Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Stella d'Oriente
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Parte seconda

XI

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XI

– Ah! – rispose qualche secondo dopo, sussultando ancora al ricordo del terribile dolore provato, nel fare quella scoperta, – anch’io crederei di diventar pazzo!...

– Come l’hai fatta?

Maria Franchetti lasciò a Stella un medaglione d’oro con la preghiera di aprirlo solo il giorno in cui avrebbe compiuto il ventunanno. Stella lo aprì quel giorno e dentro vi trovò un foglio nel quale Maria le rivelava esser essa figlia vostra, figlia della colpa e dell’amore... Stella fuggì: ma io ritrovai il medaglione in giardino, dove probabilmente lo aveva smarrito. Lo aprii però solo oggi, quando seppi di non poterglielo restituire. Forse Stella non si accorse di averlo perduto se non quando fu lontana da qui.

– O forse l’avrà lasciato apposta per farti conoscere l’abisso che vi divide!

– Nessun abisso ci divide. Stella sarà mia, a meno che non cessi di amarmi, o che nella sua disperazione non siasi uccisa… Ma se è così saremo uniti lo stesso perché allora anch’io morirò.

Ancora una volta don Francesco provò una scossa dolorosa all’anima alle tristi parole del giovine e al nuovo pensiero del suicidio di Stella. Stese le braccia esclamando con angoscia: – Maurizio! Ti ho chiesto se non sei pazzo e tu, anche dicendo di no, seguiti a parlare da pazzo! Oh, sì, sei pazzo, sei pazzo!… Mio Dio, è pur grande il vostro castigo!

Dio! – esclamò Maurizio offuscandosi in viso e con cupa voce. – Voi parlate a Dio, don Francesco d’Oriente? Avete forse ascoltato la sua voce allorché trascinavate nell’infamia la madre di Stella che aveva riposto in voi ogni sua speranza?…

E siccome il marchese, fissandolo con gli occhi vitrei, spalancati, non rispondeva alla sua domanda, Maurizio riprese:

– No, don Francesco d’Oriente, Dio è buono, Dio è clemente. Ha riposto in me ciò che voi chiamate castigo, ed io potrei farvi gustare a goccia a goccia il nappo di questo castigo col lasciarvi nella vostra terribile incertezza; ma io non voglio perché per quasi trent’anni vi ho amato come padre, perché padre di Stella e marito di donna Anna… E a proposito, dite, che penserebbe di voi la marchesa s’io andassi da lei e le svelassi ogni cosa? a lei che ignorò sempre il vostro infame passato, i vostri delitti resi più grandi, più vili perché commessi sotto leggi che non li puniscono?…

L’orologio suonò la mezzanotte, a piccoli rintocchi, rauchi, secchi, brevi: il marchese li contò e sforzandosi a sorridere si passò una mano sulla fronte gelida mormorando:

– È mezzanotte!… Io sogno… uno dei soliti sogni!…

Maurizio si alzò e toccandogli il braccio rispose:

– No! voi non sognate! Vedrete… – Aprì la porta e chiamò a voce bassa, dolce: – Venite, madre mia!

Don Francesco si volse vivamente, credendo fosse donna Anna colei che Maurizio chiamava, ma si convinse che il giovine era pazzo quando vide entrare Ninnia, che si avanzò a testa bassa e che, mentre Maurizio rinchiudeva la porta, si inginocchiò sul tappeto

– Mi perdonerà! – mormorò con voce bassa, tremante, quasi piangendo, rivolta a don Francesco. – Non credevo si dovesse mai scoprire e lo amavo tanto! Oh, signor marchese, se sapesse che cosa è l’amor di madre... e a quali azioni spinge!…

Assolutamente, don Francesco trovavasi fuori di sé: non giungeva a capir nulla e guardava con gli occhi stralunati la vecchia nutrice e Maurizio che anch’ei guardava Ninnia, ma teneramente. A un tratto il giovine si chinò e rialzandola la sedere fra lui e il marchese, dicendole:

Suvvia, alzatevi, ché don Francesco non solo vi perdonerà, ma vi benedirà: Raccontategli la strana istoria

Allora Ninnia rialzò la testa, così soave e bianca, e cominciò, parlando basso, quasi temesse d’essere ascoltata da altri fuori di Maurizio e di don Francesco che ascoltava stupito:

– Se si ricorda, signor marchese, un giorno, vent’otto anni fa, lei venne a trovarmi nella mia abitazione, in Porta Capuana a Napoli. Mio marito era morto pochi mesi prima lasciandomi in stato interessante, ed io, appena natomi un figlio, povera come mi trovavo, sentendomi in forza di allattare due bimbi, mi era raccomandata a una signora cui facevo dei servizi perché mi trovasse un posto di nutrice.

