Grazia Deledda: Raccolta di opere
Grazia Deledda
La via del male
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Era la vigilia delle nozze di Maria.

La facciata e le stanze della casetta erano state imbiancate e messe a nuovo. Nella cucina le masserizie splendevano, accuratamente pulite; le casseruole sembravano d'oro e i coperchi d'argento, così almeno affermava zia Luisa.

Anche la balaustra della scala e del ballatoio, strofinata con cenere ed olio, luccicava al riflesso del tiepido sole di febbraio.

Dopo le ultime piogge, il tempo s'era raddolcito; si sentiva già la primavera, e nel cortile e nella casetta gaia degli sposi l'aria pareva ancor più tiepida, piena di carezze e di promesse.

Nel focolare e sui fornelli le caffettiere grillavano, nelle stanze superiori della casa spandevasi un forte profumo di dolci e di liquori; sui tavolini, sui letti, sulle sedie, su tutti i mobili stavano grandi vassoi contenenti torte dai vivi colori e gattòs, specie di piccole costruzioni moresche di mandorle e miele.

Nel cortile e nelle stanze terrene era un continuo viavai di gente; ogni momento il portone s'apriva per lasciar entrare donne in costume, attillate, che recavano sul capo torte e gattòs e soprattutto corbe d'asfodelo ricolme di frumento, dal cui oro polveroso emergevano bottiglie di vino rosso e giallo turate con mazzolini di fiori.

Questi presenti venivano mandati agli sposi dai parenti, dagli amici e dai servi dei Noina e dei Rosana.

Sabina prendeva garbatamente i vassoi e le corbe, e mentre un'altra parente dei Noina conduceva le donne in una stanza dove venivano serviti dolci e liquori, ella entrava nella dispensa e vuotava il grano, riponeva le torte, e nei recipienti da restituirsi ai donatori metteva un bel pezzo di carne bovina, un cuore di pasta dolce e di mandorle ed altri pasticcini in forma di uccelli, di fiori, di triangoli.

Una ragazza dai capelli rossi, seduta davanti ad una tavola ingombra di pezzi di carne e di mazzolini di fiori, scriveva su una striscia di carta i nomi dei donatori.

Sabina entrava, dettava, vuotava il frumento ed il vino:

«Zia Maria Rosana una torta di mandorle».

«Il signor Antonio Maria Zoncheddu un presente di grano

«Donna Grazia Casula un presente di grano e un gattò... presto, scrivi, svelta, Caderiné; sembri una gatta morta

Caderinedda scriveva con calma e non rispondeva: ma appena si trovava sola balzava di qua e di , rubacchiava quanti più dolci poteva e se ne riempiva le tasche, il seno, le calze...

Maria in quei giorni aveva l'obbligo, per lei intollerabile, di non far niente: tutta vestita a nuovo, con una camicia bianca come la neve, un fazzoletto a fiorami, e un cordoncino nero intorno al collo, ella se ne stava seduta accanto ad un braciere colmo di brage e chiacchierava con le parenti dello sposo.

Le donne che recavano i doni le stringevano la mano, si curvavano su lei augurandole «tanti punti di buona fortuna quanti chicchi di grano le portavano», poi andavano a bere il caffè.

Maria ringraziava con sussiego, dicendo fra sé che non tutti gli auguri erano sinceri; zia Luisa invece riceveva le donne con affabilità aristocratica, costringendole a servirsi abbondantemente di dolci, caffè e liquori.

Maria disapprovava questo «fare splendido» della madre; anzi a un certo momento attirò zia Luisa nella camera attigua e le disse:

«Ma lasciate che prendano quel che vogliono e non vuotate il vassoio nel loro grembiale!».

«Lascia fare, figlia», disse zia Luisa, accomodandosi la benda intorno al capo. «Questi son giorni rari nella vita: bisogna festeggiarli...»

Non aggiunse che giusto in quei giorni occorreva «mostrarsi splendidi» per far capire alla gente che la famiglia Noina era ricca; ma la sposa lo indovinò e non insisté.

«Maria», chiamò una graziosa fanciulla, cugina del fidanzato.

Maria le andò incontro e le strinse la mano, poi l'accompagnò fino alla scala, la seguì con gli occhi e la vide fermarsi a chiacchierare con Sabina.

«Sei lieta, Sabina», disse la fanciulla.

«Sicuro che son lieta», l'altra rispose.

«Eh, domani verrà anche Pietro Benu

«Lascia che venga», disse Sabina con finta indifferenza.

«Non ti fa piacere che venga?»

«Venga o no, per me è la stessa cosa!»

«Come sei furba, Sabì! Come sai fingere bene...»

Sabina sorrise, poi andò incontro ad un'altra donna, prese la córbula17, entrò nella dispensa. Un'ombra le oscurò il viso. Pietro sarebbe venuto? Perché? Che voleva?

