Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
Le tentazioni
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Nel regno della pietra.

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Nel regno della pietra.

 

In una falda di Monte Bacchitta, sotto una corona di mostruose roccie granitiche che lo difendevano dai venti freddi del nord, c'era l'ovile di Sidru Addas, un pastore porcaro. Quest'ovile era composto della solita mandria di siepi, e della solita capanna a cono, di pietre e di rami. Un grande cane bianco, con una enorme testa, con gli occhi rossi, incatenato su una roccia, sotto un piccolo riparo di frasche, vigilava sopra l'ovile.

Il paesaggio era sublime: era il regno della pietra, intersecato qua e da radi boschi d'elci e da chine che in primavera si coprivano d'asfodelo. Metà della Sardegna, fino ai golfi, ceruli nelle serene mattine d'autunno, fino ai vaporosi orizzonti chiusi da muraglie di montagne che l'aurora o il tramonto insanguinavano, si stendeva sotto il Monte. Quando il vento taceva, un silenzio indescrivibile era lassù, sotto quelle mostruose roccie allineate, grigie, enigmatiche.

Sbandati nel bosco un po' lontano, o, d'estate, nelle chine coperte dai lunghi cespugli dell'asfodelo metà verde, metà biondo, i porci non si vedevano mai, e tanto meno si vedeva il pastore.

Solo quel gran cane bianco, posato sulle zampe come un idolo mostruoso, con gli occhi rossi, fissi lontano, animava la selvaggia solitudine dell'ovile. Alcuni alveari di sughero stavano addossati alle roccie, e da essi, al principiar dell'estate, zio Sidru estraeva il miele amaro.

Egli calava raramente al paese, nel quale possedeva una casetta col cortile davanti, ombreggiato da un melograno e da una vite secolare: sua figlia Sidra saliva quasi ogni settimana all'ovile, recando viveri e vino e vesti da cambio.

Spesso ella s'indugiava e passava anche la notte lassù: andava e veniva sempre sola, conosceva a menadito la montagna. Non era più tanto giovine, era grassa, bruna, con begli occhi neri scintillanti; aveva grandi piedi, mani ferree, e quindi non temeva nessuno, non si spaventava di nulla, di alcun pericolo naturale. Però aveva paura dei morti.

Una volta ch'era sola nella capanna, udì un rumore strano, continuo, che pareva venir di su, di giù, da lontano, come d'un acciarino battuto sulla pietra.

Un tagliapietre a quell'altezza? Ohibò, neanche da pensarci. Non se n'era veduto mai. Forse era qualche spirito infelice che batteva le ali di metallo sulle roccie, come mosca prigioniera.

Sidra10 uscì fuori. Era sul finir dell'inverno, un pomeriggio tiepido e soleggiato. Intorno all'ovile era un grato tepore, un presentimento di primavera; le roccie erano calde, l'erba odorava, il cielo sconfinava azzurro nei golfi azzurri, nelle montagne azzurre.

In quel gran silenzio soleggiato, il rumore della pietra percossa vibrava limpido, ripetuto in giro da più echi.

Sidra guardò attorno, con la mano sugli occhi, camminò cauta sull'erba fina ancora umida, andò di qua e di , ma non vide nulla. Il rumore durò tutta la sera: verso il tramonto scoppiò una mina, rintronando per tutte le profondità del Monte, e Pessa assu malu11, il cane, abbaiò come un demonio incatenato.

Poco dopo tornò zio Sidru coi suoi porci abbastanza numerosi, ma non grassi (era cattiva annata di ghiande) che si fermavano grugnendo e frugando col muso lungo il sentiero.

- Rimani qui? - domandò a Sidra, che aveva acceso il fuoco.

- Rimango. Chi è che taglia pietre sul Monte?

- Che ne so io? Sarà qualche pezzente! - disse il padre con disprezzo.

