Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Stella d'Oriente
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Parte prima

VIII

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VIII

… La madre di Stella si chiamava Maria Franchetti.

Suo padre, l’avolo di Stella, vigorosissimo e onesto operaio, dopo aver logorato la fanciullezza e la gioventù lavorando nelle fatali miniere di Sicilia, uscitone vecchio e cieco a quarant’anni, era ritornato con sua figlia nella città d’Anglona, loro paese natale.

Allora Maria, buona operaia, come sua madre, come suo padre, contava venti anni; bella, perfetta, rassomigliava in tutto a Stella, dal profilo greco del viso risplendente di gioventù, al suono dolcissimo della voce. Stata a scuola, alquanto istruita, Maria, ricamava come figlia di buona famiglia ritornata dal collegio, e col lavoro delle sue mani guadagnava benissimo da vivere per sé e per suo padre: ma in realtà sentivasi attirata alla vita libera, al lavoro dei campi, fra il verde e l’azzurro, avendo passato così la fanciullezza, in Sicilia, nella loro casetta in riva al fiume, vicina alla miniera dove lavorava il padre.

Al ritorno in Anglona il sogno di Maria era di stabilirsi ancora in riva all’Agri: pescando, lavorando la terra, le sembrava sarebbe vissuta più bene che così, ad Anglona, in quelle camerette bianche, scialbe, ove rimaneva all’ombra, tutto il giorno, china sul suo ricamo. Ma Marco, il padre, non aveva acconsentito mai ai progetti romantici di lei, e lei, che l’adorava, accorgendosi di dispiacerlo con le sue parole di rammarico circa la sua vita da operaia, non ne riparlò mai più.

Dal canto suo Marco, ogni giorno di festa, conduceva, o piuttosto si faceva condurre, da Maria in campagna, o sull’Agri: in quei giorni la fanciulla era felicissima. Del resto, a furia di tempo, aveva finito con l’abituarsi alla sua nuova vita.

Coi risparmi di Marco comprarono una casetta a un piano - quattro stanzette, una cucina e un microscopico giardinetto - fra le ultime case di Anglona, quasi in campagna.

Marco, non ostante la sua cecità e la vecchiezza prematura, il povero Marco che oramai riponeva tutta la sua felicità in Maria, sforzandosi a non esserle di troppo peso, sempre allegro e sorridente, lavorava, in tutto ciò che poteva: aiutato da una servetta manteneva in ordine la casa, coltivava l’orticello, adempiva, come una buona massaia, tutte le faccende domestiche. Maria non pensava che a lavorare, e abile operaia, quasi artista qual’era, il lavoro non le mancava mai. Eseguiva sempre ricami per una casa di mode di Palermo; stupendi lavori in biancheria o su stoffa, che venivano generosamente pagati, talché guadagnavasi, in media, più di cinque lire al giorno. - Vivevano così felicissimi: una vita calma, piena di affetto, senza scosse, né difficoltà, nella loro casetta, bianca, civettuola, bene ammobigliata, con gusto, quasi con lusso: tanto più che Maria non pensava che a suo padre, alla casa ed al lavoro. - Sapendo sua figlia, giovine e bellissima, Marco però pensava già al giorno che non sarebbero stati più soli: vedeva un altro figlio nella sua casa, poi un nugolo di nipotini biondi, cari, chiassosi che gli avrebbero resa invidiabile la vita.

Un giorno ne parlò a Maria, chiedendole se amasse qualcheduno… - Essa non trasalì, non arrossì, solo gli rispose con tono di rimprovero:

– Oh, papà, e mi credi tanto cattiva da non dirti, senza esserne interrogata, se amo e chi amo, qualora ciò sia?…

– Dunque non ami nessuno?

– Nessuno no. Io amo te, papà, ma te solo…

Marco sorrise. - Maria diceva la verità: aveva molti adoratori, ma non ne amava nessuno. Chissà!… Una mattina, mentre usciva dalla messa, vestita d’un abito nuovo, elegantissimo, con l’ombrellino di seta e i guanti ricamati, aveva sentito un giovine, esclamare:

Pare una duchessa! – e in quel giorno, spinta dalla novità ingenua di tutte le fanciulle che sanno di esser belle, si esaminò, tra seria e sorridente, mutamente nello specchio, e si accorse, forse per la prima volta, che la sua taglia elegante e aristocratica, il suo piede, la sua mano, parevano di duchessa, - che i suoi occhi potevano, col loro fulgore, immergersi in aurei sogni di ricchezze e nobiltà. Nella notte sognò di trovarsi in una magnifica sala, fra un lusso il più smodato, chiamata signora duchessa; - e l’indomani, rimettendosi al lavoro, mormorò:

– Oh, finirà, finirà!… Una voce segreta me lo assicurafinirà. Abbiamo lavorato anche troppo!

Più tardi Maria pianse lagrime di fuoco al ricordo di quelle frasi: ma per allora le parole «pare una duchessa» forse susurratele da un demonio, le filtravano un terribile veleno nell’anima ardente e romantica: l’ambizione!

Sentite: un mese dopo Maria aveva un amante, giovine e bello, nobile e ricco! Lo amava pazzamente, col suo primo amore, tanto che diceva a sé stessa che, anche povero e plebeo, sarebbe diventata sua lo stesso, sacrificandogli tutti i suoi sogni ambiziosi… E lui era un essere il più miserabile del mondo, che doveva avvelenarle la vita. Si chiamava Francesco d’Oriente!…


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