– «Quella signora mi raccomandò a lei, signor marchese, e lei un giorno venne da me e facendomisi conoscere pattuimmo l’allevamento di un suo figlio. Lei non volle ch’io venissi nel suo palazzo, ma mi pagava tanto bene ch’io mi permisi di pigliar una serva e di cambiare alloggio.

– «Lei, si ricorda? portò Maurizio con un domestico, e per quasi tre mesi non si lasciò vedere che raramente, alla sfuggita, limitandosi di mandarmi i denari, con lo stesso domestico. Ma dopo i tre mesi mi volle nel suo palazzo: vi acconsentii perché durante questi tre mesi era morto… mio figlio

Don Francesco interruppe Ninnia esclamando: – Ma perché mi dite tutto questo ch’io ricordo benissimo? Che ha da vederci?

– «Oh, senta, senta la storia di quella morte! Appena lei portommi suo figlio feci una strana osservazione: il marchesino rassomigliava quasi perfettamente al mio povero piccino, gli stessi occhi, la stessa carnagione, gli stessi capelli. Solo Maurizio appariva un po’ più piccolo, forse perché debole e malaticcio, mentre il mio Filippino era grasso, grosso e sano. Dopo pochi giorni, io amavo Maurizio quanto mio figlio e prodigavo a lui ogni cura ed attenzione possibile perché ne aveva assai bisogno, mentre al secondo così buono e placido, bastava lo nutrissi soltanto. Del resto la serva mi diceva sempre: “Se Maurizio non vestisse con più lusso di Filippino, io, per me li confonderei!” Passò così un mese. Maurizio cresceva a vista d’occhio, ma sempre malaticcio, con una strana tosserellina che la notte mi costringeva a vegliare, e spesso egli piangeva senza che io ne sapessi il perché. Lo dissi anzi al medico del quartiere, che esaminato il bimbo, mi disse: “Ma non è nulla! Vedete, è un bimbo prospero, e se piange significa che è viziato. In quanto alla tosse, comune a quasi tutti i bimbi, gli darete un mezzo cucchiaino di questa pozione ogni volta che lo tormenta”.

– «Mi diede la ricetta, ed io, rassicurata, vedendo che la pozione calmava infatti la tosse, non ne parlai neanche alla serva. Una notte Maurizio si svegliò sul tardi e si mise a piangere e tossire… Io lo presi fra le braccia, gli diedi la pozione, la poppa, mi misi a cullarlo, e canticchiarlo, ma egli non si calmòRimase così quasi un quarto d’ora, ma dopo si calmò di repente, quasi si addormentasse, ma con gli occhi e la bocca aperta. Guardandolo fisso mi pareva che i suoi piccoli occhi si dilatassero, prendessero una cupa ed immobile trasparenza di vetro, che il suo viso diventasse livido, specialmente le labbra orlate di bava bianca di latte, e che tutto il suo corpicino si allungasse, diventasse freddo, duro

– «Involontariamente tremai e mi diedi, rattenendo il mio, ad ascoltare il suo respiroAhimè, nella mia camera non si sentiva che il respiro di Filippino che russava nella sua culla! Maurizio non respirava punto: un terribile dubbio mi attraversò il pensiero: che fosse morto!…»

Ninnia tacque un minuto. Oramai il marchese la ascoltava con ansiosa attenzione, cominciando a capirla, sicché mormorò nervosamente: – Seguitate! seguite!…

– «Proseguo. Per più di un’ora rimasi immobile, fredda, come aspettando che Maurizio si svegliasse dal suo plumbeo ed ultimo sonno… Lo avevo scosso, baciato, chiamato: egli era rimasto freddo, muto, stecchito: ormai ero convinta della sua morte! Non piansigridai: una paura terribile mi teneva come pietrificata; la paura di lei, signor marchese, la paura di donna Anna! Che avrebbero detto nel sapere la morte improvvisa del loro figlio? Mi avrebbero maledetto, imprecato... forse tradotta in Tribunale accusandomi di aver assassinato, con la mia imprudenza, con la mia noncuranza, il povero piccino… Ma che potevo farci?