Era un uomo alto, zio Sidru, alto e grosso, barbuto e con lunghi capelli neri. Il suo volto impassibile, d'un pallore grigiastro, pareva scolpito sulla pietra. Ed era taciturno e duro. Pareva che la natura della pietra, fra cui viveva, si fosse identificata in lui. Se parlava era con disprezzo. Da quell'altezza ove passava i suoi giorni, e perché dopo quarant'anni di lavoro poteva vivere indipendente, giudicava gli uomini con disprezzo.

- Chi sarà quel matto che è salito quassù a tagliar pietre? - chiedeva ogni tanto Sidra, come parlando fra sé.

Il pastore stava seduto accanto al fuoco: non faceva nulla, non diceva nulla; solo di tanto in tanto sputava sulla cenere.

Sul tardi, mentre Sidra preparava la cena, s'udì un passo, una cantilena, e fra l'abbaiare feroce del cane, un uomo s'affacciò all'apertura della capanna, salutando:

- Buone ore tarde.

- Buone ore tarde.

- Voi eravate che facevate da tagliapietre? - domandò Sidra, ironica. - Entrate.

- Ero io.

- Entrate.

- Se non me lo dice il vecchio non entro.

- E entra! - disse il pastore, senza muoversi, e sputò.

L'uomo entrò. Sembrava giovanissimo, era piccolo, bello come una luna, bianco, con occhi metallici che penetravano fino all'anima di chi fissavano.

- E perché dunque tagliavate pietre, quassù! Lo dicevo io che doveva esser un matto! - disse Sidra.

Ma nonostante le sue parole beffarde ella faceva la graziosa, i suoi occhi scintillavano, la sua persona sembrava ringiovanita di cinque o sei anni. Il giovine si sedette, si rivolse a zio Sidru.

- Il bisogno, zio Sidru, il bisogno! Voi che avete la saviezza dell'aquila, dite, è da matto far di tutto per il bisogno? È da matto o da savio?

- Da savio.

- Da savio! Giusto. Sentite, zio Sidru, io sono cacciatore di professione. Cacciatore! Benissimo. Ma di caccia non si vive.

- Io ho un'arte in ogni dito! - gridò poi; e sollevando una mano aperta, con l'altra contò le dita, dicendo: - Io tagliapietre, io taglialegne, io falegname, io cacciatore, io tutto! E vivo bene, sapete, zio Sidru, vivo bene.

Zio Sidru taceva; Sidra divorava con gli occhi il giovinotto. Ad un tratto egli si volse a guardarla con quel suo sguardo metallico che la fece arrossire, e sempre rivolgendo la parola al pastore, disse:

- Vivo bene, non mi manca che una moglie. Volete darmi vostra figlia, zio Sidru?

- Matto! - diss'ella ridendo.

Zio Sidru neanche sorrise.

- Come, non rispondete? Non me la date? Se non me la date me la prendo.

- Matto! Matto! - ella rideva deliziosamente. Il padre la guardava severo; poi disse:

- Boele12 cacciatore, se vuoi rimaner con noi a pigliar un boccone in santa pace, sia: altrimenti va al diavolo.

- Come? Lo vedete il vecchio avvoltoio che non vuole? Non vuole? Io credo che vorrà.

Zio Sidru guardava sempre severamente sua figlia: ella se ne accorse e disse al giovine:

- Finitela dunque. Se volete restar a cena con noi, bene, altrimenti fate come volete.

Boele restò a cena e bevette senza scrupoli quasi tutto il vino di zio Sidru, poi se n'andò.

Padre e figlia rimasero soli, e Sidra si dava intorno a far qualche cosa, turbata e imbarazzata.

- Ha parlato sul serio quel giovinastro? - chiese il pastore.

- Non so.

- Ti è venuto mai dietro?

- Mai.

