Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Stella d'Oriente
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Parte prima

XIII

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XIII

… Appena uscito don Francesco, Maria si affacciò alla finestra e guardò: vide il giovine allontanarsi barcollando, e allorché non distinse più neppure la sua ombra perdentesi nel fitto buio della notte si ritirò, ma per qualche istante rimase immobile, poggiata alla parete, le braccia incrociate e gli occhi ardenti fissi nel cielo vellutato.

Tremendi e cruenti pensieri di vendetta le passavano nella mente confusa: un nodo le stringeva la gola, e neanche una lagrima veniva ad alleviare, a squarciare l’immensa sua angoscia che uccideva tutte le speranze, le illusioni, la fede della sua vita

Rimase così molto tempo, udì una nota lontana di chitarra e trasalì mentre un amaro sogghigno le increspava le labbra aride e livide. Un’altra idea veniva a scacciare tutte le altre, l’idea del suicidio, e Maria sorrideva ad essa come se fosse stata l’ultima àncora di salvamento. Si diede a passeggiare a lunghi passi attraverso la camera, e si fermò nell’udire la voce del padre che la chiamava. Uscì frettolosa ed entrando nella camera, Maria esclamò: – Mi hai chiamata?

– Sì! Mi pareva sentire dei rumori nella tua camera. È giorno già?

– No! È notte ancora, ma io veglio perché devo finire per domani mattina un ricamo… – Marco si sollevò sul gomito esclamando con inquietudine: – Come, Maria, tu lavori di notte? No, io nol voglio! Non c’è peggior cosa che logori la salute come il lavorare di notte. Io non voglio che tu lavori di notte: e se ti ammali?… Che avverrà di me senza di te?…

Maria alzò vivacemente la testa. Era forse la voce di Dio che le parlava per mezzo di suo padre? - Essa lo amava intensamente, anzi ora le sembrava amarlo di più nella sua disgrazia; e balenandole nel pensiero lo stato miserabile, in cui sarebbe caduto se ella moriva, provò un brivido di terrore… Sicché si chinò verso il povero vecchio cieco, dalla fisionomia così bianca e dolce, e cingendogli il collo con le braccia lo baciò dicendo: – Non temere più, papà. Io non lo sapevo... Non veglierò più la notte; lavorerò di giorno, e rimarrò sempre sana ed allegra, per amarti, per farti felice, papà, caro papà

Va bene! – mormorò Marco con voce che manteneva ferma a stento. – Va bene, e ora ritirati. – E la baciò in fronte.

Maria uscì col cuore gonfio, ma con ben altre idee di quelle di pochi minuti prima, mormorando fra sé:

– È d’uopo vivere: per mio padre e per piangere l’immane colpa che ho commesso… – Si buttò sul letto e cominciò a piangere da quella notte… un pianto triste, silenzioso, interminabile, ma senza un lamento, senza un’imprecazione.

Solo quando la luce scialba dell’alba imbiancò la camera nella quale esalava ancora il profumo di sigaro lasciatovi da don Francesco, Maria, si alzò, si scosse le vesti, e asciugandosi le ultime lagrime si guardò nello specchio. Si vide bianca, di una bianchezza opaca, profonda, e gli occhi velati da una tinta oscura, azzurrognola, e anche dentro dell’anima sentì qualcosa di gelido, di triste, che vi gettava una pace da sepolcro.

Oramai sentiva di odiare don Francesco, di disprezzare tutto il genere umano, di non essere rattenuta nel mondo che da un solo filo: l’amore per suo padre.

Circa otto mesi dopo, la servetta dei Franchetti, che veniva ogni mattina per tempo trovò nella porta della casetta un canestro di vimini con entro una piccola bambina neonata, riccamente vestita

La piccina dormiva saporitamente, tutta rosea e carina, fra il caldo dei suoi merletti e del cuscino su cui era accuratamente adagiata.

La servetta si mise a gridare, accorse gente: il canestro fu portato nella camera di Maria che stava ancora a letto. Maria prese la bimba, l’esaminò, la baciò, e insieme con le vicine accorse, fece tutte le congetture possibili sulla misteriosa provenienza d’essa. Ma nulla!... Neppure una cifra sulle vesti, non un segno, un indizio: solo un bigliettino in cui era scritto: «Non è ancora battezzata.» La battezzarono e la chiamarono Stella.

Per una settimana tutta Anglona parlò di quella bimba. Qualche voce maligna sussurrò sul conto di Maria, ma si spense nel silenzio, perché nessuno aveva nulla da ridire sulla condotta della fanciulla; - poi tutto si dimenticò e la bimba rimase e crebbe nella casetta dell’operaia. Marco sulle prime si inquietò, dubitando che Stella fosse stata posta sulla loro porta da qualcuno che con ciò forse voleva ledere l’onore di Maria, e pensò di respingere la bimba, ma sua figlia vi si oppose fortemente.

Dopo, quando Stella cominciò a ridere, a parlare, ad accarezzarlo, anch’egli l’amo, l’amò tanto quasi come una nipotina… Anche Maria amava pazzamente quella bionda angioletta che riportava nella sua vita il sorriso e l’oblio, e quando nessuno poteva vederle, divorava a baci la bambina, insegnandole a chiamarla mamma, perché infine la era davvero.

Qualche anno dopo Marco morì. Allora Maria, che odiava sempre la società - quella corrotta società che essa non conosceva, e che tuttavia, l’aveva perduta - realizzò il gran sogno della sua prima gioventù. Vendette tutto, si comprò una casetta in riva al fiume, prese per vent’anni il dritto di pesca sull’Agri, acquistossi una barca, e un fucile e cominciò con sua figlia una vita libera, quasi selvaggia, ma beata nella sua solitudine.

Non rivide mai più don Francesco, ed a Stella non parlò mai né di lui, né della di lei nascita da romanzo; - e morì giovanissima; come Stella aveva raccontato a Maurizio.

… E tutta quella storia di dolore era scritta, , in poche linee nel foglio di carta ingiallita che Stella aveva trovato entro il medaglione d’oro!…


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