Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La via del male
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La notte tra il sette e l'otto settembre un gruppo di fanciulle nuoresi percorreva i sentieri mal tracciati che, attraverso tancas, pascoli aperti e boschi di querce, conducono dalle campagne di Nuoro al monte Gonare.

Le graziose pellegrine notturne si recavano a piedi al santuario che sorge sulla cima del monte Gonare; alcune intendevano di sciogliere un voto, altre domandare una grazia, le più volevano semplicemente divertirsi. L'indomani si celebrava la festa: gente di ogni paese del circondario sarebbe salita a Gonare; c'era da vedere, da ballare, da divertirsi.

Ciascuna delle pellegrine portava seco un piccolo involto con la colazione e il desinare, e teneva gettata sul braccio o sull'omero la tunica di gala da indossarsi solo lassù nel luogo della festa. Alcune camminavano scalze, per voto; una aveva i capelli sciolti sulle spalle e un cero dipinto in mano. Era Maria Noina, che scioglieva un antico voto.

I lunghi capelli neri le ondeggiavano sulle spalle, inumiditi dalla rugiada; la brezza talvolta glieli scompigliava, gettandoglieli sul viso, ma questo fastidio le veniva poi compensato dalla soddisfazione di sentirsi lodare dalle sue compagne di viaggio.

«Sembri una fata, Maria Noina, coi tuoi capelli sciolti

«Sembrano i capelli di Mariedda, i tuoi capelli, Maria Noina

Mariedda è la fanciulla delle favole, rapita dall'orco; i suoi capelli erano così lunghi ch'ella gittò la sua treccia dalla finestra e il figlio del re se ne servì come d'una corda per salire fino a lei.

«Dio guardi i tuoi capelli, Maria Noina: lascia ch'io li tocchi Per evitarti il malocchio...»

«Preghiamo», propose Rosa S'ispina, invidiosa delle lodi che le compagne rivolgevano a Maria.

Questa guardò una stella che tremolava sopra il santuario del monte Gonare, e intonò a voce alta il rosario.

Ma la prima a ridere scioccamente fu Rosa, e le compagne non poterono proseguire. Allora Maria propose che ciascuna pregasse per conto proprio, e tutto fu silenzio.

La luna illuminava il vasto paesaggio desolato, le grandi tancas inaridite dall'estate e qua e annerite da recenti incendi. Qualche fuoco di pastore perduto in quelle solitudini melanconiche appariva misterioso come un fuoco fatuo, come una lingua rossa emergente dalla terra nera, dietro i muricciuoli o fra le stoppie rase e l'asfodelo secco; e in lontananza, da qualche piccola palude formatasi dopo le prime piogge di settembre, saliva una nebbiolina azzurrastra che pareva l'alito della terra febbricitante. Intorno, pel vastissimo circolo dell'orizzonte, le montagne svanivano azzurre nella vaporosità lunare, e su tutte le cose arcanamente tacite vegliavano le stelle, vive sul cielo chiaro e profondo.

Le ragazze camminavano e camminavano, bianche di luna, silenziose e raccolte; i capelli di Maria volavano alla brezza, e pareva volessero staccarsi, seguire il soffio che li accarezzava; ma poi ricadevano sulle spalle della giovine donna, come stanchi e pentiti del loro capriccio.

D'un tratto le ragazze si fermarono, ascoltando. Nel profondo silenzio che precedeva l'alba s'udiva il trotto di parecchi cavalli. Un'eco di voce umana giungeva con la brezza. Chi sarà, chi non sarà? Ecco, sull'ultima linea azzurrognola della tanca si profila una lunga macchia nera che a poco a poco s'avvicina, si divide; ombre di cavalli e di uomini s'allungano sulle stoppie illuminate dalla luna.

«È gente che va alla festa», disse Maria.

Uomini e donne in costume, i primi con l'archibugio ad armacollo, le altre sedute sulla groppa o in sella o a cavalcioni di piccole achettas8, apparvero e circondarono le ragazze ferme fra le stoppie.

