglia a fiorami ricamati in rilievo di seta e ciniglia a colori naturali, - dai mobili eleganti alla Luigi XVI, coperti a velluto verde oscuro, come i cortinaggi e le portiere, con nappe di seta: il soffitto lucidissimo, color d’oro a filetti verdi, e il suolo ricoperto da un leggero tappeto orientale. E dappertutto tavolini, stipi, canestri da lavoro, panneggiati, ricamati da Stella. S’indovinava in tutto le sue mani, dal panneggiamento che copriva graziosamente il piano-forte, alle tendine fatte a crochet, di un elegante stipo-biblioteca che occupava l’intermezzo di due finestre, dal coprilampada di pizzo e nastro, graziosissimo, al porta giornali di peluzzo, in forma di cappello da generale: tutto gentile profumato, perfettamente in ordine.

Le amiche di Stella dicevano che essa aveva le mani di fata, perché, in realtà, tutto ciò che facevano riusciva bello, meraviglioso. Nel salottino vi era anche il suo ritratto, in grandezza naturale, dipinto da Maurizio. Stella vestiva alla Romana, il braccio sinistro nudo e ai piedi i sandali ricamati. Si rassomigliava assai, ma quella veste le dava un’aria severa di donna e non di fanciulla.

Una volta Stella, dopo aver guardato a lungo il ritratto s’era messa a piangere. Maurizio aveva strabiliato.

– Ebbene, che c’è ora?… – esclamò.

– M’hai dato l’aspetto di una donna di trenta anni e m’hai fatto i capelli quasi bruni, Maurizio! – rispose Stella.

– E perciò bisogna piangere?… Cambierò l’aspetto, e il colore dei capelli!

– No! No! Questo ritratto è perfettamente simile a mia madre, la cui figura mi sta sempre scolpita qui, nella mente! Ecco perché ho pianto.

– Oh, madre mia!… – esclamò Stella lasciando il ritratto che portò nel suo salotto!

Lo baciava ogni notte prima di coricarsi e ciò per due ragioni: primo perché lo considerava come il ritratto di sua madre: secondo perché dipinto da Maurizio, come Maurizio baciava sempre un altro ritratto, piccolissimo, appeso vicino al suo letto, perché ritraeva Stella, e la cornice di peluche viola a ricami d’oro era stato eseguito da lei!…

Giovani! Giovani! – aveva esclamato Ninnia.

Nella notte dunque che donna Anna intese la voce di Maurizio nel salotto di Stella, questa si era ritirata verso le undici, dicendo di sentirsi male. Ma non si coricò: bensì spogliatasi dagli abiti di giorno, indossò un accappatoio di cachimire bianco stupendamente guarnito da pizzi e ricami, e si ritirò nel salottino, dicendo alla cameriera di coricarsi pure che lei sarebbe andata a letto senza il suo aiuto. La cameriera si ritirò: Stella abbassò la luce troppo viva della lampada, e si mise a leggere.

Come era bella così! Con quella toeletta vaporosa, profumata, col suo atteggiamento languido e penoso, fra il bagliore argenteo e vagolante della lampada, pareva una santa, una di quelle sante belle, regine, ben dipinte da pittori innamorati, tanto più che ciò che leggeva era la preghiera della notte, nel suo aureo libro di devozioni.

Ma la stampa di quelle pagine doveva essere microscopica perché le lunghe e diafane mani di Stella intrecciate insieme, su cui ella appoggiava mollemente la fronte, non si muovevano mai per rivoltarle, e i suoi occhi rimanevano fissi quasi vitrei, immobili, sempre su di esse.

Così passò molto tempo. Tutti i rumori della villa e delle campagne vicine si spensero a poco a poco, e scese il plumbeo silenzio dell’alta notte, interrotto soltanto dal canto di un grillo solitario, dall’indistinto mormorìo dell’Agri, e dalla brezza notturna che mormorava fra le giunchiglie e le chiome degli alberi.

La luce della lampada impallidiva soavemente, mandando sprazzi rossigni che lambivano l’ambiente come immense foglie di geraneo, per poi rientrare nel cerchio della luce bianca della lampada, sotto il coperchio di pizzo crema ondeggiante, - ma Stella non si muoveva, gli occhi immersi in quella strana pagina. Leggeva, meditava o dormiva?…

Non dormiva certo, perché ad un tratto alzò vivamente il capo, e i suoi occhi si animarono; qualcuno bussava alla porta che dava nella biblioteca. Si alzò e chiesto chi fosse, la vocina tremula e bassa di Ninnia, rispose: – Sono io! – Allora Stella aprì e le domandò con stupore: – Che cosa volete?…

– Io… nulla, ma c’è un mendico che chiede parlarvi forse per domandarvi la limosina… – Al che Stella spalancò gli occhi pensando.

– Oh, la povera Ninnia, deve esser sonnambula!

– Dov’è questo strano mendico notturno? – aggiunse sorridendo.

– Volete riceverlo, – soggiunse?

– Sì! – rispose Stella.

Un’ombra si avanzò dal fondo della biblioteca: per quanto coraggiosa, Stella trasalì e indietreggiò macchinalmente, ma l’ombra, un’ombra bellissima benché pallida e tremante, le si inginocchiò davanti, e presale una mano l’accostò alle labbra mormorando:

– Sono io, Stella, che ti chiedo in elemosina di ascoltarmi!

La fanciulla ritirò la mano bagnata di lagrime e rabbrividì.

Ninnia, – disse con voce così severa che agghiacciò come un rimprovero la nutrice, – potete ritirarvi!

Ninnia si ritirò, a capo chino: Stella rialzò Maurizio e lo invitò a sedersi, poi rinchiuse la porta, ravvivò la luce della lampada, chiuse il libro, e si sedette davanti al giovine che la guardava in estasi.


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