«Ah», pensava Sabina, «vorrò ben vederlo

Pietà, paura, rancore e speranza la animavano. Ella non osava confessare a se stessa che, dopo il fidanzamento di Maria, la speranza e la pietà avevano di nuovo acceso in lei la fiamma di un amore pronto al perdono ed all'oblio.

Per un tacito accordo il nome di Pietro non era più stato pronunziato fra lei e Maria; e Sabina scusava la ricca cugina per il suo breve errore, e perdonava perché sperava.

Ora egli tornava. Da mesi Sabina non l'aveva più riveduto. La notizia della sua visita ai padroni, nel giorno delle nozze di Maria, la inquietava, ma in fondo al cuore le ridestava una vaga speranza. Ella sarebbe stata pronta a guardarlo con occhi pietosi; forse egli sarebbe ritornato a lei.

Con questi pensieri per la mente ella continuò fino a tarda sera a raccogliere i presenti; le toccava anche di segnarli perché la ragazzetta, sazia e imbottita di dolci, aveva abbandonato il suo posto.

Verso l'imbrunire giunse il fidanzato. Sbarbato, attillato, con le scarpette che scricchiolavano, le brache bianchissime. Sembrava quasi bello: i suoi occhi splendevano di gioia e di desiderio.

Ma la sposa era alquanto turbata e lo accolse quasi con freddezza.

La notizia della visita di Pietro l'inquietava e la rattristava. Che voleva, che veniva a fare il disgraziato?

Dopo la sera della sua scarcerazione Pietro non era più tornato. Con sua grande meraviglia Maria aveva un giorno ricevuto, per mezzo del bettoliere toscano, una lettera, con la quale Pietro la supplicava di dargli un convegno.

«Tutte le sere, alle undici, io passerò davanti al tuo portone; aprimi, se hai ancora un cuore di donna

Ella non aveva risposto, non aveva aperto: egli non s'era più lasciato vedere. Che veniva ora a fare? Che voleva? Si era rassegnato, o coltivava progetti di vendetta?

«Forse», pensava Maria, «forse era meglio lasciarmi vedere, convincerlo, domandargli scusa... D'altronde, se egli avesse voluto vendicarsi avrebbe potuto farlo prima. Forse domani neppure verrà: sarà stato uno scherzo di Tatana a Sabina

Ma intanto aveva paura e suo malgrado un pensiero poco pietoso le attraversava la mente:

«Ah, non potevano tenerlo dentro ancora un po'? Come c'è stato tre mesi poteva starci quattro. Non per desiderargli del male... ma per la pace di tutti... Se usciva di carcere dopo le mie nozze, forse si sarebbe rassegnato più facilmente».

Ecco, quattro mesi di lontananza avevano finito di smorzare il fuoco indegno che le aveva acceso disgraziatamente il cuore. Non amava Francesco, ma le pareva d'aver dimenticato Pietro: il suo cuore, guarito dal terribile male dell'amore, sonnecchiava con dolcezza, come un convalescente.

«No», diceva a se stessa, «non devo aver paura. Pietro non è capace di fare del male. Io, meglio d'ogni altro, lo so

Mille piccole cure, d'altronde, la occupavano e la distraevano. Dopo lunghe discussioni, ella e Francesco avevano deciso di restare presso la famiglia di lei: in tal modo la casa dello sposo, affittata, poteva rendere un centinaio di scudi, e Maria, restando presso i parenti, avrebbe goduto meglio la sua felicità. C'era l'utile e il dolce.

Francesco finì con l'accettare.

La camera di Maria fu rimessa a nuovo, tinta d'azzurro e di rosa: il letto nuziale fatto venire da Sassari, le sedie, i quadri, lo specchio, formavano la meraviglia di tutto il vicinato.

Per mesi e mesi non si parlò d'altro.

Del resto la fama della camera e del corredo di Maria varcò i confini del misero vicinato; destò persino l'invidia e le critiche dei borghesi, tanto più che le cose venivano esagerate: si diceva che la sposa di Francesco Rosana avrebbe indossato il costume delle dame paesane, cioè gonna di panno ricamata in oro, e corsetto con bottoni d'oro; e che si sarebbe messa i guanti e su junchillu18.

Tutto ciò era falso; ma queste dicerie lusingavano Maria. Ella viveva di queste piccole vanità.

 

La mattina delle nozze ella si alzò più presto del solito e si lavò tutta, chiudendo forte la bocca per non inghiottire qualche goccia d'acqua, poiché doveva comunicarsi durante la cerimonia nuziale; poi si vestì, e calzò un paio di stivaletti lucidi, che le strinsero un po' i piedi, ma glieli resero piccoli ed eleganti.

