Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Stella d'Oriente
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Parte seconda

IV

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IV

Rientrata nelle sue stanze miss Ellen si mise a scrivere una lettera che suggellò in nero, poi, chiamata la cameriera, gliela diede dicendo: – la darai a Guglielmino, che vada subito ad Anglona e la imposti, subito, hai capito? È luce come se fosse di giorno. Non disturbatemi più. Mi svestirò da me.

Mary uscì; Ellen si mise alla finestra. Vide Guglielmino uscire dalla villa e allontanarsi in direzione di un piccolo ponte sull’Agri e allora ritirandosi rinchiuse la finestra e si mise a leggere

Verso mezzanotte sir Eduardo, che dormiva profondamente, si svegliò di soprassalto, e tremante, livido, gettandosi da letto indossò una veste da camera e si precipitò nelle stanze di sua sorella. Anche tutte le altre persone della villa erano in piedi.

Uno sparo, lo stesso udito da Stella mentre stava per varcare l’Agri, le aveva destate tutte, e quello sparo, partito dalla camera di miss Ellen, aveva fatto rabbrividire di spavento sir Eduardo.

Entrò nella camera di Ellen, guardò, e mandando un altissimo grido stramazzò a terra come morto

Il lume splendeva ancora sopra una tavola su cui vedevasi un libro aperto. Il profeta velato del Korasan di Moore: e miss Ellen stava , davanti a quella tavola, a quel libro, seduta, il viso rivolto al soffitto, le spalle appoggiate alla spalliera della sua poltrona, le braccia abbandonate, come se dormisse, l’abito bianco rosseggiante di sangue… Una rivoltella giaceva al suolo, vicina a lei… Ellen si era uccisa con un colpo di essa al cuore, quel terribile ed inesorabile cuore causa di tanta sciagura

Tutti i domestici precipitaronsi nella stanza mandando gridi di spavento e di dolore. Un medico! Un medico! urlò Mary gettandosi su miss Ellen e ponendole una mano sul cuore per arrestare, troppo tardi, l’uscita del sangue.

Guglielmino uscì via piangendo come un pazzo, e arrivato all’Agri lo passò a nuoto. Il giorno prima era caduto il ponticello e quando il groom, la sera innanzi, andava ad impostare la lettera di miss Ellen, era tornato indietro, non avendo trovato nessuna barca, e restituito la lettera a Mary che aveva detto: – Andrai domani all’alba, appena vi sarà una barca. – Ora però si trattava di altro e Guglielmino si gettò risolutamente nell’Agri per passarlo a nuoto.

Il povero fanciullo non sapeva nuotare bene ma in quel punto, l’affetto per la sua padrona gli faceva dimenticare ogni pericolo. Più di una volta credette affondare e disperò, ma allora gli appariva miss Ellen, che egli credeva ancora viva, bianca, sanguinante, e ripigliava forza

Un quarto d’ora dopo rientrò alla villa in compagnia di un medico

Mary intanto, spogliata miss Ellen e fasciatale alla meglio la ferita, aiutata dagli altri domestici l’aveva coricata nel letto. Ma la fanciulla non dava segno di vita.

Sir Eduardo, rinvenuto appena, dirizzatosi quanto era lungo, con un brivido freddo che gli gelava il sangue, che gli faceva battere i denti - perché egli si riteneva causa di quel suicidio - accostandosi a Ellen le aveva posato una mano sulla fronte esclamando: – Oh, mio Dio, è morta!… – E vacillò!

Anche Mary non sperava più. Tuttavia, per dar animo ad Eduardo, diceva: – No, non è ancora morta, i suoi polsi battono benché impercettibilmente… Oh, Signore del Cielo, chi avrà spinto miss Ellen a questo passo?

Eduardo rabbrividiva, e mentre Mary andava ogni tanto verso la finestra, guardando ansiosamente, se giungeva il medico, egli cercava di riscaldare col suo alito, con le sue mani, la povera fanciulla che rimaneva sempre immobile, stecchita, il viso pallido, ma sereno, e gli occhi semi-chiusi nuotanti ancora in un velo di lagrime.

Orribili pensieri passavano nella mente di Eduardo che non cercava neppure sapere se Ellen avesse lasciato qualche lettera, convinto che si fosse uccisa dopo la loro ultima conversazione, di cui tutte le parole gli rimbombavano nella mente come rimproveri eterni… A un tratto un altro pensiero venne a render più fosco il caos di pazzia che sconvolgeva il suo cervello: Ruggero!

