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Leon Battista Alberti
Profugiorum ab aerumna Libri III

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  • LIBRO I.
      • -1-
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LIBRO I.

 

-1-

 

Niccola di messer Veri de' Medici, uomo ornatissimo d'ogni costume e d'ogni virtù, e io insieme passeggiando nel nostro tempio massimo ragionavamo, come era nostro costume, di cose gioconde e ch'appartenevano a dottrina e investigazione di cose degne e rare. Sopragiunse Agnolo di Filippo Pandolfini, uomo grave, maturo, integro, quale e per età e per prudenza sempre fu richiesto e reputato fra' primi nostri cittadini. Salutocci e disse: - Te, Battista, lodo io; e piacemi che, come in altre cose, così e in questo tuo ridurti qui assiduo in questo tempio ti veggo religiosissimo. E' non fu sanza cagione quel detto di que' buoni antiqui che massime allora si opera al culto divino quando si frequentano e' luoghi sacrati a Dio. E certo questo tempio ha in sé grazia e maiestà: e, quello ch'io spesso considerai, mi diletta ch'io veggo in questo tempio iunta insieme una gracilità vezzosa con una sodezza robusta e piena, tale che da una parte ogni suo membro pare posto ad amenità, e dall'altra parte compreendo che ogni cosa qui è fatta e offirmata a perpetuità. Aggiugni che qui abita continuo la temperie, si può dire, della primavera: fuori vento, gelo, brina; qui entro socchiuso da' venti, qui tiepido aere e quieto: fuori vampe estive e autunnali; qui entro temperatissimo refrigerio. E s'egl'è, come e' dicono, che le delizie sono quando a' nostri sensi s'aggiungono le cose quanto e quali le richiede la natura, chi dubiterà appellare questo tempio nido delle delizie? Qui, dovunque tu miri, vedi ogni parte esposta a giocondità e letizia; qui sempre odoratissimo; e, quel ch'io sopra tutto stimo, qui senti in queste voci al sacrificio, e in questi quali gli antichi chiamano misteri, una soavità maravigliosa. Che è a dire che tutti gli altri modi e varietà de' canti reiterati fastidiano: solo questo cantare religioso mai meno ti diletta. Quanto fu ingegno in quel Timoteo musico, inventore di tanta cosa! Non so quello s'intervenga agli altri; questo affermo io di me, che e' possono in me questi canti e inni della chiesa quello a che fine e' dicono che furono trovati: troppo m'acquetano da ogni altra perturbazione d'animo, e commuovonmi a certa non so quale io la chiami lentezza d'animo piena di riverenza verso di Dio. E qual cuorebravo si truova che non mansueti sé stessi quando e' sente su bello ascendere e poi descendere quelle intere e vere voci con tanta tenerezza e flessitudine? Affermovi questo, che mai sento in que' misteri e cerimonie funerali invocare da Dio con que' versiculi greci aiuto alle nostre miserie umane ch'io non lacrimi. E fra me talora mi maraviglio, e penso quanta forza portino seco quelle a intenerirci. E quinci avviene ch'io credo quello che si dice ch'e' musici potessero essortare Alessandro Macedone ad arme cantando, e rivocarlo in cena. Ma fec'io bene? Io ruppi forse e' vostri ragionamenti, Niccola, e distesimi in cose non accommodate.




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