Zio Sidru stette un po' silenzioso, poi sputò sul fuoco, e disse:

- Bene, senti. Tu non sei più tanto giovine e vedi il bene ed il male. Io sono sopratutto prudente. Se lo vuoi piglialo, ma sappi che quello è un'immondezza, un pezzente. E tu sei ricca, e se sai aspettare il tuo stato non ti mancherà. Io lavoro da quarant'anni, vedi, ma non ho lavorato per un pezzente, per un cacciatore tagliapietre! Io quest'anno non ho venduto i porci perché non troppo grassi e perché, vedi, stiamo così che non abbiamo bisogno di venderli magri. Li venderò l'anno venturo, e mille scudi non mancheranno. Capisci, figlia di Dio, mille scudi! Ora fa quello che vuoi, ma quel pezzente è un'immondezza. Io ho parlato. Io sono prudente.

Aveva parlato: tornò a chiudersi nel suo silenzio, col viso fermo come una sfinge.

- Bah, questa predica! Voi siete matto a pensare certe cose! - disse rossa e risentita la figliuola. E si mise ritta, superba, sull'apertura della capanna, scrutando l'immensa notte serena.

 

Tre mesi dopo ella sposò Boele, che dalle carte, nonostante la sua aria giovanissima, risultò dell'età di trentasei anni.

Zio Sidru era prudente, dunque, e non si oppose, e non disse nulla, cupo, taciturno. Lo sposo non aveva che una camicia, una misera veste e un fucile.

Salirono sull'ovile a far il pranzo di nozze. Era sul finire della primavera: il regno della pietra s'era coperto di cespugli fioriti, di rose canine, di asfodelo lucente. Le macchie di ginestra sembravano, da lontano, fuochi un po' pallidi al sole. E il cielo, in alto, sopra le immani roccie macchiate di verde, era puro come l'acqua, e i golfi lontani e le montagne lontane apparivano e lucevano come madreperla.

La festa nuziale, a quell'altezza, in quello splendore di primavera, fu solenne. Fu arrostito un porco intero, e zio Sidru si mise la maschera e s'avvolse il collo e le mani in istracci per estrarre il miele dagli alveari. Le api ronzavano al sole; il cane abbaiava contro qualche vespa che gli pungeva le orecchie. Nella sua felicità, Sidra ogni tanto volgeva al padre un timido sguardo, ma il pastore non le badava.

Boele cantò e si ubbriacò mortalmente, poi, meno male, s'addormentò. Sidra guardava rossa e confusa il volto impassibile di suo padre; ma il padre non le badava.

Al ritorno, a tarda sera, ella disse allo sposo, che camminava ancora barcollante e pallido:

- Cattivo, hai fatto male a fare quello che hai fatto: ah, non dovevi farlo davanti a mio padre.

- E che cosa ho fatto?

- Cosa hai fatto? Lo domandi a me? Ah!

- Ah né ohi! Mi sono ubbriacato, ebbene? Il vino è fatto per gli uomini.

- Ma davanti a mio padre!

- Chi è tuo padre? Un vecchio avoltoio. Forse che non si è ubbriacato quando era sposo, lui? Tu hai paura di lui, vero?

- Vero.

- Ebbene, sta quieta: io lo renderò morbido come una spugna. Egli starà entro il nostro pugno, vedi! - disse Boele, facendo atto di stringer qualche cosa entro il pugno.

Sidra tacque, umilmente.

E Boele mantenne la sua parola. Egli s'arrangiava, cacciava pernici e le spediva a Nuoro, lavorava da maestro di carri paesani, faceva il tagliapietre, ma i guadagni d'un mese li beveva in un giorno. Sua moglie lo manteneva, ma egli del resto la trattava bene, e al suocero dimostrava un'affezione, un rispetto, una obbedienza servile.

E faceva quel che voleva di quell'uomo di pietra, temuto in tutto il paese. Per qualche tempo le cose andarono bene.

In autunno Boele cacciò sei martore, e disse alla moglie:

- Vado a Nuoro per vender le pelli: col ricavo compro del legname e pianto bottega al ritorno. Vedrai che denaro faremo.

