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Leon Battista Alberti
Profugiorum ab aerumna Libri III

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  • LIBRO II.
      • -9-
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-9-

 

AGNOLO. Così vi piace, e Dio ne aspiri. Su, convienci resummere una delle divisioni nostre d'ieri in questa materia; e diremo che le perturbazioni accorreno e insisteno ne' nostri animi o dalla commozione de' tempi, o dalla durezza della fortuna nostra, o da qualche sinistro caso, o da malignità e protervia degli uomini co' quali ne abbiamo in vita, o da qualche nostro detto o fatto con poca maturità e consiglio. Questa fu nostra divisione ieri. Aggiugniànvi quest'altra, che alcuni sono rimedi che giovano a non più una che un'altra perturbazione. Alcuni giovano a una e non pari a un'altra nostra commozione e perversione di mente e ragione. Addurremo adunque prima a ciascun morbo que' propri rimedi quali adattati e bene accommodati svelgano e diradichino ed espurghino da noi ogni concetto e infisso rancore. Poi accoglieremo insieme que' tutti rimedi quali stimeremo atti a sedare ed estinguere qualunque molesto agitamento e furore fusse eccitato e commosso in le nostre menti e pensieri. E cominceremo a curare quelle contusioni e punture d'animo quali importò in noi la nostra imprudenza e temerità. Qui non bisogna preterire uno commune e grave errore di molti, quali si reputano constituti in vita quieta e tranquilla, succedendogli la fortuna e le cose grate secondo li suoi pensieri e voglie. E non s'avveggono costoro così sé essere in mezzo avvinti da veementissime oppressioni, e stimansi poi iniuriati dalla fortuna e affannati dalle avversità dove essi sono a sé stessi gravezza e molestia. Ed eccovi come a colui, omo fortunatissimo, diletta la casa, la villa, gli ornamenti; stima l'amplitudine, la dignità, el potere in sue voglie e sentenze più che altri; agradagli la moglie; gode vedersi fatto padre; gloriasi in ogni buona indole e speranza de' suoi nati. Oh inezia degli uomini! Oh ragione mal compensata! Questi sono, o mortali, questi a voi sono e' veneni dell'animo. Quinci insurge quello che corrumpe a' nostri petti la vera e degna virilità; onde poi effeminati non tolleriamo noi stessi e inculpiamo la innocenza altrui de' nostri errori. Fu el troppo amare quella e quell'altra cosa, fu el troppo ricevere a te questa e quest'altra voluttà, seme e ignicolo di tanta e sì importuna fiamma qual t'incende ad ira e a dolerti d'avere interlassato e perduto quello che tanto ti contentava.




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