Nella carovana si distingueva fra tutti un giovine paesano, che montava una calabrina9 bianca, alta, irrequieta, dalla testa fina e la coda abbondante.

Il giovinotto non era bello, ma aveva una cert'aria di fiera distinzione: col cappottino nero di orbace e di velluto, dal cappuccio rigettato sulle spalle, il fucile scintillante alla luna, la cintura ricamata, gli sproni sopra le ghette che disegnavano due gambe nervose, la sua figura ricordava i cavalieri erranti, o i boriosi hidalghi spagnuoli.

Era infatti un principale, cioè uno di quei ricchi paesani che formano tutta una razza caratteristica, vantano una certa nobiltà di sangue, ed anche un po' di coltura.

«Salute, le nuoresi», cominciarono a gridare i sopraggiunti, fermando i cavalli vicino alle fanciulle.

«Salute, Nuoro

«Volete venire in groppa? Volete da bere?», chiese un vecchio galante, piegandosi su un fianco per estrarre dalla bisaccia una zucca piena di vino.

«Grazie», disse vivacemente Maria. «Il vino bevetelo voi, o datelo alle vostre donne, che possano cascare dalla groppa dei vostri cavalli! Così al ritorno potrete pigliar noi.»

«Brava!», gridò il vecchio. «Vedi che seguo il tuo consiglio!» E mise la zucca sulla bocca e arrovesciò la testa fin sulle spalle per bere meglio, mentre le donne sedute sui cavalli rimbeccavano Maria con parole argute.

«Salute, Maria Noina; vai tu pure alla festa?», chiese il giovinotto dalla cavalla bianca, curvandosi sulla sella, e parlando piano. «Che bel manto ti copre le spalle; Dio guardi i tuoi capelli. Mi dispiace non poterli toccare

«Salute, Francesco Rosana», ella disse, sollevando il viso e scuotendo indietro i capelli che le arrivarono fino alle anche. E finse di veder solo allora il giovine.

Egli la guardava dall'alto con due occhi avidi; ma incontrando lo sguardo un po' malevolo e beffardo di lei, si fece timido, si raddrizzò in sella e rallentò il freno alla cavalla.

«Franziscu», disse allora Maria, provocandolo, «al ritorno mi prenderai in groppa al tuo cavallo

Francesco si volse di scatto e gridò con impeto:

«Magari subito! Vieni?».

«Ora no: al ritorno

«Va bene! Buona festa, ragazze», egli disse, raggiante di felicità.

La cavalla sparava calci, si sbatteva la coda sui fianchi, mordeva il freno. Francesco dovette allontanarsi, seguire i suoi compagni; ma per lungo tratto tenne il viso sorridente rivolto verso Maria.

«La cosa è fatta!», disse malignamente Rosa.

«Che cosa?»

«Il matrimonio. Non vedi che egli è innamorato come una donna

«È brutto», disse Maria.

«Chi disprezza compra

«È consigliere comunale

«È ricco

«Ha quattro tancas: fra poco ne attraverseremo una.»

«È brutto, è brutto. Ha gli occhi belli, ma non guarda mai in viso: ha il naso che sembra il becco d'un avvoltoio

«Chi disprezza compra...»

Maria pensava a Pietro, lontano, solo nella vigna. E sentiva che era giunto il momento di sacrificarlo, e provava pietà di lui, ma come d'una vittima necessaria. Che colpa ne aveva lei? Sapeva forse lei che Francesco Rosana le sarebbe apparso quella notte in mezzo alle tancas, mandatole incontro dal destino?

Cammina, cammina. Ecco, così si cammina nella vita, senza sapere chi si deve incontrare nella propria strada.

L'alba di cristallo perlato risplende dietro le creste lontane dell'Orthobene, dietro le azzurre montagne d'Oliena; lentamente si colorisce di rosa, e le stoppie cominciano a scintillare umide di rugiada: la brezza tace, l'allodola canta nascosta fra le macchie.

