6.
Scrivono le
storie di Sagonto, di Ierosolima, di Cassilino essere stato chi rose le funi,
le scorze de' legni, le pelle delli scuti, chi mangiò erbe pestifere e chi per
fame mangiò e' figliuoli, essere stato chi si gittò in fiume, chi si precipitò
da' muri per tedio della fame. Visto quello ch'io vidi, ogni cosa e più ne
credo. E voi, amici miei, pregovi insieme con meco ripensiamo qual fusse allora
la nostra sorte e condizione. Da quanta speranza, da quanta lieta espettazione
in ultima desperazione cademmo noi! Da quanto gaudio in quanto pianto e
miseria! Noi che con sì secondi venti poco innanzi venavamo a casa, a' quali la
fortuna promettea ogni bene, guadagno, festa, piaceri, quali speravamo
abracciare e' padri, la moglie, amate nostre e care anime, a' quali non parea
navigando più potere altra facilità dalla fortuna altrove domandare, - noi
subito vedemmo toltoci dinanzi e' nostri benivolentissimi compagni e
fedelissimi amici. Noi, quali la fortuna avea coniunti in pari caso, tra noi
divenimmo capitali inimici, e tanta ne fu mala avversità che a pena ne fu
licito piangere la nostra miseria. Ma lasciamo questi pianti che non ci
basterebbe el dì.
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