E per qualche momento stette a guardarseli con compiacenza infantile, poi chiamò Sabina e sollevò alquanto le sottane.

«Guarda come sono bellini i miei piedi», le disse, con la sua solita voce un po' ironica.

Sabina spalancò la finestra e si volse pensierosa a guardare la cugina. La luce di una limpida giornata inondò la vasta camera rosea; i paesaggi incrostati di madreperla, dipinti sulla testiera del magnifico letto, si tinsero d'un riflesso d'aurora. Nel cortile garrivano le rondini, i galli cantavano ancora. Tutto annunziava pace e letizia.

Nella camera attigua zio Nicola sbadigliava rumorosamente. E già qualcuno picchiava al portone.

«Presto, puliamo la camera», disse Sabina, già rimettendo in ordine ogni cosa. «È una bellissima giornata. Buon augurio

«Senti come scricchiolano», riprese la sposa, intenta ai suoi stivaletti. «Sembrano le scarpe di Francesco. Come sono stretti, però! La gente mormorerà, vedendomi calzata con stivalini lucidi! Che ne pensi

Sabina sorrise, un po' sdegnosa. Possibile che Maria non avesse altre preoccupazioni, quella mattina? Perché era così leggera? Beata lei che poteva dimenticare, e vivere di piccolezze!

Ma no; d'un tratto il bel viso calmo e sorridente della sposa si oscurò, i suoi occhi diventarono quasi tristi. Sabina la guardò e le chiese con ironia:

«Ti fanno male i piedi?».

«No, ma pensavo...»

«A che pensavi? Tira un po' la coperta, così: ecco il guanciale. Non s'è visto mai un più bel letto di sposi

«Pensavo... Francesco vuol condurmi al suo ovile, in primavera. Resteremo una quindicina di giorni. Verrai tu a tener compagnia a mia madre

«Vedremo. Togliti di che spruzzo d'acqua il pavimento. Presto, presto; levati di . 'Sciú, 'sciú19...»

Sabina spazzò e Maria passò nella camera attigua. Zio Nicola intanto s'era alzato, aveva indossato il costume delle feste, e già andava e veniva, attraverso il cortile e la cucina, strascicando il suo bastone e dando ordini e contrordini che non venivano eseguiti. In cucina zia Luisa, più impassibile e solenne del solito, chiacchierava con qualche donnicciuola del vicinato.

«Che meraviglia di presenti, zia Luisa», le dicevano queste vicine, adulandola; «non s'è mai visto una cosa simile. Ma che «trattamento», il vostro, anche! Siete veramente splendidi

«Eh, queste occasioni capitano raramente nella vita. Eppoi, quando la roba c'è, perché mostrarsi avari? Grazie a Dio la roba c'è.»

«Ah, certo, Dio ve la benedica

Rimesse in ordine le camere, Maria e Sabina scesero in cucina, inseguendosi per le scale e ridendo come bambine. Le vicine ammirarono subito i piedi della sposa.

«Sembrano due penne da scrivere, tanto sono piccini», dissero chinandosi per veder meglio.

Sabina offrì scherzando a Maria una tazza di caffè e latte.

«Non lo vuoi? Allora lo bevo io.»

E siccome Maria sbadigliava, una vicina le disse maliziosamente:

«Va , stanotte non digiunerai».

Ella arrossì e scappò via. Ritornò nella sua camera e cominciò a preparare le vesti da sposa. Intanto zio Nicola e un fratello di zia Luisa erano andati a prendere lo sposo per condurlo in casa della fidanzata.

Le sorelle di Francesco, che dovevano vestire Maria, non tardarono a giungere, e benché fossero vestite da spose, con ricche tunicas pesanti e cinture e corsetti strettissimi, e con le mani coperte di anelli, compirono il loro obbligo.

Ritta davanti allo specchio, Maria non rifiniva di guardarsi, girandosi e rigirandosi, torcendo il collo per vedersi alle spalle; ma la luce dello specchio era falsa, rendeva l'immagine rimpicciolita e irregolare, ed ella non rimaneva soddisfatta della sua bellezza ed eleganza.

Ma più che lo specchio, ne la persuase lo sposo quando, entrando d'improvviso, si fermò a guardarla con occhi scintillanti.

«Come sei bella!», esclamò.

Vestita da sposa, coi fianchi prominenti, la vita fortemente stretta da una cintura d'oro, e il busto ben disegnato dal corsetto di raso bianco ricamato, ella era davvero d'una bellezza splendente: la benda bianca che lasciava trasparire il colore roseo della cuffietta, e non nascondeva i lunghi pendenti di corallo, le circondava il viso come di un'aureola lunare.

Solo un'altra volta Francesco l'aveva veduta altrettanto bella, sebbene d'una diversa bellezza: la notte di Gonare.