Le fanciulle tacevano, e si fermarono ancora una volta nella tetra spianata che circonda la vecchia e misteriosa chiesetta dello Spirito Santo; alcune si lavarono nell'acqua di una pozzanghera stagnante fra giunchi umidi, poi ripresero la via, sempre silenziose, avvolte dal vago splendore dell'ora mattutina.

Cammina, cammina. Maria pensava sempre a Pietro ed a Francesco: il primo s'allontanava dietro di lei, sempre più, sempre più, nello spazio silenzioso; Francesco s'avvicinava, la chiamava, l'aspettava, lassù sulla montagna, avido e avvincente come un avvoltoio.

Così ella seguiva sognando le sue compagne, senza guardare il paesaggio. Attraversarono campi coperti di macchie di rovi e di prugni selvatici, cariche le prime di more lucenti e le altre di bacche violette: passarono fra gruppi di rocce enormi dalle cime forate, battute dal luminoso chiarore dell'aurora. Maria si scosse quando vide le falde della montagna, coperte di boschi che ondeggiavano dorati dal sole nascente. In cima al monte il santuario si profilava grigio fra le rocce rosee di sole, sul cielo azzurro.

Le ragazze s'inginocchiarono e fecero una breve preghiera.

Maria trasse di tasca un pettine, e aiutata dalle compagne si districò e lisciò i capelli; poi ripresero tutte assieme la salita e s'internarono nel bosco di querce rade e nane.

Soltanto allora cominciarono a incontrar gente: gruppi d'uomini, donne, fanciulli di Bitti e d'Orune, a piedi o a cavallo, scendevano dopo aver ascoltato la prima messa e ritornavano ai loro paesetti lontani, perduti fra i monti selvaggi al nord di Nuoro. Gli uomini, scuri in viso, con fieri occhi neri, vestiti di orbace, di saia, di cuoio, ricordavano i mastruccati, ladroni di Cicerone; le donne indossavano costumi ruvidi, di orbace e di panno giallo, non privi però d'una primitiva eleganza.

«Salute, Nuoro!», dissero i bittesi con la loro pronunzia latina.

«Salute, Orune; salute, Bitti», risposero le ragazze.

Più in alto incontrarono gente di Olzai, paese noto per il caratteristico sentimento religioso dei suoi abitanti; una donna olzaese, pallida e severa come una monaca, raccontava a una deliziosa fanciulla di Gavoi, dal cappuccio rosso, la leggenda di Santa Barbara.

«La Madonna di Gonare e la nostra Santa Barbara (in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, così sia)», diceva l'olzaese, segnandosi, «si sono incontrate proprio qui, in questo punto. Si guardarono, si strinsero la mano, poi la Madonna disse:

 

Barbaredda de Orzai,

Ube nos an a ponner

No nor bidimus mai10»

 

Infatti il santuario della Madonna di Gonare si vede da tutto il circondario fuorché dalla chiesa di Olzai, dov'è Santa Barbara.

A poco a poco la montagna si popolava; su per i sentieri saliva una folla variopinta: i paesani, le donne, i pastori d'Orane, il villaggio più vicino, formavano quasi una processione.

Sotto le querce nane, nel bosco un po' arido e selvatico, risuonavano mille voci, dall'alto arrivavano grida di fanciulli, di venditori ambulanti, di gente allegra.

Maria si trovò fra la calca, in mezzo a un gruppo d'uomini che ammirandola oltre il necessario le rivolgevano frasi galanti e scherzavano a proposito dei suoi capelli sciolti.

«Sembrano la coda della mia cavalla nera; guarda, Predu Maria, guarda

«Custa pizzinna11 sembra davvero la tua cavalla quando le mosche la molestano

«Peccato che non si lasci mettere il freno

«Predu Maria, prova a montare in sella

Maria arrossiva, ma fingeva di pregare, e non rispondeva.

