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Leon Battista Alberti
Naufragus

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  • 2.
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2.

 

Trecento omini eravamo in una nave ben fornita e salda. Navicavamo colle vele piene tutti iocosi verso el porto quale già innanti ne appariva. Alcuni di noi, e in prima una fanciulla molto dilicata quale fra noi sposa andava alle nozze apparecchiateli dal suo marito, si vestiva e adornava con panni e gemme; e fra noi compagni erano chi constituiva la sera e l'altro dì avere in quel porto molto piacere in cene e in feste, e così tutta la nave brulicava di letizia in questi apparecchi. O fragile speranza de' mortali! Per grave e atrocissima tempesta quale ruppe subito, mutati e' venti, con troppa nostra miseria fu suvvertita la nave in modo che di tanta moltitudine solo omini tre rimaseno in vita, io, quella fanciulla sposa e un barbero servo. Cosa maravigliosa e incredibile! Qual fusse fato non so, ma suvversa la nave, noi tre ci trovammo reposti presso alla poppe della nave in luogo non bene atto a riceverene perché era picciolo e ancora perché era pieno di ferramenti lì riposti al bisogno della nave. Adonque ivi non potevamo bene stare senza ricevere qualche ferita da que' ferri, e più eravamo summersi tutte le spalle in l'acqua quale conveniva pelle fessure della nave tutta dalla tempesta quassata e aperta. E a queste difficultà vi s'agiungeva che spesso per el comuoversi della nave picciata dall'onde l'uno di noi urteggiava l'altro. Adunque miseri noi, molli e premendo l'un l'altro e ricevendo or una or un'altra tagliatura e puntura da que' ferri, sofferavàno tuttora presente la morte. Pur la necessità a noi facea parere questo così sinestro luogo grato e assai troppo grande. Per questo pregavamo Dio almeno ivi ne fusse licito sperare qualche salute, e fra noi confortavamo l'un l'altro promettendoci men rea fortuna, ma d'uscire di tanta molestia per allora non era che aspettare a noi né che consigliarci. Né intendevamo dove in tanto mare fossimo traportati, e questo ne parea ottimo per allora quanto potavamo sopra l'acqua con tutto el capo alitare. In quale nostro misero stato, oimè, e quante morte vedevamo noi! Ogni onda veniva con nostro eccidio. Pur mai, cosa maravigliosa, mai in tanti pericoli la speranza abandonò l'animo nostro, né mai l'animo mancò a sé stessi. Sempre fummo in questa fortitudine che sempre ne promettavamo qualche bene. E a me, qual credea mai più potere rivedere questo sole e questa luce, tornava in mente quello che dicono e' poeti che, quando gli altri dii salirono el cielo, solo la Speranza rimase a fare compagnia a' mortali posti in miseria e oppressi dalle calamità. E così sola questa dea a noi infelicissimi era propizia, né ci lasciava soccombere a tanti mali.




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