Egli doveva giungere fra poche ore… Che mai avrebbe detto Eduardo: Eduardo che per volerli ad ogni costo dare Ellen, gliela aveva forse rapita? Forse! E se fosse già morta?

Eduardo mandò un gemito: la porta si aprì ed entrarono Guglielmino, ancora tremante e bagnato, e il medico.

– Oh, signore… – mormorò sir Eduardo stendendogli le mani – venite, venite, e ditemi se vi è ancora un sol filo di vita!…

Il medico si chinò sulla fanciulla, e la esaminò attentamente. Quando si rialzò anch’egli era leggermente pallido.

Siresclamò con voce commossa, incerta, quasi non avesse voluto dire quelle terribili parole, – questa fanciulla è morta!… – Allora sir Eduardo cadde in ginocchio a piè del letto, e nascondendosi il viso contratto fra le mani ardenti si mise a singhiozzare forse per la prima volta in sua vita, pensando:

– Che miserabile ch’io sono!…

Poche ore dopo un altro uomo stava inginocchiato ai piedi di quel letto di morte. - Mary che anche lei aveva pianto tutta la notte, dopo fatte sparire dalla camera tutte le macchie di sangue, aveva lavato e vestito di bianco miss Ellen. Ora Ellen riposava mollemente sovra il suo letto, sul cui fondo rosa spiccava il suo abito bianco, le mani incrociate sul petto, fra un nembo di rose, amaranti ed eliotropi che profumavano l’atmosfera della camera indorata dai raggi del sole - quel sole che illumina sempre con la stessa gajezza la gioia e il dolore

La morta, bianchissima in viso, senza un muscolo, una fibra, contratta, pareva una sposa addormentata, e solo i ceri che Mary aveva disposto e acceso intorno al letto, toglievano la illusione della vita… Oh, se Maurizio avesse visto quella scena di morte, così straziante nella sua calma, si sarebbe maledetto lui, causa involontaria di tanta sciagura!

Anche l’uomo inginocchiato davanti alla morta aveva il viso bianchissimo come lei. I suoi lineamenti finissimi parevano scolpiti nel marmo, e i suoi grandi occhi neri alla Romana, i piccoli baffi bruni, la sua bella capigliatura oscura, divisa ad un lato della testa da una sottile scriminatura, spiccavano vieppiù sopra la sua nivea carnagione. Giovanissimo, elegante nel suo abito da viaggio, le mani piccole, bianche, da donna, egli era il conte Ruggero di Farnoli.

Giunto a questo punto del mio povero racconto, a qualche gentile lettrice che mi dica non essere stato necessario il suicidio che fa tristi i primi capitoli della seconda parte, risponderò con le parole di un simpatico romanziere moderno:

«Sebbene non ci ricusiamo di mandare a tempo e luogo, uno dei nostri personaggi all’altro mondo, noi non ci risolviamo mai che spinti agli estremi, e quando proprio non è possibile esercitare a suo favore il nostro dritto di grazia… E non lo facciamo mai senza dolore!… anco dopo esserci arrabattati, colle mani e coi piedi, che quell’individuo è oramai di troppo sulla scena, e noi stessi che è tempo di levarlo di .

«Noi, cui poco arrisero le umane fortune, noi cui non furono troppo propizi i fati, financo negli affetti più cari, abbiamo bisogno di affezionarci a queste larve della fantasia, corpi dei nostri sogni, spiriti dell’anima nostra…

«E in essi, e fra essi viviamo, con essi combattiamo e speriamo; non ce ne separiamo che colla pena infinita con cui si abbandona un amico; e quando, esaurita l’azione, avvenuta la catastrofe, inevitabile e necessaria, siamo obbligati a scrivere sull’ultima pagina quella funebre e melanconica parolaFine” ci par che una cara visione si dissolva, che una famiglia di amici salpi per regioni lontane, che qualche cosa, ci si strappi spietatamente dal cuore!

«La gente che passa non sa, non comprende queste tristezze di romanziere o poeta, né può interpretare le sconsolate melanconie che fan loro fissare una stella, dimentichi del mondo rumoroso che lor ferve d’intorno, e li fa soli, distratti, tristi, fra la gente che ride e schiamazza1

Il conte Ruggero stava da molto tempo, come inebetito dal dolore, dallo stupore, domandandosi ogni tanto se non fosse un terribile sogno il suo, perché egli aveva amato pazzamente Ellen, a segno che per lei, rotte in disgustosa maniera le speranze di sua madre - vecchia e buona signora adorata da Ruggero – in uno splendido matrimonio combinato sin da quando, lui e la sposa che voleva dargli erano ancora bambini, aveva dovuto distaccarsi da lei, si era fatto dei nemici, aveva posto sotto i piedi tutti i pregiudizi di casta. A un tratto si mise a singhiozzare disperatamente domandandosi se non fosse pazzo.

