4.
In questo modo
stemmo due dì, fra quali mali solo uno era quello che noi atterrava, la fame.
Pareaci meglio già prima essere periti che ora vivere in tanto desiderio di
saziarsi. E in prima quel barbaro nostro compagno in tanti infortuni, di natura
feroce e d'ingegno bestiale e audacissimo, arse in tanta sevizia che e' tentò
cosa inaudita, incredibile e degna di biastemarlo. Porsesi a me presso alla
orecchia tutto interriato nel viso, coll'alito tremitoso, e denteggiando, e
prima susurrando cominciò pregarmi e pregandomi alzò la voce persino a garirmi,
dimandandomi ch'io lasciassi ucciderli quella infelicissima fanciulla compagna
mia in questa acerbissima fortuna, per pascersi. La fanciulla che sentiva que'
ragionamenti, aimè, non posso dire quanti pianti fussero e' suoi! E a me tanta
atrocità di questo barbaro, e la misericordia di questa pura e tenera
fanciulla, ah, e quanto mi perturbò! Temea per lei, temea e per me stessi, e
cominciai a ripensare molte e molte cose, e dicea: siamo noi servati da tanta e
sì rabbiosa tempesta per esser cibo a questo barbaro? Piansi. Pur con parole
rattenea quel bestiale da tanta crudelità. Ma quel barbaro già già fiameggiava
rabbia con gli occhi e gridava: «Occidianla». Io col tempo subito consigliato,
gittai ogni resto di que' ferramenti ch'ivi restavano, acciò che quel mostro
non potesse quanto e' cercava. Eimè! E chi referirà te, o misera fanciulla,
quale avevi ogni tua salute posta solo in lacrime e preghiere? O pietà, che non
solo a me qual sono pietosissimo, ma e ancora a quel barbaro vidi movesti le
lacrime! Io adunque, volto alla fanciulla, dissi pigliasse buono animo, non
bisognar quivi lacrime ma virtù; adonque stesse meco in piè e non giacesse in
quel dolore, che se bisogno accadesse, potessimo due con fermo petto
ossisterli, che sarei col favore di Dio galiardo combattitore contro tanta
immanità, e a Dio esser comendata la nostra piatà.
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