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Leon Battista Alberti
Profugiorum ab aerumna Libri III

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  • LIBRO I.
      • -16-
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-16-

 

Dicea Tales filosofo essere difficile el conoscere sé stessi. Non so in qual parte sia da interpretare questo suo detto, ma a me non pare difficile conoscermi uomo simile agli altri uomini, tali quali gli descrive Apulegio. E chi dubita nell'uomo esservi ragione? Sentilo ragionare, ed etti persuaso che l'animo dell'uomo sia immortale. Vedi e' suoi membri atti a mancare e perire; conosci quanto sia suo mente lieve e volubile e quasi mai senza ansietà; affermi el corpo suo essergli in molti modi noioso; discerni infra gli uomini costumi al tutto vari e molto dissimili. Non puoi negare che in loro gli errori sono simili: ardiscono troppo, sperano con pertinacia, affaticansi in cose non certe né utili; loro beni caduci a uno a uno muoiono; la moltitudine perpetuo vive; mutansi di prole in prole; vola loro età; tardi a sapienza, presti a morte, queruli in vita, abitano la terra. Adunque premeditando e riconoscendo noi stessi, ne accoglieremo pensando: a che nacqui io? venni io in vita forse per tradur mia età vacua e disoporosa? Questo intelletto, questa cognizione e ragione e memoria, donde venne in me sì infinita e immortale se non da chi sia infinito e immortale? E io, lascerò io me simile a un ferraccio macerare e marcire in ozio, sepulto in mezzo el loto delle delizie e voluttà? Non giudicherò io mio debito, essercitandomi in cose pregiate e degne, ben cultivare me stessi e ben meritare di mia industria e virtù? Resterò io di spogliare e astergere da me assiduo ogni improbità e ruggine di vizi? Queste due cose qual dicea Seneca filosofo esserci date da Dio sopra tutte l'altre validissime, la ragione e la società, lascerolle io estinguere per desidia e inerzia e nulla valere in me? O forse le adoperrò solo in servire a questo corpo mio e a queste membra noiose e incommode? Non mi diletterà più adattarle a gloria e immortalità del nome, fama e degnità mia, della famiglia mia e della patria mia? Non premediterò io assiduo me essere nato non solo, come rispose Anassagora, a contemplare el cielo, le stelle e la universa natura, ma e ancora in prima, come affermava Lattanzio, per riconoscere e servire a Dio, quando servire a Dio non sia altro che darsi a favoreggiare e' buoni e a mantenere giustizia? Così mi si richiede; e io così sponte e volonteroso delibero. Su, dianci coll'animo a queste opere ottime e gratissime al nostro padre e procreatore Iddio. A' buoni, a' quali deliberammo favoreggiare, non attaglieranno l'opere nostre non buone; né ben potremo mantenere giustizia se non saremo nimici d'ogn'ingiustizia. Adunque dedichiamo l'animo nostro a esser vacuo d'ogn'ingiustizia e pieno di bontà. Quinci saremo in ogni officio d'umanità e culto di virtù ben composti, e ben serviremo alla naturale società e vera religione, e preporrenci in ogni nostra vita esser constanti e liberi.




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