– Io… anch’io moriròpensò rialzandosi – ma prima bisogna che sappia qual terribile motivo ha spinto Ellen a questo passo… oh sventurata! – esclamò rivolgendosi verso la morta con gli occhi nuovamente pieni di lagrime – e non pensavi che uccidendoti, uccidevi anche me e tuo fratello?… – Perché Ruggero, trovato Eduardo assalito da una febbre tanto ardente che non gli aveva neppure lasciato riconoscere il giovine conte, non sapeva ciò che egli pensava sulla morte di Ellen. Chiamò la cameriera, e le chiese:

Mary, la povera Ellen non ha lasciato nessuno scritto?

La fanciulla alzò vivacemente il capo.

– No – rispose, – senonché

– Ebbene? Ebbene?…

– Una lettera che mi consegnò ieri notte, presto, perché la facessi impostare subito, il che fu impossibile perché il ponticello sull’Agri è caduto ieri mattina e non c’era alcuna barca per attraversare il fiume. Raccolsi la lettera proponendomi di impostarla oggi all’alba, ma oggi… oh, oggi, chi non se ne sarebbe dimenticata?... Vuol lei che la imposti lo stesso?

– No! Datemi quella lettera! – esclamò febbrilmente il conte.

Mary obbedì senza far motto. Ruggero guardò l’indirizzo e i suoi occhi corsero, attraverso i vetri, nella direzione di Mambrilla, ove sapeva che abitavano i d’Oriente Santo Stefano, poiché sulla busta della lettera si leggeva l’indirizzo di Maurizio… La aprì, la lesse, e provò quasi la stessa impressione provata da Stella nel leggere il foglio acchiuso nel medaglione di sua madre... La lettera diceva così:

«Maurizio! Quando leggerete questo povero foglio io sarò morta: morta vittima del mio, del vostro cuore, di una immensa ed infelice passione. - Mi chinai sotto i comandi di esso; ho pregato, ho pianto, non dirò l’altra parolabestemmiato” perché io non avevo chi maledire, conservando sino a pochi istanti fa un barlume di speranza; - mi chinai tanto che strisciai davanti a voi, chiedendovi pietà, a voi che forse mentre io mi uccido non pensate a me che per chiamarmi romantica, come mi chiamaste per rispondere al gemito di dolore che s’alzava a voi dall’anima mia dilaniata… Ma allorché saprete la mia triste fine crederete almeno che quanto vi dissi era verità, terribile verità; credete almeno alla tremenda passione che nutrivo per voi nel mio cuore! Muoio perché ciò sia; muoio perché se vivessi questa passione mi ucciderebbe a fuoco lento, con straziante agonia… E perché subir tal martirio quando la si può finire subito? oh, Maurizio! Maurizio! Qui, innanzi alla morte che mi sorride con l’occhio scintillante della mia rivoltella, io non vi maledico, ma, amandovi sempre sino all’ultimo anelito della vita, prego che giammai conosciate la terribile tortura dell’anima che adora senza speranza, che delira nel pensare che il suo amore non solo non è corrisposto, ma forse anche deriso

«Se volessi maledirvi, getterei su di voi questa maledizione; ma, ve lo ripeto, io vi amo, immensamente vi amo, e appunto perché sento che il mio amore durerà, sinché durerà il veleno della vita, - io mi uccido!

«Nessuna speranza, nessuna gioia m’arride sulla terra.

«Voi veniste sul mio sentiero come una fulgida stella sul cielo triste del pellegrino; ma dopo il colloquio di stasera quella stella, lo sento sin da un’ora, si è cangiata in un sole immenso di fuoco che abbrucierebbe la mia anima, la mia esistenza, se seguitassi a vivere.

«Oh, non chiamatemi sciagurata - voi cattolico, per cui il suicidio è un tremendo delitto - voi che vivete vicino a Stella e a vostra madre così buone e pie. Sarei più sciagurata se, mancandomi il coraggio di morire, continuassi a vivere una vita di miserie e di dolori resi più grandi dal silenzio e dalla dissimulazione in cui dovrei avvolgerli.

«Addio! Addio! Mille idee mi vengono al pensiero, ma la mia mano tremante non vuole scriverle… e d’altronde? a che servirebbero? A nulla!

«No, non a nulla! Maurizio, in quest’ultimo istante vi rivolgo questi versi del nostro divino poeta:

Una lagrima sola; altro di tanto
Amore in premio non vogl’io da te;
Unico, primo, ultimo premio – Il pianto
Virtù nol vieta per chi più non è!2

«Addio, ancora una volta addio!...