La folla aumentava: da tutti i sentieri, da ogni sfondo di bosco, affluivano cavalli, pedoni, carri tirati da buoi, cani, mendicanti; era gente della Barbagia, erano nuoresi superbi, belle fanciulle di Orane, rosee nella loro benda bianca, donne di Mamojada dal corsetto rosso, pastori d'Orgosolo col costume lanoso e primitivo dei Sardi pelliti: erano azzimati Dorgalesi dai lunghi riccioli, e donne d'Oliena con gl'immancabili cavalli carichi di vino. E salivano anche i Baroniesi dalle calzature di pelle, e tra la folla si distingueva qualche donna del Goceano, pallida e coi grandi occhi arabi, e qualche donna del Campidano, col fazzoletto giallo spiegato sul capo, dorata e rosea in viso come una Madonna bizantina.

Il sole era già alto e penetrava nel bosco quando Maria e le compagne arrivarono all'accampamento dei venditori, intorno alle catapecchie ove qualche famiglia di Nuoro e di Orane passava il tempo della novena.

Prima di fare l'ultima salita fino alla chiesa le fanciulle deposero i loro fardelli e sedettero a piedi d'un albero. Maria guardò se vedeva Francesco, ma fra i numerosi cavalli legati agli alberi non vide la calabrina bianca.

Allora si distrasse alquanto, scosse indietro i capelli e si guardò attorno.

Il luogo non era bello; gli alberi gettavano ombre rade sulla china sparsa di macchie aride, di cespugli grigiastri; fra queste ombre e queste macchie tutto un popolo si agitava, e credeva di divertirsi soltanto perché era convenuto lassù.

I venditori ambulanti vigilavano le loro mercanzie di latta, e gridavano i prezzi e lanciavano scherzi grossolani alle ragazze che passavano; donne di Tonara, strette fasciate in un ruvido costume, insensibili al sole e ai rumori della folla, misuravano nocciuole o segavano e vendevano i loro torroni bianchi che si scioglievano al caldo.

Sotto capanne di frasche i negozianti esponevano le loro stoffe d'occasione; lo scarlatto sanguinava al sole, i broccati scintillavano; tutta una flora inverosimile sbocciava sui fazzoletti e gli scialli paesani.

E intorno alle botti e alle bottiglie dei liquori si accalcavano comitive d'uomini, di amici nuovi e d'amici vecchi incontratisi per caso lassù, e fra i quali spiccava con bizzarro contrasto la figura di qualche borghese. E il vino e i liquori rallegravano l'anima dei fieri paesani: e l'acquavite odorava con un profumo di fiore fatale.

Maria e le compagne mangiarono e poi indossarono la tunica e si avviarono nuovamente verso la chiesa.

Il sentiero s'allargava, aspro, a scalinata, quasi tutto tagliato sulla roccia, fra massi enormi e macchie e alberi sempre più selvaggi e contorti. I costumi colorati delle donne sfolgoravano sullo sfondo luminoso della salita; le voci si perdevano nel silenzio puro delle cime incoronate d'azzurro.

Ma intorno a sé Maria continuava a sentire delle frasi sciocche, qualche volta indecenti; i giovinotti correvano per vederla, si fermavano, la fissavano; era tutta un'esplosione di ammirazione primitiva, che offendeva e lusingava la bella dai capelli sciolti.

Qualcuno domandava:

«Di dove è quella ragazza?».

«Di Nuoro

«No, è d'Orane

«No, è d'Orotelli

«Di dove sei, bella

«Di casa del diavolo», rispose Rosa, seccata e invidiosa.

Tutti risero e si misero a gridare:

«Viva Nuoro!».

I mendicanti, fermi presso le croci che sorgevano di tratto in tratto ai lati del sentiero, tendevano la mano e cantavano con voce cadenzata una specie di lamentazione dolorosa. Nessuno ascoltava le loro parole, ma quasi tutti buttavano monete nei berretti deposti per terra.

Maria gettava anch'essa una moneta ad ogni mendicante.

Appena raggiunta la vetta, le ragazze nuoresi entrarono nella vecchia chiesa, già gremita di fedeli, e Maria poté appena aprirsi un varco tra la folla e arrivare fino all'altare.

Il caldo era intenso, e il volto della fanciulla ardeva, bellissimo nella cornice dei capelli sciolti.

