Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Stella d'Oriente
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Parte seconda

XIII

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XIII

… Il magnifico candelabro di argento, posto su una mensola di marmo, illuminava il piccolo alto salotto di donna Morella, con delle luci a toni vividi sulle cornici e le tappezzerie, mentre sull’artistico soffitto la ventola di porcellana verde non lasciava passare che un tremolante chiaro oscuro opaco e verdognolo. Era un bel quadro. Sotto la ricchissima cappa del caminetto alla Luigi XIV ove scoppiettava un buon fuoco, donna Morella gli occhi socchiusi come ad un voluttuoso dormiveglia causato dal calore del fuoco, ascoltava la lettura di un romanzo di Victor Hugo non tradotto, fatta da Stella che stavasene seduta più in basso; su uno sgabello, con le spalle appoggiate al marmo del caminetto e i piedi stesi in avanti sul tappeto.

E che contrasto fra quella vecchia signora avvolta in un vestito oscuro e pesante, immobile, muta, il viso bruno, di una brunezza rossastra o azzurrina secondo il riflesso delle fiamme, le mani lunghe, ossee, incrociate sul grembo, e quella fanciulla, tutta fremiti nel suo costume da casa, bianco, a nastri e merletti di un rosa chiaro, negligé elegantissimo quanto un costume da ballo, il personale perfetto, il viso fresco, indorato dal riflesso dei riccioli biondi piovente sulla fronte, sulle tempia, pettinata all’ultima moda, i piedini da fata calzati di stivaletti bianchi che lasciavano vedere le calze di seta rosa, le mani bianche, morbide, dalla carnagione lucente, tutta illuminata dalla luce del candelabro d’argento!…

Un pittore, dipingendo quel quadro, lo avrebbe intitolato: Vecchiezza e Gioventù!

Stella leggeva a voce alta, lenta, melodiosa, dalla pronunzia perfetta, come se fosse nata a Parigi, rimarcando fedelmente la punteggiatura, gli occhi fissi solo sul volume: pareva fosse anch’essa immersa come la contessa nell’azione del romanzo, ma in realtà il suo pensiero ne correva ben lontano e solo nel leggere certe parole, certe frasi, il suo cuore provava sussulti dolorosi e strazianti.

Perché in quel giorno eransi compiuti giusto i due mesi dacché aveva fatto la terribile scoperta di essere figlia di don Francesco!

Fuori, sul fosco cielo di novembre, il vento furioso soffiava spazzando la nebbia, traverso cui cadeva una pioggia fina, fitta, fredda, ma Stella non sentiva il freddo perché la febbre le sconvolgeva il sangue, le ardeva la testa, benché si mantenesse eroicamente calma, impassibile, quasi ridente!…

Fu battuto leggermente alla porta del salotto.

– Avanti: – disse la contessa scuotendosi dal suo torpore, mentre Stella cessava di leggere; la porta fu aperta e fra il panneggiamento oscuro della portiera apparve il viso pallido di Ruggero che salutò dicendo: – Buona sera, mammà; vengo a chiedervi il permesso di passare la serata con voi…

– Oh, – esclamò vivacemente la contessa sorridendo, – sii il benvenuto! Vieni pure: abbiamo un magnifico fuoco.

– E fa freddo davvero! – disse lui avanzandosi, a testa nuda, vestito di nero come sempre.

Stella, che nel vedersi sorpresa in quella posizione così romantica era balzata in piedi arrossendo lievemente, depose il libro sulla mensola, accostò un’altra poltrona al fuoco per Ruggero, e fece vista di ritirarsi, ma donna Morella la trattenne dicendo: – Ma aspetta qui anche tu che faremo quattro chiacchiere: tanto che ci farai da ora nelle tue stanze?

Stella si risiedette nel suo angolo, ma stavolta anche lei prese una sedia alta, mentre Ruggero le diceva:

– Già, lei, signorina, preferisce sempre la solitudine e il silenzio

– Ah! – rispose lei – perché cose bellissime. Osservai anzi preferirle anche lei, signor conte

Ruggero non replicò, e probabilmente per non seguire su quel tono stese la mano e prendendo il libro esclamò:

– Che cosa si leggeva di bello? Oh, roba francese! Ma siete proprio bizzarra, mammà, voi. Preferite sempre stoffa straniera mentre abbiamo bellissimi e buonissimi autori italiani.