– «Non lo avevo forse guardato, curato più di mio figlio? non lo avevo mostrato al medico ed eseguito i suoi ordini?

– «Che colpa ci avevo io se, ingannata dall’ignoranza di quel medico e dalla mia, non avevo conosciuto la malattia di Maurizio? E tremava in una terribile maniera: ma alla fine mi scossi, deposi il morticino nella sua culla, vicina a quella di Filippino, e ritta, pallida, tremante, mi appoggiai alla parete, domandandomi ciò che dovevo fare. Oh, mormorai, se potessi dar a Maurizio la vita di mio figlio lo farei, anche se dovessi morir di dolore!

– «Pensando così, guardai mio figlio. Il mio bimbo dormiva sempre nella sua vecchia culla, le vesti e le coperte così povere, mentre Maurizio, fra i pizzi e le indorature della sua ricca culla dormiva ei pure, ma qual diverso sonno di quello di Pippo!…

– «Perché trasalii nel mio terrore, perché una vampa di fuoco scacciò il gelido pallore del mio viso? Qual pensiero passava nella mia mente, e chi lo inspirava? Iddio o il demonio?

– «Oh, non lo so ancora: ma ricordo che guardando Filippino sentii entro di me una profonda tenerezza, un intenso amore per lui, come non lo aveva mai sentito, quasi che con la morte di Maurizio tutto l’affetto già nutrito per lui, rubandolo al mio piccino, gli ritornasse! Più di una volta pensando all’avvenire dei due bambini avevone notato l’immensa differenza: Maurizio destinato alla vita ricca, senza lavoro, tutto lusso ed agiatezza; Filippo a diventar operaio, come suo padre, forse a soffrir la miseria e la fame, ed a morir povero, forse sul lavoro, come suo padre; ma mi confortava il pensiero che Maurizio forse lo avrebbe aiutato. E ora?… Ora Maurizio era morto, e mio figlio non doveva contare che nelle sue mani, nelle sue spalle!… E con un gesto di rabbia notai, per la prima volta con dispetto, le distinzioni fatte da Dio fra gli uomini, pur chiamati simili.

– «Fu allora che mi venne in mente uno strano pensiero: destato dal mio grand’amore materno mi tremare ed ardere, mi martellò nella mente, nel cuore, nell’anima, mi fece passare un istante di terribile incertezza; ma mi vinse

– «Rinchiusi la porta, quasi stessi per compiere un delitto, e… spogliai il morticino, spogliai il mio bambino: a lui indossai le vesti di Maurizio. Lo coricai nell’aristocratica culla dei d’Oriente, e al marchesino vestii i poveri abitini di mio figlio e lo adagiai nella vecchia e bruna culla di quest’ultimo.

– «Neanch’io, se non lo avessi saputo, mi sarei accorta dell’inganno!

– «Provai un’immensa gioia e chinandomi su Filippino lo baciai a lungo mormorando: “Dormi!” Io bestemmiai, chiamando Iddio ingiusto; e Iddio buono per castigo mi fa madre di un bimbo destinato ad essere felice fra agi di una vita che non doveva neppure sognare! Dormi! Che importa s’io non ho più figlio, se tu forse non m’amerai che come nutrice? Dormi. Tu sarai grande e felice! Oh veda, signor marchese, non per me commettevo quel colpevole inganno, ma per il figlio mio.

– «Non le dirò il resto perché sarebbe troppo lungo. L’indomani tutto il vicinato diceva: “Povera Ninnia! Stanotte le è morto improvvisamente il figliuolo!” Io rappresentai, le assicuro non del tutto a finzione, la parte di madre addolorata… e intanto due mesi dopo mio figlio entrava nel palazzo dei marchesi di Santo Stefano come loro figlio!

– «Ma chi avrebbe creduto che un giorno io avrei dovuto svelare impunito questo segreto che mi pesava nell’anima da tanti anni? Ah, non lo sveli a donna Anna! Sarebbe capace di farmi chissà che, ora che sono così felice!…


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