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Leon Battista Alberti
Naufragus

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  • 5.
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5.

 

All'ultimo, ove quella bestia non restava, io irato: «O scelleratissimo», dissi, «non cesserai tu da tanta iniuria contro a questa misera fanciulletta, qual piange, prega, qual è stata e ora è con noi in tanta mala sorte doppo tanti casi? Tu omo, tu vorrai farti pasto un corpo umano, tu pascerti delle membre vive? Ramentiti tu esser o no omo? Qual tigre sarà mai simile a te? Qual animale affamato, voracissimo non perdona a simili a sé? Tu fai questa tua fame maggiore non ben sopportandola. Témperati, ché certo meglio la porterai, e gioveratti sperare meglio. Né per certo siamo dalli dii servati da tanti mali a questa crudelità, ma per loro pietà a salute siamo e a testificare la loro benignità servati; ché se così non fusse, terzo fa dì con gli altri saremmo periti. Ora se saremo piatosi, questa speranza quale li dii piatosi ci hanno mostra, sarà con grato ed espettato bene». E così adonque dava io opera di distorre quel barbaro da tanta immanità. Ma voi, o amici miei ottimi, che animo credete fusse el mio mentre ch'io dicea? Qual'erano cose ch'io meno volessi prima che vedermi innanzi quella belva con quel fronte aspero e apparecchiata d'ogni parte a crudelità? Ma sostenea me stessi con l'animo presente, e curava ogni salute di quella fanciulla. Questo ultimo troppo mi comosse quando con un grande urlo quel barbaro gridò: «Un di voi convien che muoia». Ed esasperato infuriò tanto che biastemò Iddio, e colle mani già me opprimea. O spettaculo durissimo! La fanciulla impaurita mi si getta a' piedi, pregami. El barbaro già presto e arrabbiato cominciava essequire la crudelità. Io in mezzo consolava costei, sgridava quest'altro e me straccava. Quel pessimo barbaro, quanto io più li distoglieva ogni suo brutto incetto, allora più ardeva in rabbia. Oimè, alla fanciulla già erano mancate le lacrime, e a me apresso questa bestia non più erano preghiere. Questo furioso rompe e con tutte le forze si getta a questa misera fanciulla per strangolarla. Qui benché stracco e languido pe' sofferti sinistri, pur da tanta indignità mi nacquero forze, e presi questo arrabbiato quale ora verso la fanciulla ora verso di me con morsi, con pugni si inasperiva, sudai tanto ch'io glielo tolsi da dosso. Presi con tutte due le mani mie la sua destra mano e svolsigliela drieto alle spalle con tanto impeto che pel dolore egli urlò. Tennilo tanto che la fanciulla m'aitò e presegli l'altra mano e simile la svolse. Contenemmolo tanto che stracciata la camicia della fanciulla e fattone una e un'altra fascia legammo drieto le mani a questa bestia quale per sino alle tavole della nave co' denti e con urti schiantava e fracassava.




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