Infatti fece da savio, vendette bene le pelli e mise su una piccola bottega: in meno d'un mese fece tre carri, li vendette e diede il denaro a Sidra. Poi le disse:

- Vado di nuovo a Nuoro, e compro di nuovo legname.

Ella, tutta felice nel vederlo pigliar la buona via, gli consegnò il denaro e gli disse:

- Per non stare ogni giorno viaggiando, facciamo così, preghiamo il babbo che ci dia qualche altro centinaio di lire.

- Va bene - gridò Boele con gli occhi scintillanti.

Salirono all'ovile, in un freddo giorno di novembre, e zio Sidru diede i denari.

Sidra non dimenticò mai più quella giornata: le pareva d'esser più felice che nel giorno luminoso del pranzo nuziale. Rimasero una notte e un giorno nell'ovile. Faceva freddo, il vento batteva furioso le roccie, e nelle grigie lontananze, dai golfi lividi, dalle montagne livide, salivano incessanti vapori cinerei. Nel bosco i porci sgretolavano le abbondanti ghiande, e ingrossavano a vista d'occhio.

Nascevano i porcelletti dal muso roseo, dal pelame delicato; e perché alle madri non venisse danno nel metterli alla luce, zio Sidru aveva sotterrato nell'apertura della mandria una reliquia antica. Era un medaglione in forma di nicchia, col vetro, appeso ad una doppia catenella d'argento. Il medaglione era di legno nero, e dietro il vetro si scorgevano strane figure di santi, un'iscrizione greca rovesciata, e pezzi di legno rosso, che per i buoni paesani erano frammenti del sangue coagulato di San Giorgio.

Dopo che zio Sidru aveva sotterrato la reliquia, nessun porcellino era più nato morto: ogni volta che il pastore varcava l'apertura della mandria si faceva tre segni di croce.

Sidra portò in paese due o tre porcelletti ammazzati, li frisse nell'olio e li preparò per il viaggio di Boele. Egli partì. La sposa restò sola nella casetta di pietra sotto il melograno che s'ergeva tutto d'oro sul grigio cielo d'autunno: e lieti sogni per l'avvenire le rallegravano la solitudine. Ma aspetta otto, aspetta dieci, aspetta quindici giorni, Boele non tornava. Sidra diventò pallida, col cuore grosso. Passò un mese e Boele non mandava neppure sue notizie.

Zio Sidru mandava sempre a chiedere se Boele era tornato, e alla fine calò egli stesso in paese. Trovò Sidra più morta che viva: la guardò cupo e triste. Che sarà accaduto di Boele? L'avranno derubato, l'avranno ammazzato? Sarà caduto nel fiume, sarà morto d'accidente per istrada?

Padre e figlia si guardavano desolati, ma non osarono pronunziare la triste verità che loro opprimeva l'anima.

- Bisogna mandare a Nuoro; bisogna sapere, bisogna sapere - diceva Sidra disperata.

- A poco, a poco, non bisogna far scandali, non bisogna far sapere le nostre vergogne a tutto il paese. Vedrò io, manderò io - rispose il padre.

Mandò segretamente un suo compare di battesimo, poi, per divagarla, poiché il tempo pareva mettersi al buono, prese con sé all'ovile la figliuola.

Il compare, intanto, col cappuccio eretto sul capo, galoppava sull'altipiano, scrutando i pascoli verdi, freddi, irrigati d'acqua che brillava al sole come acciaio.

- Poca erba quest'anno, poca erba davvero. Fatelo ritornare vivo o morto, compare, pigliatelo a schiaffi!

- Ah, compare, io non mi perdo la libertà per voi! Ve lo farò tornare, ma non rischierò altro, compare!

- Poca erba quest'anno, davvero poca!

Una sera, sull'imbrunire, zio Sidru e la figliuola stavano accanto al fuoco, nella capanna. Fuori era un gran silenzio di vespro annuvolato, quando il cane si mise ad abbaiare ferocemente, con insistenza. Sidra sentì battere il cuore, ma non disse nulla, e si piegò su sé stessa, rattenendo il respiro. Come in una indimenticabile sera, s'udì un passo; e la figura di Boele apparve.