Ellen»

Il conte Ruggero, finita di leggerla, ripiegò automaticamente la lettera, la raccolse, e incrociando le braccia rimase qualche istante immobile, gli occhi vitrei, chini a terra… Nella sua mente riddava uno strano ed intero romanzo, perché nella lettera di Ellen egli non aveva traveduto la verità.

Miss Ellen, bisogna dirlo, prima di conoscere Maurizio, quasi del tutto decisa, per obbedire suo fratello, di diventar contessa di Farnoli, non aveva mai avuto con Ruggero alcuna spiegazione, sicché egli credevasene amato. Ora si figurava che miss Ellen, venuta in Basilicata, corteggiata assiduamente da Maurizio, lo avesse corrisposto, scordandosi di lui, e che Maurizio, abbandonatala probabilmente per un’altra fanciulla, fosse la causa colpevole e volontaria del suicidio di Ellen

E tristi particolari si affollavano nella fantasia del giovine; tutti i raggiri, tutte le seduzioni adoperate da Maurizio per guadagnarsi l’amore della sua fidanzata: la vigliacca vanità che proverebbe ora, perché probabilmente tutti conoscevano la passione di Ellen, nel sentirsi dire:

– Quella fanciulla si è suicidata per te!…

Ruggero a Napoli aveva sentito parlare di don Francesco, e credeva suo figlio come lui, galante, libertino, leggero… perché del resto non conosceva Maurizio neppure di vista

Alzando gli occhi rivide la Mambrilla, rivide il viso bianco e addolorato della morta per la quale non aveva nessun pensiero d’odio, gettando solo su Maurizio tutta la colpa, e balzò ritto, come spinto da una molla, il viso livido e le mani tremanti… Si portò il fazzoletto alla bocca per soffocare un urlo di dolore, e i suoi occhi, animandosi fieramente, si fissarono a lungo su Mambrilla. Poi si avvicinò alla morta e deponendole una mano sulla fronte gelida, mormorò:

Addio, Ellen! Io ti perdono, e ti vendicherò!…

Vestito in costume da antico Romano, Ruggero sarebbe sembrato cavaliere di Giulio Cesare, giurante vendetta di un misfatto politico, forsanche la morte di lui…

Si chinò, baciò la morta, e uscì barcollando.

Sir Eduardo guarì dopo qualche settimana e partì immediatamente dall’Italia, maledicendo questa terra che aveva arso l’anima e i sentimenti di sua sorella e anche i suoi, perché, non avendogli Ruggero detto nulla, egli si credeva sempre causa dell’avvenuto, ed era sicuro che, fra le nebbie gelide di Londra, non si sarebbe tanto riscaldato per mantenere la sua parola. Non sappiamo ciò che avvenne di lui: probabilmente le famose nebbie avranno calmato e fatto obliare

Ruggero rimase qualche tempo nella villetta, nel cui giardino fece costrurre una tomba ricca e artistica per Ellen, perché, come suicida, non avendo dritto di sepoltura in luogo sacro, il conte aveva ottenuto facilmente il permesso di seppellirla . Acquistò la villa; ma non gli fu possibile per allora di vendicare Ellen, secondo il suo giuramento. La sua idea era il duello; ma per quanto facesse non solo non riuscì di battersi con Maurizio, ma non lo vide mai neanche una volta, per tutto il tempo che restò in Basilicata.

L’autunno intanto si avanzava; la campagna diventava deserta; e la vecchia contessa di Farnoli, saputo il suicidio di Ellen, aveva scritto a Ruggero lunghe lettere commoventi, confortandolo, perdonandolo, richiamandolo presso di sé.

Ruggero, buonissimo giovine in fondo, si commosse e sperò sulle parole di sua madre, ma nel lasciare Anglona, si promise di tornare in inverno a Napoli, ove, incontrato appena Maurizio, avrebbe sciolto il suo giuramento di vendetta.

Arrivato a Roma corse da sua madre. Oramai la contessa era tanto vecchia e debole che aveva dovuto pigliarsi una signorina per lettrice. Era una signorina assai bella, mesta, istruitissima, aristocratica e seducente

Sin dal primo vederla Ruggero non ostante il suo immenso dolore, provò una profonda per quanto indefinibile impressione… Quella signorina si faceva chiamare Stella Franchetti, ma il suo vero nome era Stella d’Oriente.





1 N. Corazzini, Dente per dente.



2 G. Byron, Il corsaro.



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