E glielo disse, avvicinandosele, carezzevole, e aggiustandole con le mani un po' tremanti il nastro del ricco grembiale.

«Che matto!», ella rispose, dandogli un colpettino sulla mano con la medaglia d'oro del suo rosario di madreperla.

«Andiamo», disse la sorella di Francesco. «Scherzerete dopo

Ma egli cinse la vita di Maria, e volle baciarla.

«Ah», ella disse, svincolandosi, «tu vuoi dunque comunicarti in peccato mortale

«Se i baci sono peccati, quanti ne faremo!»

Ella s'avviò: un'ombra le oscurò nuovamente il viso: il ricordo dei baci di Pietro le attraversava la mente. Ma subito altre cure la richiamarono alla realtà, e il sorriso della sposa felice tornò a illuminarle gli occhi. Il corteo nuziale fu ordinato da zia Luisa.

«Prima voi», ella disse, consegnando ad un bambino e ad una bambina in costume due ceri adorni di nastri azzurri.

«Avanti, camminate, come due sposini; e non litigate, eh!»

Poi veniva la sposa fra le due cognate, poi Francesco fra zio Nicola e il fratello di zia Luisa. Seguivano altri parenti ed amici.

Zia Luisa, ferma sul portone, guardò allontanarsi il corteo, poi rientrò in cucina, e col lembo della benda si asciugò una lagrima.

Nelle straducole che le vicine avevano accuratamente spazzato per la circostanza, le donnicciuole, i bimbi, le galline, i cani e i gatti fecero ala al corteo: ma nelle altre vie poco animate la gente arrivava in ritardo per godersi lo spettacolo.

Suo malgrado Maria si turbava sempre più: non vedeva, non sentiva più nulla: le gambe le tremavano e il cuore le saltava in gola. Ecco, aveva voglia di piangere e di ridere nello stesso tempo. Pensava che fra un'ora avrebbe ripercorso quelle vie, non più libera, non più fanciulla, ma legata eternamente ad un uomo che non amava. Eppure non si sentiva infelice; ma un arcano sentimento di paura le faceva battere il cuore.

E inoltre temeva di veder da un momento all'altro ricomparire la figura minacciosa e dolente di Pietro Benu. Ma il corteo arrivò felicemente in chiesa; ed ella si rasserenò. Le parve che la pace silenziosa delle grige arcate scendesse nell'anima sua: sì, tutto oramai era finito; non c'era più nulla da temere; il passato era morto.

Dai finestroni della chiesa deserta pioveva qualche chiazza di sole sulle panche polverose; si sentivano gli uccelli garrire nell'aria tiepida e pura.

Maria e Francesco s'inginocchiarono sui gradini dell'altare, sotto gli sguardi severi d'un Padre Eterno dipinto sulla vôlta: un Padre Eterno che pareva un vecchio pastore sardo, circondato di nuvole verdicce. Maria si raccolse, pregò, promise a Dio d'essere una buona moglie; disse il sì con voce ferma e forte, e solo quando furono usciti di chiesa osò guardare lo sposo.

Sua, per tutta la vita. Il suo nome non era più Maria Noina, era Maria Rosana. Amen.

Quasi felice, camminò a fianco dello sposo che non cessava di guardarla.

«Parla, Maria», egli le diceva dolcemente. «Dimmi qualche cosa, sorridi; vedi, tutti ci guardano...»

Ella sorrise e rispose:

«Non so cosa dire: sono tutta turbata».

La gente, intanto, sapendo che doveva ripassare il corteo, s'affacciava alle finestre, alle porte, usciva nelle vie. Una torma di monelli circondò gli sposi. E all'uscita dal Municipio cominciò per questi e per il loro seguito uno strano tormento.

Dalle finestre e dalle porte pioveva su loro una fitta gragnuola di frumento, di confetti, di fiori; e ciò non bastando le donne scaraventavano davanti alla sposa qualche piatto che si frantumava con fracasso. Quest'atto, che ha un significato, e non si compie davanti alle spose vedove o non vergini, faceva arrossire Maria e sorridere Francesco.

Nelle straducole del vicinato dei Noina, la pioggia di grano e il fracasso dei piatti diventarono furiosi; grida di donne e di fanciulli risuonarono:

«Buona fortuna! Buona fortuna!».

Zia Luisa attendeva davanti al portone; appena vide gli sposi cominciò a piangere, e piangendo li abbracciò e li baciò.

Anche lungo la guancia di Maria scese una lagrima; il lembo della benda l'assorbì lentamente, e la piccola macchia non era peranco asciugata che la sposa sorrideva di nuovo.

 

 

 





17 Corba.



18 Catena d'oro con orologio.



19 Voce per allontanare le galline.



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