Sembrava inebetito, lacero, col volto nero, gli occhi spenti.

Entrò, si lasciò cadere per terra, gemendo come una bestia presso a morire.

- Ammazzatemi, - diceva, stendendo le braccia al suolo, - fatemi a pezzi; sono un miserabile, un vile: ho bevuto fino all'ultimo centesimo, il mio e il vostro, tutto, tutto. Ammazzatemi, padre Sidru, spalancate la mano, immergetemi la lesina nella nuca. Uccidetemi ora, ora... in questo momento; altrimenti farò peggio.

Zio Sidru lo guardò dall'alto, ritto, sprezzante, e disse una sola parola:

- Immondezza! - poi uscì.

Sidra si mise a piangere sulla rovina dei suoi sogni.

Boele, bocca a terra, con le braccia aperte, continuò a delirare; a poco a poco le sue parole e i suoi gemiti si confusero, finirono in un rantolo, ed egli s'addormentò d'un sonno febbrile.

Allora Sidra s'alzò e gli frugò le tasche e il petto; non c'era un centesimo. Gli toccò la fronte che scottava, gli mise un sacco sotto il capo, e continuò a piangere.

L'indomani Boele, che aveva la febbre, prese per forza la mano di zio Sidru, gliela baciò, gliela bagnò di lagrime.

- O ammazzatemi o perdonatemi, padre Sidru, io sono un'immondezza, calpestatemi come un'immondezza. Sarò il vostro mandriano, non toccherò più la mia sposa, sarò il vostro servo, davanti a voi non solleverò neanche le sopracciglia.

E tante e tante altre promesse. Zio Sidru era prudente e perdonò.

Tornarono alla vita antica. Boele si diede tutto alla caccia; saliva sui picchi più alti del Monte in cerca d'aquile, cacciava volpi, corvi, donnole, ogni razza infine d'animali. Ritornò allegro, e spesso Sidra lo udiva cantare una quartina che le dava un brivido di tristi ricordi:

 

      Adios, Nugoro, adios,

      Ca parto pro mind'andare,

      E cando b'app'a torrare,

      Sos mortos den esser bios;

      Adios, Nugoro, adios13.

 

- Almeno sia! - ella pensava.

Spesso Boele passava le notti all'ovile, guardando i porci oramai grassi, pronti alla vendita. Zio Sidru aspettava un negoziante del sud; se non si combinava, il pastore contava recarsi egli stesso a Cagliari. Gran parte della sua fortuna, del suo lavoro di quarant'anni, era in quella chedda14 di porci grassi.

- Col ricavo, - pensava, - io comprerò una tanca e passerò tranquillamente il resto dei miei giorni.

Venne il negoziante, ma non si combinò. Allora zio Sidru decise partire. Boele doveva accompagnarlo. Si doveva partire una mattina, all'alba, verso la metà di febbraio. Boele era andato a caccia e mancava da due giorni.

Ritornò la vigilia della partenza, verso sera; aveva gli occhi brillanti, il volto acceso.

- Non è arrivato l'uomo che deve custodire l'ovile durante la nostra assenza? - domandò.

- No, e mi secca perché mancano tre bestie, e mi tocca mettermi in giro per cercarle.

- Andate pure, padre Sidru.

- Ma tu hai gli occhi lucenti come lucciole. Tu sei ubbriaco e ti addormenterai.

- Io non sono ubbriaco e non mi addormenterò. Andate.

Zio Sidru andò. Era una notte di vento, di nuvole, ma chiara come un crepuscolo. La luna passava dietro le grandi nuvole di rame dorato che coprivano il cielo; si scorgeva ogni rupe, ogni macchia scossa dal vento sonoro.

A una certa distanza dall'ovile, zio Sidru credé trovar le traccie delle tre bestie scomparse, e un'orma di piede umano.