Francesco Rosana, appoggiato alla balaustrata dell'altare, si scosse tutto nel vederla, e la fermò toccandole dolcemente il braccio.

«Sei arrivata adesso?», le domandò con voce sommessa.

«Adesso», ella rispose, avanzandosi senza guardarlo.

Depose il cero, s'inginocchiò e volle pregare.

«Maria mia di Gonare, ecco sciolto il voto che feci quando mio padre cadde da cavallo. Tu lo hai salvato, Maria, ed io sono venuta scalza ed a capelli sciolti, e ti ho portato un cero di tre libbre... Maria di Gonare, sii lodata...»

Non seppe dir altro, sebbene nel cuore le fremesse un'onda di preghiera. Ma non osava formulare gli oscuri desideri del suo cuore. Avrebbe voluto chiedere alla Madonna di Gonare la grazia di farle dimenticare subito Pietro ed amare colui che la fissava ardentemente, , pochi passi distante; ma non osava.

Tre sacerdoti vestiti di bianco e d'oro intonarono la messa: un adolescente con una giubba rossa si mise vicino a Maria, col turibolo acceso che oscillava e fumava.

Allora la folla si accalcò fin sui gradini dell'altare, e Maria dovette alzarsi in piedi. Qualcuno le sfiorò la mano; ella si volse, vide Francesco alle sue spalle e sorrise; allora egli fece di tutto per mettersele vicino, e quasi la cinse e l'abbracciò.

La folla aumentava sempre. Volgendosi, Maria scorgeva un'ondulazione di teste variopinte, e attraverso la porta spalancata, in un quadro di luce vivissima, vedeva altra folla, altra folla ancora, stretta, pigiata sulla spianata della chiesa e sui dirupi intorno. Ella non aveva mai veduto uno spettacolo più importante, un quadro più luminoso e colorato, neppure nei giorni della settimana santa nella cattedrale di Nuoro. Erano costumi e tipi di quindici o venti villaggi; vecchie teste ieratiche di pastori; figure di nobili, aristocratiche come figure di duchi autentici; profili bronzini di isolani delle montagne; lunghe capigliature preistoriche; visini di cammeo, occhi saraceni neri e profondi come la notte; bocche rosse e guance pallide; teste avvolte in bende gialle, nere, bianche, coperte da cappucci, acconciate all'orientale, nascoste da larghi fazzoletti frangiati, velate di merletti, inquadrate da bende dure inamidate.

Qualche altra donna coi capelli sciolti appariva tra la folla, ma nessuna aveva la magnifica chioma di Maria: quando, all'Elevazione, ella si inginocchiò, spingendosi verso il sacrista rosso, i suoi capelli sfiorarono il suolo.

Francesco non cessava un momento di guardarla, e talvolta i loro occhi s'incontravano. Ella pensava sempre a Pietro; nei momenti di distrazione e di sogno vedeva davanti a sé i dolci occhi chiari che l'avevano guardata come nessun altro uomo avrebbe saputo più guardarla; ma volgendosi incontrava gli occhi neri e vivi di Francesco e li fissava con abbandono e con tristezza.

Sì, il sogno era finito; la realtà cominciava. D'altronde ella si sentiva triste, ma non molto. Francesco era brutto, ma aveva una fisionomia dolce, buona, che inspirava confidenza.

Tutto non si può avere, nella vita: bisogna sapersi contentare...

I fedeli cantavano i Gosos12, con un motivo melanconico che pareva il lamento di un popolo abbandonato:

 

Sas roccas distillan perlas,

Sas mattas grassias e donos;

Cun milli boghes e tonos

T'acclaman sas aes bellas

Sas relughentes istellas

Falan prò t'incoronare.13

 

 





8 Cavalle.



9 Cavalla.



10 «Barbarina di Olzai / Dove ci metteranno / Non ci vedremo mai.»



11 «Questa ragazza



12 Laudi sacre in onore della Madonna.



13 «Le rocce stillano perle, / Le macchie grazie e doni; / Con mille voci ed accenti / T'acclamano i vaghi uccelli; / Le rilucenti stelle / Scendono per incoronarti



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