– Sarà! – rispose la contessa stringendosi nelle spalle. – Ma che colpa ci ho io se mia madre m’insegnò ad annoiarmi, e addormentarmi nel leggere i nostri romanzi senza intrecci, senza scene palpitanti come nei romanzi stranieri, specialmente francesi? E poi, tu lo sai, ho avuto tutti professori e maestre francesi… – E parlarono di letteratura.

Stella, interrogata da Ruggero, sulle prime si contentò di rispondere soltanto, ma poi anch’essa entrò nella questione, disse i suoi gusti, parlò con entusiasmo dei suoi autori prediletti… specialmente di Cavallotti, giacché parlavano di autori italiani.

– Ecco – disse con voce alta, con entusiasmo – se potessi stringergli la mano, se potessi parlargli gli direi: «Onorevole, sono felicissima di stringere la mano al più gran poeta contemporaneo d’Italia! E forse anche d’Europa, non ostante tutto ciò che possiate dirmi. A me sembra così!»

Ruggero sorrise: del resto anch’egli ammirava assai il forte e fantastico poeta di Leonida

Insensibilmente, dalla letteratura scesero a parlare di… geografia. Ruggero che aveva molto viaggiato, parlò a lungo dei luoghi da lui visitati, brillante parlatore dalla parola facile, dall’accento affascinante, e mentre lui si abbandonava ai suoi ricordi e descriveva splendidi panorami di città e paesaggi, Stella lo guardava fisso, mentre uno strano desiderio le nasceva nell’anima: di amare Ruggero, d’esserne riamata, e scordare così Maurizio il cui ricordo le flagellava sempre il cuore, Maurizio che essa si accorgeva fremendo di amare ancora, sempre, ardentemente

Nel silenzio della sua camera Stella si abbandonava con acre voluttà alla sua immensa disperazione, piangeva e pregava, ma l’oblio e la calma tanto da lei sperati non giungevanle ancora, non giungevanle mai. E quando sarebbero giunti se dopo due mesi la sua anima non sentiva neanche l’ombra di loro?…

Le sembrava d’impazzire, e non passava giorno che la triste idea del suicidio non venisse a tormentarla, ma la scacciava sempre sentendosi così giovine, così bella, così devota, e dicevasi: – A domani! Domani verranno!

Era la dimenticanza, la calma che aspettava, e i domani scorrevano senza che esse venissero, ma un’ultima speranza sorreggeva la povera fanciulla. Davanti a donna Morella, a gli amici, Stella si mostrava sempre calma, di una calma marmorea, impenetrabile, qualche volta allegra, sempre spiritosa, ma dentro di sé sentiva qualcosa di ardente, di terribilmente doloroso, come il sangue in febbre e il cuore fisicamente malato, e la sua suprema speranza era di ammalarsi, di morire naturalmente, morire fra poco, in quella casa ove s’accorgeva di non esser sola a soffrire

Né s’ingannava. Anche Ruggero soffriva; anche a lui, nonostante la stessa calma finta, ruggiva qualcosa di terribile in cuore, che lo manteneva vivo: l’odio per l’uomo che non conosceva, ma che supponeva gli avesse rapito la felicità, sul cui capo Ruggero faceva cadere il sangue di miss Ellen! Il programma del giovine conte consisteva tutto nell’uccidere quel nemico, ma poi?

Nei primi tempi Ruggero sentivasi più che convinto che dopo la vendetta si sarebbe ucciso anche lui, ma poi… oh, gli uomini dimenticano così presto tutto ciò che non sia un oltraggio sanguinoso!… Considerando tale l’azione immaginaria di Maurizio, Ruggero era sempre, più che mai, deciso di vendicarsi, ma l’idea della propria morte, a meno che non restasse sul terreno, dileguavasi a poco a poco. Ruggero dicevasi che bisognava vivere per sua madre, ma in realtà c’era anche un altro ausiliare

E in quella sera vedendo Stella animata, parlare famigliarmente, come non aveva mai fatto nelle altre poche volte che eransi trovati assieme, (perché dopo il di lui ritorno Stella erasi voluta ritirare dalla mensa di donna Morella), mentre essa pensava alla pace che avrebbe trovato se invece di Maurizio amasse Ruggero e ne fosse riamata, sapendo che donna Morella non avrebbe punto contrariato questo amore, anche lui la guardava affascinato, trovando su lei molti punti di rassomiglianza con Ellen, e sentiva che il suo dolore, così immenso nei primi tempi, cominciava a diminuire e con esso l’idea della morte… Oh, gli uomini!

Ma era così bella quella signorina Franchetti!…


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