- Oh, - gridò fra sé, - me le hanno rubate, dunque? Ma io saprò seguirti, volpe senza coda!

E seguì le traccie, sicuro che nell'ovile Boele vigilava.

Cammina di qua, cammina di , zio Sidru perdé quasi tutta la notte invano. Poi la luna tramontò, le nuvole si fecero nere, il pastore non vide più nulla e ritornò all'ovile. Da lontano udì il cane abbaiare furiosamente, destando echi cavernosi. Pareva la voce d'un demonio incatenato fra le roccie, e zio Sidru provò una sorda inquietudine. Affrettò il passo: a momenti il cane si chetava, ma poscia ritornava a urlare con più forza.

- Esso mi chiama, - pensava zio Sidru, - che cosa diamine accade lassù? Cosa fa quel pezzente, quel cacciatore di cornacchie?

Si mise a correre: il vento gli sferzava le spalle, il fianco, i capelli; il cuore cominciò a battergli forte. Arrivò ansando all'ovile. L'ovile era vuoto, i porci scomparsi, scomparso Boele. Solo il cane, solo gli urli rauchi e rabbiosi del cane, animavano la buia solitudine.

Zio Sidru si morse le dita, s'aggirò intorno come un forsennato, gemendo e parlando fra sé.

- Egli mi ha derubato, egli mi ha assassinato. Aveva gli occhi brillanti, il volto rosso. Egli pensava da molto tempo a derubarmi, a rovinarmi. L'infame immondezza! Ha preso questa via, è partito appena mi sono allontanato, ed ora è lontano, lontano assai, il cacciatore di cornacchie! Egli venderà i miei porci, egli beverà il mio lavoro, il mio sangue! Egli? Oh, prima gli cascheranno gli occhi. Io t'inseguirò, ti taglierò la via, ti metterò sette palle nel cuore, pezzente ladro!

Neanche per un momento, venne a zio Sidru l'idea di denunziare Boele alle autorità. Ah, egli si sentiva prudente anche in quella terribile occasione; e poi si sentiva capace di far tutto da sé. E non una parola di rimprovero contro Sidra, causa prima di tutte le sue disgrazie.

Non perdé un minuto di tempo. Una linea verdognola, che tagliava le nuvole fra il cielo ed il golfo d'Orosei, annunziava l'alba. Il vento andava chetandosi, e solo le cime dei cespugli si curvavano qua e appena illuminate. Il freddo era acuto. Zio Sidru s'avviò per istrada, incontrò l'uomo che doveva custodire l'ovile e che gli recava un cavallo per il viaggio. Gli tolse il cavallo, gli raccomandò di guardar bene l'ovile e le poche bestie rimaste, e che Boele era già partito coi porci. Montò a cavallo e proseguì. Giunto davanti a casa sua si fermò, batté forte sulla porta col calcio del fucile, ed attese senza smontare da cavallo. Sidra aprì.

- Senti - disse zio Sidru a voce bassa, curvandosi sulla sella. - Tuo marito mi ha rubato tutti i porci, stanotte, e va a venderli e a ubbriacarsi. Senti...

- La giustizia... - cominciò a gridare Sidra, diventando pallida come tela.

- Non gridare, donna! La giustizia me la faccio io - disse il padre, battendosi una mano sul petto. - Ora vado, gli taglio la via, lo schiaccio come una lucertola. Tu sta tranquilla. E sta zitta.

- Ma aspettate... ma raccontatemi, padre... ditemi...

Egli era già lontano.

Sidra chiuse la porta. Tremava tutta, i denti le battevano forte forte, la morte le stava davanti agli occhi.

 

- FINE -

 





10 Isidora.



11 Pensa al male.



12 Raffaele.



13 Addio, Nuoro, addio,

     Ché parto per andarmene,

     E quando ritornerò

     I morti saranno vivi;

     Addio, Nuoro, addio.



14 Grosso branco.

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